2024-11-30
I ribelli siriani entrano ad Aleppo. Putin sente puzza di sgambetto turco
Il regime di Assad di nuovo in difficoltà. Dietro ci sarebbe la mano di Erdogan, che mira a depotenziare Mosca nell’area.Sta salendo la tensione in Siria. Mercoledì, le forze ribelli hanno avviato una vasta offensiva contro Bashar al Assad nella parte nordoccidentale del Paese. Gli scontri che ne sono derivati sono i più significativi dal marzo 2020: da quando, cioè, Turchia e Russia mediarono un cessate il fuoco nell’area. Giovedì, le forze aeree di Damasco e Mosca hanno bombardato gli insorti per cercare di bloccarne l’avanzata. Tuttavia, i ribelli, oltre ad aver conquistato vari villaggi e alcuni centri urbani, hanno annunciato ieri di essere penetrati ad Aleppo, che - seconda città della Siria - era stata riconquistata da Assad nel 2016. Irritata per l’avanzata degli insorti, Mosca ha confermato il proprio sostegno al presidente siriano. «Per quanto riguarda la situazione nei pressi di Aleppo, si tratta di una violazione della sovranità della Siria. Siamo a favore del governo siriano affinché ripristini rapidamente l’ordine in questo distretto e ripristini l’ordine costituzionale», ha dichiarato ieri il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, il quale si è al contempo rifiutato di commentare l’indiscrezione, secondo cui Assad si sarebbe recato a Mosca per dei colloqui con Vladimir Putin.Ricordiamo che la Russia è una ferrea alleata del regime di Damasco e che quest’ultimo intrattiene anche stretti rapporti con quello khomeinista. Non a caso, gli insorti hanno dichiarato che la loro operazione militare non è diretta soltanto contro Assad ma anche contro le «milizie iraniane». Teheran, per parte sua, ha accusato Stati Uniti e Israele di aver «riattivato» i ribelli. E proprio il network del regime khomeinista ci fa capire come la crisi siriana si intersechi con quelle esplose in Libano e a Gaza. Come detto, l’offensiva contro Assad è iniziata mercoledì: vale a dire lo stesso giorno in cui Gerusalemme e Beirut siglavano l’accordo per il cessate il fuoco. Inoltre, secondo la Cnn, i ribelli starebbero conducendo l’offensiva contro il presidente siriano sfruttando il recente indebolimento dei proxy iraniani a opera di Israele.In quest’ottica, è lecito chiedersi quale sia il ruolo della Turchia nell’operazione militare in corso. A prima vista, Ankara sembrerebbe aver preso le distanze dall’attacco. Fonti turche hanno infatti riferito alla Cnn di aver cercato di dissuadere i ribelli dall’agire onde «impedire un’ulteriore escalation delle tensioni nella regione a causa dell’aggressione di Israele». Tuttavia attenzione. Tra i gruppi ribelli coinvolti nell’attacco ce ne sono soprattutto due: l’organizzazione jihadista Tahrir Al Sham e, secondo Middle East Eye, alcune sezioni dell’Esercito nazionale siriano. Quest’ultimo è un raggruppamento di sigle ribelli storicamente spalleggiato dalla Turchia, che intrattiene invece rapporti più ambigui con Tahrir Al Sham. Nonostante Ankara l’abbia designata come entità terroristica nel 2018, il Center for Strategic and International Studies ha riferito che si è registrata una cooperazione intermittente tra questa organizzazione e le forze turche. Infine, proprio ieri Ankara ha chiesto la cessazione dei raid aerei, condotti contro Idlib da Siria e Russia. Insomma, non è del tutto escludibile che l’offensiva degli insorti siriani sia avvenuta con la benedizione di Recep Tayyip Erdogan, il quale potrebbe aver visto una finestra di opportunità a seguito dell’indebolimento dell’Iran e dei suoi proxy grazie alle azioni di Israele.La spregiudicatezza del sultano è del resto ben nota. Il presidente turco è infatti abituato alle «rivoluzioni diplomatiche»: pensiamo a quando, nel 2022, aprì all’Arabia Saudita dopo anni di gelo a causa delle divergenze per il suo sostegno alla Fratellanza musulmana. Senza poi trascurare che, fino al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023, il sultano era in una fase di relativa distensione con lo Stato ebraico. Insomma, non si può escludere che Erdogan sia intenzionato ad assestare un duro colpo al suo vecchio rivale Assad, approfittando sia della debolezza iraniana sia del periodo di transizione presidenziale negli Stati Uniti. Chissà che il sultano non si stia riposizionando anche in considerazione dell’ormai prossimo insediamento di Donald Trump: il presidente americano in pectore ha infatti intenzione di ripristinare la politica della «massima pressione» sull’Iran e di rilanciare gli accordi di Abramo. Del resto, Israele non è certo dispiaciuta dei problemi in cui attualmente versa un suo acerrimo nemico come Assad. Infine, mettendo in difficoltà Damasco e Teheran, Erdogan mira verosimilmente anche ad arginare l’influenza russa sul Medio Oriente.È chiaro che, se questo è il gioco del sultano, le sue relazioni con Putin potrebbero diventare presto assai tese. Secondo Middle East Eye, Mosca sta incontrando delle difficoltà ad aiutare Assad in quanto distratta dal fronte ucraino: una situazione che potrebbe spingere lo zar a spostare i suoi Africa Corps in territorio siriano. Il punto è che, per il Cremlino, l’indebolimento di Assad può tradursi in un calo della propria influenza mediorientale e, indirettamente, in una diminuzione del proprio potere contrattuale in vista delle eventuali trattative ucraine. Non a caso, negli ultimissimi anni, Putin aveva cercato di mediare, senza troppo successo, una distensione tra Ankara e Damasco, probabilmente per «imbrigliare» lo spregiudicato Erdogan: un obiettivo che alla fine non è andato in porto. E adesso la nuova crisi siriana preoccupa non poco il Cremlino.
Jose Mourinho (Getty Images)