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2018-04-26
L'ultimo schiaffo dei giudici: respinti i ricorsi per la fuga
ANSA
Hanno tentato il tutto per tutto Tom e Kate, il papà e la mamma di Alfie Evans, per dare al loro bimbo la possibilità di vivere. Ma non è servito. I giudici di Londra hanno respinto definitivamente il loro ultimo appello: Alfie non può essere portato in Italia.
Proprio ieri pomeriggio, mentre il piccolo lottava per la sopravvivenza respirando da solo a dispetto delle previsioni e delle presunte certezze dei medici, i legali della famiglia davano battaglia in tribunale, per tentare di convincere la corte d'Appello della possibilità di trasferire il bambino a Roma. L'obiettivo era dargli una possibilità di vita, in un altro luogo di cura, facendolo uscire da quell'ospedale, l'Alder hey di Liverpool che ha chiesto per lui il distacco dei macchinari e che, secondo papà Tom, lo sta tenendo «prigioniero», al di fuori degli standard minimi di cura e di pietà.
L'ennesima udienza si era aperta dopo che ieri i genitori di Alfie avevano presentato un ricorso d'urgenza (che per massimizzare le possibilità di successo era stato presentato a nome dei due genitori, con due argomentazioni leggermente diverse), contro la decisione del giudice che, aveva dato il consenso di portare il bimbo a casa, ma aveva detto no al trasporto in un altro Paese e in un altro ospedale.
In un confronto serrato, che già non lasciava grandi spazi alla speranza, gli avvocati dell'Adler hey per giustificare che il piccolo è ancora in vita hanno dichiarato che «non era mai stato detto che la morte del piccolo sarebbe stata immediata». Poi hanno ribadito la linea di sempre: «non c'è alcuna nuova evidenza medica che contraddica l'evidenza» su cui si è basata la sentenza dell'alta corte in febbraio e hanno sottolineato come sarebbe stato davvero «sorprendente se la libertà di movimento fosse prevalsa sul migliore interesse di Alfie».
Il migliore interesse. È proprio questo il concetto chiave su cui si snoda tutta la battaglia. A partire dalla prima, inutile, opposizione alla sentenza della corte sul distacco delle macchine fino all'appello di ieri, è contro questo principio che Tom e Kate stanno lottando da mesi. È l'architrave del sistema inglese. In ogni situazione che interessa il bambino «il suo miglior interesse deve essere preso in fondamentale considerazione» (The nuffield council on bioethics). Anche in casi come questi, in cui il presunto miglior interesse di Alfie sarebbe la morte. Basta il benestare dei giudici e scatta il Liverpool care pathway (Lcp), un protocollo che prevede la sospensione di cure, nutrizione e idratazione. Se i familiari si oppongono le loro richieste vengono sottoposte alla decisione dei tribunali (Medical and legal establishments). Ma, come dimostra questo caso, per le ragioni dei genitori non restano grandi speranze.
Ma Tom e Kate Evans non sono tipi facili e l'hanno dimostrato. Nelle ultime ore hanno cambiato strategia, battendo strade legali diverse. Il padre ha seguito la linea dura, minacciando di far causa a tre medici dell'Alder hey, per cospirazione finalizzata all'omicidio, e ha fatto sapere di aver già preso contatti con investigatori privati per istruire il caso.
Anche durante l'udienza il team legale di Tom aveva chiesto senza mezzi termini alla corte di «uscire dalla camicia di forza giudiziaria», da un sistema dove il miglior interesse «significa che qualcuno deve morire». E aveva lanciato un ultimo disperato appello: «Non lasciate morire Alfie di fame in una camera d'ospedale... Ma che razza di Paese stiamo diventando?». Nel frattempo mamma Kate, seguita da altri legali, tentava la strada della richiesta a oltranza di assistenza, cercando di ottenere ossigeno e acqua per il suo bambino, condannato a una morte lenta. L'udienza è terminata ieri alle 19 dopo quattro ore di arringhe delle parti in causa.
