2025-11-16
Tifare Giappone per frenare la Cina
Il primo ministro nipponico Sanae Takaichi (Ansa)
Le recenti tensioni tra Tokyo e Pechino per la questione Taiwan ci riguardano. Se vuole avere un’influenza globale, l’Italia consideri il Sol Levante come vicino.Poiché gli interessi geoeconomici dell’Italia - export ed internazionalizzazione delle nostre imprese - sono globali mi sembra ovvio che l’attenzione e l’azione geopolitica di Roma debbano esserlo altrettanto. Cioè tutto il mondo è un’area viciniore dell’Italia e non solo quella geograficamente contigua (si faccia riferimento per l’argomentazione al mio Italia Globale, Rubbettino, 2023). Con questo in mente, che per altro è criterio antico della politica estera italiana ora intensificato dal governo corrente, va annotata la crescente divergenza tra Giappone e Cina con linguaggi inusualmente minacciosi e bellicisti da parte della seconda. Una parte della stampa italiana ha commentato questo episodio come un evento esotico lontano da noi. Qui cerco di argomentare perché, invece, è un fatto vicino, che ci coinvolge imponendo una riflessione strategica.Pechino ha reagito con violenza verbale ad un’espressione, in sede parlamentare, del nuovo primo ministro nipponico Sanae Takaichi: un attacco di Pechino a Taiwan costringerebbe Tokyo ad un intervento militare per la difesa dell’isola (ex Formosa) in quanto minaccia esistenziale conseguente per lo stesso Giappone. Secondo me questa analisi del premier nipponico è realistica perché se l’America ed il G7 più le democrazie compatibili del Pacifico non difendessero Taiwan, che è una democrazia funzionante, mostrando la giusta deterrenza contro Pechino, allora la Cina comunista acquisterebbe il potere sufficiente per poter condizionare non solo il Giappone, ma anche la Corea del Sud, le Filippine, l’area dell’Indocina, ecc. E Pechino sta perseguendo una tale strategia montando un potenziale offensivo di forza tale contro Taiwan da richiedere una difesa collettiva di questa isola, ricca e tecnologicamente avanzata, ma piccola. E per evitarlo la Cina comunista dichiara che se altri si opponessero alla sua conquista di Taiwan supererebbero una linea rossa con la conseguenza di relazioni totalmente ostili con la Cina comunista stessa. Tale minaccia ha causato negli scorsi decenni l’interruzione delle relazioni diplomatiche ufficiali tra quasi tutti i Paesi del mondo e Taiwan: se vuoi fare affari con la Cina devi riconoscere una sola Cina, quella comunista, ed il suo diritto di annettere Taiwan definendola una sua regione interna. E da almeno tre decenni quasi tutte le nazioni hanno preferito cedere al ricatto di Pechino per non compromettere il loro business. Ma il mondo delle democrazie ha mantenuto relazioni informali solidissime con Taipei e negli ultimi decenni l’America ha venduto più di 60 miliardi di dollari di armi a Taiwan, nonché addestrato le sue forze armate. Tuttavia, ora la Cina ha promesso a Donald Trump che non tenterà di invadere Taiwan fino a che durerà il suo mandato. Washington non sa se crederci o meno: ha appena approvato un’ulteriore vendita a Taipei di armamenti utili per trasformare Taiwan in un «riccio» inespugnabile, ma non al livello della vera deterrenza. Per tale motivo il nuovo governo giapponese ha dichiarato la disponibilità ad un ingaggio militare diretto per aumentare la deterrenza stessa contro la Cina comunista. Va detto che da tempo Tokyo ha preso una postura di garante dell’indipendenza di Taiwan. E non perché l’isola è stata per 50 anni, fino al 1945, un suo possedimento, ma per il motivo detto sopra: un cedimento nella difesa di Taiwan comporterebbe un enorme aumento del potere condizionante di Pechino nell’area del Pacifico ed oltre. L’America vuole certamente limitarlo: ha spinto per la creazione dell’Aukus, cioè un’alleanza specifica con Regno Unito ed Australia per dotare questa ultima di sommergibili nucleari (non di missili atomici, ma imbarcabili quelli statunitensi e britannici se necessario); è parte dell’alleanza tra India, Giappone ed altri che fa da muro contro l’espansione della Cina, ecc. Per inciso, ho annotato un recente accordo tra Canada e Filippine in materia militare: da approfondire. Ma gli alleati dell’America hanno dubbi sul vero ingaggio statunitense a causa di un’impennata del voto isolazionista e conseguente condizionamento della politica estera. Non tanto in senso «ritirista», ma in quello di affidare agli alleati la difesa delle loro regioni di interesse, riservando all’America il compito di fornire un ombrello indiretto e non più diretto di difesa con l’eccezione di minacce esplicite ed incombenti agli interessi vitali statunitensi. Se così, questa è la dottrina dello Interesse nazionale descritta da Condolezza Rice nel 2000 su Foreign Affairs che era il punto principale della campagna elettorale di George W. Bush contrapposta al globalismo sostenuto dal Partito democratico. Dopo l’attacco jihadista del 2001 a New York, Bush invertì tale dottrina ripristinando quella del presidio diretto globale. Poi Barack Obama riprese la dottrina Bush-Rice, rinominandola «lead from behind» (guidare da dietro). E secondo me Trump la sta continuando: la pressione per l’aumento delle spese Nato per gli europei ha questa origine in un pensiero strategico statunitense bipartisan che impone agli alleati un loro riarmo. Se così, dovremmo noi europei così come le democrazie del Pacifico riflettere su una nuova strategia che porti ad una (sorta di) Nato globale e ad un nuovo concetto di allargamento del G7 per rispondere al nuovo bipolarismo con una riglobalizzazione selettiva economica e militare più strutturata che ritengo interesse vitale per l’Italia se vorrà avere status globale via alleanze che ne moltiplicano la media forza nazionale. Al riguardo del Giappone penso opportuno rinforzare la già forte convergenza bilaterale, spingendo anche gli altri alleati a non lasciare sola la tostissima signora Sanae Takaichi.www.carlopelanda.com
La caserma Tenente Francesco Lillo della Guardia di Finanza di Pavia (Ansa)
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