
Ed arbitro s’assise in mezzo a loro. La visione manzoniana del ruolo non ha più senso nei tribunali, figuriamoci a pelo d’erba dove rotola il pallone, nel delirio collettivo del football. Ma è proprio dall’arbitro che parte il giudizio del mondo sportivo, è ancora lui il termometro più attendibile per valutare lo stato di salute di un sistema. Ecco, se vale l’assunto, quello italiano è profondamente malato, quasi in coma. Lo si comprende da due vicende di questi giorni. Due storie, due anomalie: il caso Marco Guida e il caso Milan-Como a Perth, partita di campionato che sarà diretta da un fischietto asiatico.
L’arbitro di Pompei era il prescelto dai vertici dell’Aia per dirigere la finale di Supercoppa italiana a Ryad lunedì sera, con una postilla surreale: se non ci sarà il Napoli. In caso contrario (quindi nel mondo reale visto che gli azzurri di Antonio Conte hanno liquidato il Milan in semifinale) lui resta a casa e si scalda Andrea Colombo. Tutto questo perché tempo fa Guida chiese di stare lontano dalle partite dei campioni d’Italia «per salvaguardare la famiglia». Motivazione ufficiale: «La mattina devo andare a prendere i miei figli a scuola e voglio stare tranquillo».
Una scelta personale che il designatore Gianluca Rocchi ha accettato senza battere ciglio. Il timore è legittimo ma la vicenda è pazzesca: si tratta del primo caso di ricusazione palese di una squadra da parte di un arbitro. Il problema non sta nella gentilezza del venire incontro a un timore, ma nel condizionamento indotto a tutto il campionato, visto che Guida continua allegramente a fischiare o non fischiare rigori, a decidere o non decidere ammonizioni nelle partite dei club in lotta per lo scudetto, punto a punto proprio contro il Napoli. Poiché la stagione sembra avviata a una lunga, affascinante ed estenuante volata a quattro o a cinque (anche Milan, Inter, Roma, Juventus coinvolte) è molto probabile che la stranezza venga trasformata in aberrazione procedurale. I soliti sospetti? Se ci sono, è proprio la casta arbitrale ad alimentarli prima ancora delle curve.
Si parla tanto di regolarità del campionato ma un altro caso si profila a metterla in dubbio, un secondo bruco nella mela: la gita a pagamento di Milan e Como per disputare l’8 febbraio in Australia la sfida di campionato (San Siro sarà inagibile per la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi invernali). Per 12 milioni lordi da spartire - 5 al Milan, 4 al Como, 3 al resto del circo - la Serie A con il cappello in mano attraversa il globo e diventa per la Fifa un esperimento in provetta di calcio globale senz’anima. I tifosi rossoneri sono sulle barricate e il rimborso di 25 euro agli abbonati li lascia indifferenti: «Quella sarà una sfida vera, avremmo voluto esserci. Anche in campo neutro ma in Italia. Dov’è il rispetto per gli spettatori?».
Follow the money. Dalla federazione guidata dal traballante Gabriele Gravina e dalla Lega dell’impalpabile Ezio Simonelli nessuna opposizione, anzi un atteggiamento da leoni da scendiletto. La stessa proposta (Villarreal-Barcellona a Miami) era stata rigettata dopo un minuto dalla Liga spagnola. Noi no, noi siamo più cool, anche se l’Uefa medesima avrebbe volentieri vietato la gita da Erasmus del football. Con un problemino non secondario: l’arbitro sarà asiatico, designato dalla Fifa. E allora? E allora c’è il rischio di mandare in vacca la regolarità del campionato.
Il regolamento prevede (all’articolo 5) che «le gare ufficiali devono essere dirette da un arbitro designato dal competente organo tecnico dell’Aia». Sarà sufficiente un ricorso qualsivoglia per scatenare un putiferio. Chiamato a prendere posizione, il presidente della Commissione arbitri della Fifa, Pierluigi Collina, ha dato il via libera (come chiedere all’oste se il vino è buono). Lo sottolinea il numero uno della Lega, Simonelli: «Collina mi ha dato garanzie, ha fischietti di qualità da segnalare per la partita. Noi accetteremo questa condizione». Ma il vulnus regolamentare rimane, è l’elefante nella stanza mentre il mondo del pallone si sgonfia e perde credibilità. Lo stesso Gravina, risvegliandosi dal sonno dei giusti nutre qualche dubbio: «Sull’arbitro asiatico qualche riflessione va fatta, soprattutto in merito all’equa competizione». La stessa che con Guida in giro per l’Italia sarebbe salvaguardata, bontà sua.
Verghino signori, per un pugno di dollari si svende il calcio italiano, già malandato di suo. Lo si nota nel mini torneo arabo, dove la Supercoppa è custodita da hostess velate trattate da oggetti misteriosi, gli stadi sono semivuoti (va fatta la tara ai figuranti ingaggiati a pagamento) e i nomi dei calciatori - almeno quelli del Milan sponsorizzato Emirates - scritti in arabo sulla schiena. L’europarlamentare della Lega, Silvia Sardone, è saltata sul divano: «Le immagini mi hanno lasciata perplessa, è uno spot all’islamismo, la celebrazione del velo che è lo strumento di oppressione per eccellenza. Come può la Lega (calcio, non facciamo confusione - ndr) permettere tutto questo? Sappiamo che non è più sport ma solo una questione di soldi. Però a tutto dovrebbe esserci un limite. Basta con la svendita del nostro calcio».
Un’aggravante è l’inconsapevolezza dei protagonisti. Riassumendo la questua itinerante di Ryad e Perth, l’allenatore del Milan Max Allegri mostra lampi di entusiasmo: «Speriamo che tutto ciò sia un apripista del futuro del calcio italiano e non solo un caso isolato». Tanto lui è già tornato a casa.