Intanto, fuori dai tribunali inglesi, anche la politica tentava di percorrere la strada legale. Con una interrogazione urgente alla Commissione europea, le eurodeputate del Partito democratico e del gruppo S&D Silvia Costa e Patrizia Toia hanno chiesto un'azione decisa da parte dell'Unione europea. «L'alta corte britannica ha negato ad Alfie il diritto di ricevere cure e prestazioni sanitarie in un altro Stato membro dell'Unione, come richiesto dai suoi genitori, violando i diritti fondamentali dell'Ue e la libera circolazione dei pazienti nel territorio dell'Ue», hanno spiegato. Tentativi che si sommano uno con l'altro, anche se il tempo stringe.
Pochi giorni fa, sempre nel tentativo di far capitolare i giudici di Londra, era stata interpellata anche la Corte europea dei diritti umani che però aveva deciso di non intervenire. I genitori si erano rivolti a Strasburgo nel tentativo di ottenere un nuovo giudizio sul verdetto che autorizzava i medici a staccare la spina. «Questa è la legge di questo Paese e nessun ricorso può o deve cambiarla», avevano però risposto freddamente i tre giudici della suprema Corte inglese, soddisfatti del mancato intervento della Cedu. Ora resta il rammarico perché Alfie non potrà più ricevere le cure palliative al Bambino Gesù di Roma. Mentre in Inghilterra, come è stato per Charlie Gard, la volontà di un tribunale ha prevalso su quella dei genitori di un bimbo con una malattia sconosciuta, se Alfie fosse stato trasferito in Italia a decidere della sua vita sarebbero tornati a essere mamma e papà.
Alessia Pedrielli
Il papà: «Trattato come un animale»
«Un animale sarebbe stato trattato meglio». Ieri, all'alba del terzo giorno di veglia e di tensione, Thomas Evans ha usato un'immagine forte per descrivere la situazione assurda in cui Alfie sta vivendo, insieme ai suoi genitori, all'interno dell'Alder hey hospital di Liverpool. Da quando lunedì sera è stato staccato il respiratore che per mesi ha aiutato il bimbo malato a respirare, si sono alternati eventi miracolosi e gesti vili. Ma c'era da aspettarselo. I medici erano convinti (o forse speravano) che il piccolo sarebbe morto nel giro di pochi minuti senza l'aiuto delle macchine, invece lui ha continuato a lottare e questo ha messo a nudo molte incertezze, forse anche qualche errore.
Lo ha ribadito a voce alta Tom Evans, parlando in televisione e con i giornalisti. Con le occhiaie marcate e il volto ancora più scavato ha sfidato la scienza. «Sono tre giorni che non dormo, da tre giorni non abbiamo avuto che tortura e privazioni», ha scritto su Faccebook. «Il nostro bambino continua a combattere e non soffre, non ha dolore. Alfie sta facendo del suo meglio, non si arrende. Combatte da 36 ore, difende la sua vita. Nessuno se lo aspettava ma ci sta riuscendo. Spero che riusciremo a portarlo a casa, è quello che mi auguro e mi renderebbe già felice».
L'idea di trasferire il piccolo a Roma per ora rimane in secondo piano. A Tom basterebbe avere il bambino tra le mura domestiche, per poter vivere in modo normale, magari anche riposare un po'. All'ospedale, in queste notti, ai genitori di Alfie non sono stati dati un letto o un divano per dormire. C'è una foto di Thomas accucciato per terra su un piumone ripiegato. Come ha confidato ai tabloid inglesi ieri mattina, l'ospedale si sta comportando in maniera «disgustosa, che non sembra nemmeno umana». Sulla pagina ufficiale dell'Alfie's army, l'esercito pacifico che sostiene il piccolo ammalato, Tom Evans ha fatto capire al mondo che aria si respira all'interno dell'Alder hey: «Ho chiesto a un'infermiera di dirmi se poteva trovare un piccolo divano, ma mi ha detto di no». Ormai la relazione di fiducia tra la famiglia e il personale del centro di cura di Liverpool è definitivamente compromessa. «Questo ospedale ha davvero tirato troppo la corda», ha continuato il papà di Alife spiegando che da 48 ore il bambino non riceve visite. «Hanno fatto tutto male, in così tanti modi e per così tante ragioni». Adesso la famiglia sta pensando di adire alle vie legali contro tre medici del presidio. Li accusano di aver cospirato per uccidere il bambino e hanno chiesto a un investigatore di fare accertamenti e raccogliere prove.
