2025-11-16
A Garlasco spunta anche la guerra del riso
La caserma Tenente Francesco Lillo della Guardia di Finanza di Pavia (Ansa)
La confessione di un ex imprenditore getta altre ombre sul «Sistema Pavia»: «Il business serviva agli operatori per coprire attività illecite come il traffico di droga e armi. Mi hanno fatto fuori usando la magistratura. Il mio avversario? Forse un parente di Sempio».Nel cuore della Lomellina, dove sono maturate le indagini sull’omicidio di Garlasco e dove sono ora concentrate quelle sul «Sistema Pavia», si sarebbe consumata anche una guerra del riso. Uno scontro tra titani europei della produzione, che da sempre viaggia sotto traccia ma che, ora che i riflettori sull’omicidio di Chiara Poggi si sono riaccesi, viene riportata alla luce. A stanare uno dei protagonisti della contesa è stato Andrea Tosatto, scrittore con due lauree (una in Psicologia e una in Filosofia) e una lunghissima serie di ironiche produzioni musicali (e non solo) sul caso Garlasco. Venerdì ha incontrato Fabio Aschei, che definisce «uno con tante cose da raccontare su ciò che succedeva nella Garlasco di Chiara Poggi».Nelle prime battute c’è tutto. L’imprenditore, poi fallito («aiutato a fallire», dice Tosatto), spara subito i colpi che da anni tiene in canna e descrive il settore come «abbastanza controllato», nelle mani di «pochi operatori», dove gli «equilibri» saltano facilmente perché servirebbe a coprire delle «attività collaterali». Quali? «Traffico di stupefacenti, di rifiuti, di armi e riciclaggio».La storia entra subito in una palude. E se «una volta ti sparavano», dice Aschei, «ora ti fanno fuori col sistema giudiziario». Aschei finì in un’inchiesta sulla ’ndrangheta istruita da Federico Cafiero de Raho, all’epoca procuratore di Reggio Calabria e ora parlamentare pentastellato. Poi è stato assolto dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e spaccio. «Ma», dice alla Verità, «dopo un viaggio che hanno fatto dei magistrati di Pavia in Calabria, ho fatto 2 anni e 6 mesi di domiciliari e l’intestazione fittizia di società, unico reato che era rimasto in piedi, è finito in prescrizione». E se con Tosatto, mentre mette in fila nomi e circostanze, tira dentro pure la «massoneria», i «sogni» dell’avvocato Massimo Lovati «usati per mandare dei messaggi» e il santuario della Bozzola, «dove», secondo Aschei, «c’era un giro del riciclaggio di denaro frutto dell’attività di prostituzione a Garlasco», in un esposto che porta la sua firma (che la Verità è riuscita a recuperare), completa la sua versione piena di nodi irrisolti. Che parte dalla sua azienda, «fatta a pezzi» nell’ambito di una partita che sarebbe molto più grande. E che presenta una coincidenza (ma non l’unica): il suo avversario sarebbe un certo Sempio, magnate delle risaie, che nelle intercettazioni sarebbe diventato «Sepio». E che nell’intervista con Tosatto viene indicato come «forse» parente «non direttissimo» di Andrea, ma che nell’esposto si trasforma in un elemento centrale nella sua vicenda. Il documento va trattato con prudenza. Perché non tutto ciò che Aschei sostiene è facilmente verificabile. Molti passaggi citano inchieste e fatti reali, ma le connessioni che costruisce sono personali. Il risultato è un mosaico complesso, in cui pezzi riscontrabili e pezzi soggettivi si mescolano. E in cui compare una seconda coincidenza. Aschei ha parlato di traffico di rifiuti. E la mente non può che correre a Giorgio Comerio, l’armatore con una residenza a Garlasco, che compare in diverse inchieste degli anni Novantaq, compresa quella sulle «navi dei veleni» usate per smaltimenti illeciti in mare. La guerra del riso, afferma ora Aschei, «affonda le sue radici in quel periodo, ma questa è una storia molto complicata da ricostruire». Subito dopo sostiene: «Io ci sto provando perché devo capire fino in fondo cosa mi è capitato». E dopo aver attraversato parecchie ere giudiziarie questa guerra, a dire di Aschei, arriverebbe fino alle vecchie inchieste sull’omicidio Poggi. Quelle di oggi, invece, l’imprenditore le descrive come intente a «sollevare fumo per delle indagini» che, in realtà, sarebbero «molto più pesanti». O, almeno, questa sembra la sua speranza. «Qui», spiega alla Verità, «di imprenditori come me che sono finiti nel tritacarne ce ne sono moltissimi e gli equilibri stanno cambiando ancora». Parole sibilline. Nelle quali, se si è facilmente suggestionabili, è facile inserire molto di ciò che sta accadendo. Compresi gli scontri frontali che si stanno consumando tra l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti e la Procura di Brescia che l’ha iscritto nel registro degli indagati per una ipotesi di corruzione in atti giudiziari legata all’archiviazione del 2017 del procedimento in cui era indagato Andrea Sempio. L’altro giorno il difensore di Venditti, l’avvocato Domenico Aiello, ha definito quello dei pm «un atteggiamento farisaico», visto che non si erano presentati davanti ai giudici del Riesame. Il procuratore generale Guido Rispoli e il procuratore Francesco Prete ieri hanno replicato, avvisando che «i recenti attacchi sopra le righe nell’ambito di un’indagine di forte rilevanza mediatica rischiano di far deragliare il processo penale su terreni impropri». Aiello ha controreplicato: «Sarebbe stato il momento giusto per presentare le scuse e assumere una decisione doverosa e responsabile». Frizioni che, per quanto sopra le righe, però, restano ancora nel perimetro della giustizia e sembrano difficili da inscrivere, per ora, nella velata trama della guerra del riso.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
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