- Il Paese attraversa una grave crisi politica, sfiancato dalle continue crisi di governo. Anche la Presidenza da quasi un decennio è falcidiata dagli impeachment anche se il Pil è salito del 3,3% nel 2024. Trionfano i cartelli della droga, che hanno portato il Perù ad essere il primo produttore al mondo di cocaina.
- Il Perù è stato il primo Stato del Sudamerica a riconoscere l'Impero del Sol Levante post-isolazionista già nel 1873. Per questo è stato oggetto di un forte flusso di immigrati dal Giappone sin dal 1899. La parabola dei Nikkei Perujin, dal lavoro nelle piantagioni al successo in città, alla deportazione nei campi di prigionia negli Usa.
Donald Trump (Getty)
Dall’accordo tra Armenia e Azerbaigian in funzione anti Iran al riarmo del Giappone: il Vecchio continente ormai ai margini.
Kengiro Azuma (Getty Images)
Giovane pilota della Marina imperiale giapponese, fu volontario nei kamikaze. La fine della guerra gli salvò la vita. Dopo una profonda crisi scelse l'arte e si trasferì a Milano dove fu assistente del grande Marino Marini. Artista di fama mondiale, è iscritto nel Famedio dei milanesi illustri.
(Ansa)
l 6 agosto 1945 il B-29 americano Enola Gay sganciava su Hiroshima l'ordigno atomico «Little Boy», causando la morte di circa 140.000 persone. Una seconda bomba, «Fat Man», colpì Nagasaki il 9 agosto, uccidendo altri 70.000 residenti. Oggi sono 3.912 le testate pronte all'uso e schierate.
Da allora, gli ordigni nucleari esplosi sono stati 2056, frutto di altrettanti test. Le parole «atomico» e «nucleare» hanno un significato tecnico. In generale si parla di armi nucleari e si distingue tra quelle che rilasciano energia attraverso un'esplosione ottenuta tramite fissione nucleare, chiamate atomiche, e quelle in cui l'esplosione e' ottenuta anche per fusione nucleare, dette termonucleari o all'idrogeno. Oggi nel mondo ci sono circa 12.240 testate. Di queste, 3.912 sono gia' schierate su missili e aerei, pronte all'uso. Si distinguono in tattiche o strategiche, con differenti potenze e usi. Oggi si preferiscono testate piu' leggere, flessibili e precise.
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Shigeru Ishiba, primo ministro del Giappone (Ansa)
È la nuova fase della competizione marittima nel Sudest asiatico. L’obiettivo strategico: contenere la pressione di Pechino nel Mar Cinese meridionale, rafforzare la cooperazione trilaterale con Stati Uniti e Manila e ridefinire gli equilibri dell’Indo-Pacifico.
Alcune settimane fa, all’inizio del mese, il Giappone aveva annunciato e messo in atto l’esportazione di alcune cacciatorpediniere di classe Abukuma verso le Filippine, sei per la precisione. A darne notizia era stato il 6 luglio scorso, il quotidiano nipponico Yomiuri, in quella che definiva un’operazione volta a «migliorare l’interoperabilità con le forze armate filippine e a rafforzare congiuntamente la deterrenza e la capacità di risposta contro la Cina, che sta avanzando unilateralmente nell’Oceano Indiano». L’accordo tra i ministri della Difesa Gen Nakatani (Giappone) e Gilberto Teodoro (Filippine) prevede l’ispezione estiva delle unità classe Abukuma, cacciatorpediniere leggeri con equipaggi da 120 uomini. Si tratta di navi costruite intorno ai primi anni Novanta; ma, seppur datate, sono ancora equipaggiate con sistemi antisommergibile e antinave, ideali per il pattugliamento e il contrasto a minacce ibride.
Per Manila, che non dispone che di fregate leggere, corvette e un esiguo numero di pattugliatori, questo accordo significa una promozione sul campo nella deterrenza anticinese. Per comprenderne l’impatto, è necessario analizzare le capacità militari e mercantili delle potenze coinvolte all’interno di un panorama più ampio. Filippine e Giappone sono solo le due entità regionali; ma a livello macroscopico la partita si gioca tra i due colossi che si affacciano sul pacifico: Stati Uniti e Cina. Tutti questi pezzi della scacchiera condividono lo spazio marittimo indo-pacifico, ciascuno con il proprio modello geopolitico e industriale e ciascuno con il proprio grado di autonomia o di sudditanza.