Al momento Alfie Evans rimane senza il respiratore, ma riceve acqua, latte e ossigeno. Quando i dottori hanno minacciato di togliere la mascherina che serve a sostenerlo, perché non era parte dell'equipaggiamento ospedaliero, Tom Evans ha avuto una reazione feroce. Ormai è certo che nessuno voglia aiutare il piccolo. A convincerlo è anche il fatto che all'inizio non lo volessero alimentare. «È disgustoso come si stanno comportando con lui. Nemmeno un animale sarebbe stato trattato a questo modo», ha detto. «Alfie ha dimostrato che questi medici hanno sbagliato. Sarebbe ora di dare al piccolo un po' di dignità e supporto e di lasciarlo andare a casa o a curarsi in Italia». Ieri le parole di questo padre con gli occhi spiritati dal dolore e dalla fatica sono riecheggiate via radio, tv e Web, ripetendo gli stessi concetti di lotta, rabbia e speranza. E, ancora una volta, hanno ricevuto in risposta migliaia di incoraggiamenti via social network da parte di sostenitori sparsi in tutto il mondo.
Caterina Belloni
Quando quell’ospedale pediatrico espiantava organi senza permesso
Ma se il suo cervello è completamente distrutto, «brain dead» dice una voce del video choc che è stato pubblicato ieri sulla Nuova bussola quotidiana, perché «non cessano di funzionare tutti i suoi organi»? Già, perché? La misteriosa malattia che affligge Alfie Evans, di cui non c'è diagnosi, comunque si sta comportando in un modo non previsto dai medici dell'Alder hey, che su questo hanno commesso un errore. «Hanno detto che non sarebbe durato cinque minuti senza un ventilatore e il tribunale concordava», ha dichiarato Thomas Evans, il papà del piccolo paziente inglese, ma la realtà è che dalle 22.17 dello scorso 23 aprile, Alfie ha respirato da solo, senza ventilatore, ora si alimenta e viene idratato. Alfie semplicemente vive, ribaltando in modo inequivocabile ciò che l'ospedale di Liverpool aveva predetto sarebbe accaduto una volta staccato il ventilatore, e questo indipendentemente da come andranno a finire le cose.
Durante l'udienza di martedì scorso, quella in cui il giudice Anthony Hayden ha impedito il trasferimento a Roma, i medici dell'Alder hey hanno lamentato un clima di «ostilità» nei loro confronti e si sono anche rifiutati di mandare a casa il bambino, almeno non prima di «tre o cinque giorni». Quindi, né a Roma, né a casa. Perché? In fondo al piccolo è stato tolto quello che doveva essere il suo sostegno vitale e non si vede cosa possa impedire ai genitori di portare via il figlio. Pur parlando di «confort» e di «best interest» da garantire, sembra quasi che l'ospedale inglese scommetta solo sulla morte del piccolo, e che questa morte debba avvenire dentro l'Alder hey.
