2025-11-02
L’assedio a Caracas è un monito. Usa a tutto il Sudamerica: «Lontani dalla Cina»
Un membro della Milizia bolivariana del Venezuela durante una manifestazione filogovernativa a Caracas (Ansa)
Donald Trump aumenta la pressione militare intorno al Venezuela. Ma la lotta ai narcos sembra un pretesto per limitare Pechino.Cresce la tensione tra Washington e Caracas. Ieri, il Washington Post riportava che «le forze statunitensi nei Caraibi includono otto navi da guerra della Marina, una nave per operazioni speciali e un sottomarino d’attacco a propulsione nucleare». È inoltre in arrivo nell’area la portaerei Gerald Ford che, secondo la testata, recherà con sé tre navi da guerra e circa 4.000 soldati aggiuntivi. Il Washington Post ha anche riportato che il Pentagono ha schierato dei bombardieri. Insomma, la pressione militare statunitense sul regime di Nicolas Maduro sta aumentando. D’altronde, venerdì, il Miami Herald aveva riferito che Washington si stava preparando a effettuare attacchi direttamente sul territorio venezuelano, con l’obiettivo di prendere di mira «strutture militari presumibilmente utilizzate per il contrabbando di droga». Una rivelazione che era stata tuttavia smentita da Donald Trump. A fare apertamente il tifo per un intervento militare statunitense in Venezuela c’è la fresca Nobel per la pace, María Corina Machado. Ricordiamo che da settembre scorso il Pentagono ha colpito varie imbarcazioni di narcotrafficanti in area caraibica, mentre Washington ha ripetutamente tacciato il regime di Maduro di essere pesantemente coinvolto nel traffico di droga che affligge gli Stati Uniti: un’accusa che il leader venezuelano ha più volte respinto, sostenendo a sua volta che la Casa Bianca starebbe in realtà puntando a un cambio di regime a Caracas. In questo quadro, due settimane fa, Trump rivelò di aver autorizzato alcune operazioni della Cia all’interno del Paese latinoamericano. «Ho dato l’autorizzazione per due motivi, in realtà. Primo, hanno svuotato le loro prigioni negli Stati Uniti d’America. E l’altro, la droga: ne arriva molta dal Venezuela, e molta della droga venezuelana arriva via mare». Era sempre metà ottobre, quando Maduro ordinò delle esercitazioni militari, mentre, qualche giorno prima, si era detto pronto a proclamare lo stato d’emergenza.Il leader venezuelano, insomma, sente il fiato di Trump sul collo. È anche per questo che, secondo il Washington Post, si starebbe rivolgendo a Cina, Russia e Iran per rafforzare le sue modeste capacità di difesa: in particolare, Maduro sarebbe alla ricerca di missili, droni e sistemi radar. Ed è qui che arriviamo al cuore del problema. Certo, la causa immediata delle tensioni tra Washington e Caracas - lo abbiamo visto - è legata alla questione del narcotraffico. Tuttavia, a livello strutturale, emerge un ulteriore nodo. Non è un mistero che, da quando è tornato alla Casa Bianca, Trump abbia promosso una riedizione aggiornata della Dottrina Monroe: il presidente Usa, in altre parole, punta ad arginare l’influenza della Cina sull’Emisfero occidentale. A inizio anno, Trump mise sotto pressione Panama fin quando quest’ultima non uscì dalla Belt and Road Initiative. Inoltre, il mese scorso, il presidente americano ha interrotto le trattative commerciali con Ottawa, ufficialmente a causa di un controverso spot su Ronald Reagan ma, molto più probabilmente, perché, alcuni giorni prima, il ministro degli Esteri canadese, Anita Anand, aveva avuto un incontro con l’omologo cinese, Wang Yi, e aveva successivamente parlato di una «partnership strategica» della stessa Ottawa con Pechino.Ebbene, il regime di Maduro rappresenta uno dei principali punti di riferimento del Dragone in America Latina: non a caso, come abbiamo visto, il leader venezuelano si è rivolto anche alla Repubblica popolare per chiedere materiale militare. Inoltre, il mese scorso, la Cina si è schierata con Caracas, criticando gli attacchi statunitensi alle imbarcazioni accusate di condurre attività di narcotraffico in area caraibica. Ecco che dunque le recenti tensioni tra Trump e Maduro vanno inserite in questo complesso quadro geopolitico. L’attuale inquilino della Casa Bianca vuole far sì che Washington recuperi terreno in America Latina dopo che, negli anni dell’amministrazione Biden, la Cina aveva significativamente rafforzato la propria influenza economica e politica nell’area. Mettendo Maduro sotto pressione, Trump mira a lanciare un avvertimento a quei Paesi latinoamericani che intrattengono rapporti più o meno stretti con Pechino. Chiaramente, a questo punto, la domanda è duplice. Primo: si registreranno attacchi statunitense sul territorio venezuelano nelle prossime ore o nei prossimi giorni? Se sì, saranno attacchi mirati oppure la Casa Bianca si spingerà davvero fino a un regime change?È difficile rispondere. Con un regime change, Trump si esporrebbe alle accuse sino-russe di essere un cripto-neoconservatore e questo lo indebolirebbe nel suo tentativo di ricucire i rapporti con il Sud Globale (a partire dalle monarchie del Golfo). Si potrebbe quindi pensare che, come ha fatto in altri scenari, il presidente americano punti a mettere con le spalle al muro il dittatore di turno, per poi trattare con lui da una posizione di forza. Tuttavia il «caso Maduro» è politicamente scivoloso per Trump. In Florida - uno Stato che dal 2016 è diventato saldamente repubblicano - c’è un folto elettorato anticastrista e anti-Maduro, che l’attuale presidente americano non può permettersi di perdere.
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