La minaccia è la Cina, che negli anni ha costruito la più grande marina militare del mondo, con 422 navi da combattimento, 60 sottomarini, tre portaerei operative (Liaoning, Shandong, Fujian, 41 cacciatorpediniere, 45 fregate; i 384.000 effettivi (inclusi 55.000 marines) sono la più imponente forza navale esistente. E, parallelamente al primato militare, Pechino detiene anche la supremazia mercantile: il 18,7% della capacità mondiale con 430 milioni di tonnellate Dwt, il tonnellaggio di portata lorda, e 8.314 navi, molte delle quali costruite localmente, grazie a una capacità cantieristica superiore di 232 volte rispetto a quella statunitense. Ma il punto debole della Cina è duplice al momento: la scarsa esperienza operativa in scenari reali e la vulnerabilità sottomarina.
Con 164 navi da guerra, tra cui 8 cacciatorpediniere Aegis, 24 sottomarini diesel-elettrici, e due portaelicotteri della classe Izumo convertibili per F-35B, il Giappone mantiene una flotta sofisticata e tecnologicamente all’avanguardia. Pur vincolato da limiti costituzionali, Tokyo ha ampliato notevolmente le sue capacità offensive e difensive negli ultimi anni. Sul fronte mercantile, il Giappone detiene la terza flotta mondiale (163,5 milioni di tonnellate Dwt), con giganti come Nyk Line, Mol e K Line, riuniti sotto Ocean Network Express. A differenza del modello cinese statalista, quello giapponese è privatizzato, ma sostenuto da un’industria cantieristica avanzata. La criticità nipponica risiede nei fattori sociopolitici del Paese: invecchiamento demografico e dipendenza dal supporto americano.
In parallelo, le Filippine stanno compiendo sforzi significativi per modernizzare la propria marina, oggi composta da 92 navi, tra cui fregate leggere, corvette e pattugliatori. Il programma Horizon 3 da 35 miliardi di dollari mira all’acquisto di nuove unità, inclusi sistemi missilistici e navi d’assalto anfibio. Tuttavia, il Paese non possiede né sottomarini né portaerei, ed è fortemente dipendente da donazioni e trasferimenti tecnologici esterni. L’unico reale punto di forza dell’arcipelago è la sia strategica, a cavaliere tra gli Oceani Indiano e Pacifico, visto che a livello mercantile, operano 2.203 navi con capacità di tonnellaggio limitata a 3,5 milioni di tonnellate, ossia lo 0,034% del totale mondiale.
Sopra tutto questo, si ergono gli Stati Uniti, che mantengono 419 navi da guerra, 11 portaerei nucleari, e 74 sottomarini, tutti a propulsione nucleare, oltre 96 unità Aegis tra cacciatorpediniere e incrociatori, e una superiorità aeronavale attualmente ineguagliata. Ma sul piano mercantile la situazione è molto diversa. Solo 185 navi registrate e una quota di appena il 2,6% della capacità globale. La flotta mercantile è principalmente a servizio della logistica militare, sotto l’egida del Military sealift command e per questo è stato introdotto il . Il programma Ships for America act, che punta ad aggiungere 250 navi entro il 2035.
Nello sterminato orizzonte marittimo a contare, certo, sono i numeri: di quante navi si dispone e quanto forti. Ma, come tutte le potenze navali ben sanno, la vera partita si gioca sull’accesso alle rotte, dal quale derivano la capacità di proiezione, la flessibilità strategica e la costruzione di alleanze credibili. Ecco perché l’esportazione dei cacciatorpediniere Abukuma nelle Filippine. Il Giappone, pur non abbandonando la sua postura difensiva, è sempre più coinvolto in dinamiche di sicurezza attiva e Manila svolge un ruolo geografico fondamentale in questo gioco.
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