Anche Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù, l'ospedale vaticano che si è offerto per accogliere Alfie, ha fatto una dichiarazione che getta ulteriori perplessità sulla condotta medica dell'Alder hey. Ieri al Corriere della Sera ha, infatti, detto che non immaginava «si sarebbero messi contro di noi in maniera così aperta. Credo sia il risultato di una battaglia ideologica e che la scelta non sia stata tecnica. Hanno ingannato la famiglia. (…) Sarei felice se lo mandassero ovunque, purché non muoia in quell'ospedale. Ho visto attorno ai genitori troppi movimenti non utili al bambino». Nel video che abbiamo segnalato in apertura, sebbene non sia possibile identificare chi sta parlando, quello che dovrebbe essere personale medico e paramedico dell'Alder hey alimenta sospetti circa «qualcosa da nascondere». In particolare uno degli interlocutori, che dovrebbe essere un medico, pronuncia una frase molto ambigua: «Non posso dire nulla perché mi metterebbe nei guai, vista la mia posizione. Personalmente credo che questo ospedale stia coprendo qualcosa, qualcosa di veramente grosso». Prendiamo con le dovute cautele questo video e queste parole, ma gli indizi che fanno pensare a qualcosa di poco chiaro nella gestione della «pratica Alfie» da parte dell'Alder hey ci sono tutti.
Nel dibattimento del ricorso all'Alta Corte di ieri pomeriggio, è emerso che Thomas Evans nella giornata di martedì ha cercato di presentare denuncia contro 3 medici dell'Alder hey hospital con l'accusa di cospirazione al fine di uccidere Alfie. A cosa si riferisse il padre non è chiaro, ma basti pensare che ieri pomeriggio il personale ha tolto la mascherina dell'ossigeno al bambino perché il supporto «non è di proprietà dell'ospedale».
L'Alder hey di Liverpool ha in cura Alfie dal dicembre 2016 per convulsioni che lo fanno soffrire e nell'agosto 2017, dopo mesi di vani tentativi nello stabilire diagnosi e cura, l'ospedale decide di togliere la ventilazione perché quella del bambino sarebbe una vita di «bassa qualità».
Però, dice alla Verità il neurochirurgo e leader del Family day Massimo Gandolfini, «non hanno mai dichiarato la sua morte cerebrale, unica condizione medica oggi giudicata irreversibile. E non si può nemmeno affermare che i sostegni vitali somministrati ad Alfie fossero futili, perché raggiungevano perfettamente lo scopo per cui erano praticati: mantenere in vita il bambino. La scelta di staccare il ventilatore quindi è solo perché si giudica che la sua fosse una qualità di vita non sufficiente. In nessun modo si può parlare di accanimento terapeutico, perché la terapia è relativa a cercare di contrastare o vincere una malattia, mentre la cura di un disabile è tutt'altro». Da questo punto di vista la scelta di staccare la spina assume una valenza eutanasica.
L'Alder hey di Liverpool ha nel suo passato pagine oscure, come quella dello scandalo di traffico di organi di bambini che venne alla luce nel 2001. «Gli organi», rivelava la Bbc, «erano stati tolti senza permesso da bambini che sono morti nell'ospedale nel periodo 1988-1996». Il caso è scoppiato quando il cardiologo Robert Anderson, in seguito ad un'altra indagine, rivelò che presso l'Alder hey hospital c'era un «negozio» di cuori di bambini. L'ospedale riconobbe il fatto, insieme a quello di ghiandole linfatiche rimosse da bambini ancora vivi per essere poi vendute a una casa farmaceutica che aveva finanziato il loro reparto di cardiologia. Lo stesso ospedale nel 2012 era stato denunciato dal British Medical Journal per l'applicazione del Liverpool Care Pathway, la cosiddetta death pathway, cioè una lista di pazienti a cui si decide di applicare un protocollo di sospensione dei sostegni vitali per malati terminali. Secondo la denuncia, l'Alder hey metteva in questa lista anche bambini disabili gravi in modo controverso.
Oggi nel caso di Alfie il «miglior interesse» del bambino, ripetono medici e giudici inglesi, è quello di morire. Cresce un ragionevole dubbio sull'operato medico dell'Alder hey: forse anche Alfie è finito in una qualche death list?
