
Se si toccano le Ong arriva il conto. Se invece si insulta, anche in modo grave, un politico si trasforma in dialettica, critica, ordinario metodo. Il convoglio giudiziario della diffamazione a mezzo stampa rischia di deragliare per carico eccessivo di decisioni prese con la strumentazione del doppiopesismo. Partiamo dalla parola «pirati». In Italia «non si può dire che chi non rispetta la legge è un pirata». Un giudice del Tribunale di Milano, come ha ricostruito ieri il direttore Maurizio Belpietro, ha deciso che «è diffamazione».
Se si toccano le Ong arriva il conto. Se invece si insulta, anche in modo grave, un politico si trasforma in dialettica, critica, ordinario metodo. Il convoglio giudiziario della diffamazione a mezzo stampa rischia di deragliare per carico eccessivo di decisioni prese con la strumentazione del doppiopesismo. Partiamo dalla parola «pirati». In Italia «non si può dire che chi non rispetta la legge è un pirata». Un giudice del Tribunale di Milano, come ha ricostruito ieri il direttore Maurizio Belpietro, ha deciso che «è diffamazione». Risultato secco: condanna a risarcire con 80.000 euro sette Ong. Il punto è che non si tratta di una notizia falsa o non verificata che è stata punita. Le Ong, ha spiegato Belpietro, «non hanno contestato una sola riga dell’articolo pubblicato (sul settimanale Panorama, ndr), né hanno sostenuto che le rivelazioni di Fausto Biloslavo (il cronista che ha firmato l’inchiesta di copertina, ndr) fossero false». Si sono offese per il titolo: «I nuovi pirati». E ciò nonostante i loro rappresentanti abbiano più volte affermato in pubblico che avrebbero continuato a disobbedire agli ordini delle autorità. Il Tribunale milanese, in tempi da record per la giustizia italiana, ha ritenuto la questione così grave da andare oltre le stesse tabelle milanesi (alle quali peraltro si ispirano quasi tutti i distretti di Corte d’appello), che stabiliscono, per i casi di diffamazioni «di elevata gravità» un danno liquidabile nell’importo da 35.000 a 58.000 euro. Mentre nei casi monstre, quelli definiti di «eccezionale gravità», il danno liquidabile in importo superiore a 58.000 euro. L’Osservatorio milanese ha anche calcolato l’importo medio matematico liquidato alla data dell’1 gennaio 2024: 30.888 euro. E ha ricordato pure che solo otto sentenze, a partire dal 2014, erano andate oltre i 50.000 euro di risarcimento. Il caso diventa ancora più eclatante se lo si compara con quanto accade al di fuori dei confini. In Francia, per esempio, Marine Le Pen, nel settembre 2024, si è beccata una condanna anche in appello per diffamazione nei confronti della Ong La Cimade. Le parole contestate sono state pronunciate in tv: «A volte sì. Sono anche complici dei trafficanti». Per i giudici francesi quelle dichiarazioni avevano «superato la possibile dose di esagerazione» e «i limiti della libertà d’espressione». Multa. Ma da 500 euro.
Il messaggio, però, è chiaro: quando tocchi una Ong diventa lesa maestà. «Pirata» viene censurato. «Complice dei trafficanti» anche. La soglia di tolleranza è bassa. Molto bassa. Soprattutto se si paragona la condanna per Panorama alle altre conservate nelle banche dati giuridiche. Nel gennaio scorso, per esempio, dopo ben 21 anni di processo in primo grado, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato l’editore di due giornali campani a risarcire con 100.000 euro i familiari di don Peppe Diana perché era stato definito un «camorrista». E a don Diana, al contrario dei sedicenti disobbedienti attivisti dei taxi del mare, non era stato attribuito, ha stabilito la sentenza, un fatto specifico vero. Ma la questione diventa paradossale se si prendono in esame tutti i casi in cui dall’altra parte della barricata si trovi un politico. Un paio di anni fa lo scrittore Roberto Saviano (in una causa penale) se l’è cavata con 1.000 euro di pena pecuniaria per aver apostrofato Giorgia Meloni e Matteo Salvini con un «bastardi». Ma è uno dei casi limite. Di solito gli insulti finiscono nel cestino. Giugno 2023, Venezia: tre esponenti locali di Italia Viva vengono definiti «porci». La Procura chiede l’archiviazione. La frase-chiave della decisione è questa: «Si tratta di ambito nel quale la contumelia è di fatto divenuta l’ordinario metodo di espressione del dissenso». E non è finita. C’è un richiamo alla Cassazione: sentenza Quinta sezione penale numero 9084/2008, che arriva a ragionare sugli epiteti: dare del «Giuda» può essere legittimo e, in certi casi, persino «idiota». La motivazione di fondo è questa: «Il diritto di critica riveste necessariamente connotazioni soggettive e opinabili quando si svolge in ambito politico». E, così, si è salvato in Cassazione il cittadino che urlò «buffone, fatti processare» a Silvio Berlusconi.
Sempre la Quinta sezione della Cassazione (sentenza 48553/2011) ha stabilito che si può definire «un parassita» un personaggio politico. Ma c’è una condizione necessaria: la possibilità di utilizzare il suddetto termine è subordinata solo alla «prova dei fatti». Bisogna dimostrare, insomma, che un parassita il politico lo sia davvero. E lo stesso è avvenuto con chi ha paragonato il proprio sindaco a Cetto La Qualunque, il grottesco personaggio ideato e interpretato da Antonio Albanese: sebbene rappresenti una «caricatura estrema» dell’amministratore pubblico «clientelare e mediocre», ha stabilito la Cassazione (sentenza 37104/2025), «non integra automaticamente gli estremi della diffamazione». Sempre che si fondi su «un nucleo fattuale veritiero». Solo per le Ong la verità passa in secondo piano.