Lorenzo Bertocchi
Il giudice che ha staccato la spina è attivista gay
Il giudice inglese Anthony Hayden che finora ha deciso sulla vita e la morte di Alfie, ordinando ripetutamente di staccare il respiratore nel «migliore interesse» del bambino perché la sua vita è «inutile», è un campione dei diritti lgbt e coautore del saggio sull'omogenitorialità Children and same sex families: a legal handbook. Sembra anche che faccia parte del gruppo forense Blaag, organizzazione impegnata per le istanze degli omosessuali, che tra anni fa ha salutato con grande apprezzamento la nomina di Hayden alla divisione famiglia dell'Alta Corte britannica, con un post ancora visibile con sul suo sito. A una prima valutazione superficiale, l'impegno pro Lgbt di Hayden e la sua ostinazione a negare le cure e il trasferimento in Italia del piccolo Alfie non hanno alcun collegamento. Tuttavia non si può non osservare che lo stesso Hayden è coautore di un volume che le recensioni presenti sul Web definiscono «un manuale giuridico e una guida preziosa per questo settore del diritto in rapida evoluzione, scritto per tutti gli avvocati di famiglia e professionisti collegati», un testo che dedica un intero capito alla «Surrogacy», volgarmente detta utero in affitto.
Un pratica rispetto alla quale Hayden e altri giuristi danno consigli su come poterla sfruttare senza incorrere in problemi legali. C'è persino un paragrafo che spiega «quali sono i modi per un genitore committente per diventare il custode legale di un bambino a seguito di una maternità surrogata». Un altro capitolo di questo manuale approfondisce invece il tema delle adozioni per coppie dello stesso sesso. D'altra parte nella prefazione del libro Hayden afferma che quello della famiglia è un «concetto in continua evoluzione». Poi ricorda che sulla scia della nuova legislazione «siamo anche più attenti al nostro linguaggio». Dunque non è affatto una forzatura affermare che il giudice Hayden considera nel miglior interesse di un bambino che esso possa essere oggetto di mercimonio tra una madre portatrice e due uomini committenti, e che il neonato possa essere allontanato dalla donna che lo ha generato, pochi minuti dopo il parto, per soddisfare il desiderio di genitorialità di due adulti. Questo stesso giudice ritiene anche di fare gli interessi di un bambino negando ai suoi genitori di poterlo portare in un altro Paese che gli garantirebbe le cure necessarie per tenerlo in vita. Hayden martedì ha infatti confermato il suo categorico «no» al trasferimento in Italia.
Il giudice si è inoltre preso la libertà di criticare alcune persone vicine ai genitori accusandole di dare «false speranze». Il cursus honorum di Hayden è quello di un vero progressista. In merito ai casi di arruolamento di giovani britannici nell'Isis, il giudice dell'Alta corte ha mostrato infatti un atteggiamento molto più comprensivo, chiedendo persino l'istituzione di tribunali specializzati per persone vulnerabili che, secondo Hayden, sarebbero stati «sottoposti a lavaggio del cervello». Insomma anche le corti britanniche sono ostaggio del politicamente corretto.
Marco Guerra
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Riduci
I genitori di Alfie Evans si erano rivolti alla corte d'Appello contro il divieto di trasferirsi a Roma. Ma i togati hanno detto no. Pronta la denuncia per tentato omicidio.Il papà Tom, costretto a dormire per terra, lancia nuove accuse: nessuna visita nelle ultime 48 ore, metodi disgustosi, polizia ovunque. «Lo stanno lasciando morire». Ombre sulla struttura in cui è ricoverato il piccolo: in un filmato si parla di «qualcosa di grosso da nascondere». Nel passato del nosocomio anche uno scandalo su cuori e ghiandole rimossi irregolarmente a piccoli pazienti. Il magistrato britannico Anthony Hayden è colui che fino a oggi ha deciso sulla vita e la morte di Alfie, ordinando ripetutamente di staccare il respiratore nel «migliore interesse» del bambino perché la sua vita è «inutile». è un campione dei diritti lgbt e firmò un testo sull'omogenitorialità. Lo speciale contiene quattro articoli. Hanno tentato il tutto per tutto Tom e Kate, il papà e la mamma di Alfie Evans, per dare al loro bimbo la possibilità di vivere. Ma non è servito. I giudici di Londra hanno respinto definitivamente il loro ultimo appello: Alfie non può essere portato in Italia. Proprio ieri pomeriggio, mentre il piccolo lottava per la sopravvivenza respirando da solo a dispetto delle previsioni e delle presunte certezze dei medici, i legali della famiglia davano battaglia in tribunale, per tentare di convincere la corte d'Appello della possibilità di trasferire il bambino a Roma. L'obiettivo era dargli una possibilità di vita, in un altro luogo di cura, facendolo uscire da quell'ospedale, l'Alder hey di Liverpool che ha chiesto per lui il distacco dei macchinari e che, secondo papà Tom, lo sta tenendo «prigioniero», al di fuori degli standard minimi di cura e di pietà. L'ennesima udienza si era aperta dopo che ieri i genitori di Alfie avevano presentato un ricorso d'urgenza (che per massimizzare le possibilità di successo era stato presentato a nome dei due genitori, con due argomentazioni leggermente diverse), contro la decisione del giudice che, aveva dato il consenso di portare il bimbo a casa, ma aveva detto no al trasporto in un altro Paese e in un altro ospedale. In un confronto serrato, che già non lasciava grandi spazi alla speranza, gli avvocati dell'Adler hey per giustificare che il piccolo è ancora in vita hanno dichiarato che «non era mai stato detto che la morte del piccolo sarebbe stata immediata». Poi hanno ribadito la linea di sempre: «non c'è alcuna nuova evidenza medica che contraddica l'evidenza» su cui si è basata la sentenza dell'alta corte in febbraio e hanno sottolineato come sarebbe stato davvero «sorprendente se la libertà di movimento fosse prevalsa sul migliore interesse di Alfie». Il migliore interesse. È proprio questo il concetto chiave su cui si snoda tutta la battaglia. A partire dalla prima, inutile, opposizione alla sentenza della corte sul distacco delle macchine fino all'appello di ieri, è contro questo principio che Tom e Kate stanno lottando da mesi. È l'architrave del sistema inglese. In ogni situazione che interessa il bambino «il suo miglior interesse deve essere preso in fondamentale considerazione» (The nuffield council on bioethics). Anche in casi come questi, in cui il presunto miglior interesse di Alfie sarebbe la morte. Basta il benestare dei giudici e scatta il Liverpool care pathway (Lcp), un protocollo che prevede la sospensione di cure, nutrizione e idratazione. Se i familiari si oppongono le loro richieste vengono sottoposte alla decisione dei tribunali (Medical and legal establishments). Ma, come dimostra questo caso, per le ragioni dei genitori non restano grandi speranze. Ma Tom e Kate Evans non sono tipi facili e l'hanno dimostrato. Nelle ultime ore hanno cambiato strategia, battendo strade legali diverse. Il padre ha seguito la linea dura, minacciando di far causa a tre medici dell'Alder hey, per cospirazione finalizzata all'omicidio, e ha fatto sapere di aver già preso contatti con investigatori privati per istruire il caso. Anche durante l'udienza il team legale di Tom aveva chiesto senza mezzi termini alla corte di «uscire dalla camicia di forza giudiziaria», da un sistema dove il miglior interesse «significa che qualcuno deve morire». E aveva lanciato un ultimo disperato appello: «Non lasciate morire Alfie di fame in una camera d'ospedale... Ma che razza di Paese stiamo diventando?». Nel frattempo mamma Kate, seguita da altri legali, tentava la strada della richiesta a oltranza di assistenza, cercando di ottenere ossigeno e acqua per il suo bambino, condannato a una morte lenta. L'udienza è terminata ieri alle 19 dopo quattro ore di arringhe delle parti in causa. Intanto, fuori dai tribunali inglesi, anche la politica tentava di percorrere la strada legale. Con una interrogazione urgente alla Commissione europea, le eurodeputate del Partito democratico e del gruppo S&D Silvia Costa e Patrizia Toia hanno chiesto un'azione decisa da parte dell'Unione europea. «L'alta corte britannica ha negato ad Alfie il diritto di ricevere cure e prestazioni sanitarie in un altro Stato membro dell'Unione, come richiesto dai suoi genitori, violando i diritti fondamentali dell'Ue e la libera circolazione dei pazienti nel territorio dell'Ue», hanno spiegato. Tentativi che si sommano uno con l'altro, anche se il tempo stringe. Pochi giorni fa, sempre nel tentativo di far capitolare i giudici di Londra, era stata interpellata anche la Corte europea dei diritti umani che però aveva deciso di non intervenire. I genitori si erano rivolti a Strasburgo nel tentativo di ottenere un nuovo giudizio sul verdetto che autorizzava i medici a staccare la spina. «Questa è la legge di questo Paese e nessun ricorso può o deve cambiarla», avevano però risposto freddamente i tre giudici della suprema Corte inglese, soddisfatti del mancato intervento della Cedu. Ora resta il rammarico perché Alfie non potrà più ricevere le cure palliative al Bambino Gesù di Roma. Mentre in Inghilterra, come è stato per Charlie Gard, la volontà di un tribunale ha prevalso su quella dei genitori di un bimbo con una malattia sconosciuta, se Alfie fosse stato trasferito in Italia a decidere della sua vita sarebbero tornati a essere mamma e papà. 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I medici erano convinti (o forse speravano) che il piccolo sarebbe morto nel giro di pochi minuti senza l'aiuto delle macchine, invece lui ha continuato a lottare e questo ha messo a nudo molte incertezze, forse anche qualche errore. Lo ha ribadito a voce alta Tom Evans, parlando in televisione e con i giornalisti. Con le occhiaie marcate e il volto ancora più scavato ha sfidato la scienza. «Sono tre giorni che non dormo, da tre giorni non abbiamo avuto che tortura e privazioni», ha scritto su Faccebook. «Il nostro bambino continua a combattere e non soffre, non ha dolore. Alfie sta facendo del suo meglio, non si arrende. Combatte da 36 ore, difende la sua vita. Nessuno se lo aspettava ma ci sta riuscendo. Spero che riusciremo a portarlo a casa, è quello che mi auguro e mi renderebbe già felice». L'idea di trasferire il piccolo a Roma per ora rimane in secondo piano. A Tom basterebbe avere il bambino tra le mura domestiche, per poter vivere in modo normale, magari anche riposare un po'. All'ospedale, in queste notti, ai genitori di Alfie non sono stati dati un letto o un divano per dormire. C'è una foto di Thomas accucciato per terra su un piumone ripiegato. Come ha confidato ai tabloid inglesi ieri mattina, l'ospedale si sta comportando in maniera «disgustosa, che non sembra nemmeno umana». Sulla pagina ufficiale dell'Alfie's army, l'esercito pacifico che sostiene il piccolo ammalato, Tom Evans ha fatto capire al mondo che aria si respira all'interno dell'Alder hey: «Ho chiesto a un'infermiera di dirmi se poteva trovare un piccolo divano, ma mi ha detto di no». Ormai la relazione di fiducia tra la famiglia e il personale del centro di cura di Liverpool è definitivamente compromessa. «Questo ospedale ha davvero tirato troppo la corda», ha continuato il papà di Alife spiegando che da 48 ore il bambino non riceve visite. «Hanno fatto tutto male, in così tanti modi e per così tante ragioni». Adesso la famiglia sta pensando di adire alle vie legali contro tre medici del presidio. Li accusano di aver cospirato per uccidere il bambino e hanno chiesto a un investigatore di fare accertamenti e raccogliere prove. Al momento Alfie Evans rimane senza il respiratore, ma riceve acqua, latte e ossigeno. Quando i dottori hanno minacciato di togliere la mascherina che serve a sostenerlo, perché non era parte dell'equipaggiamento ospedaliero, Tom Evans ha avuto una reazione feroce. Ormai è certo che nessuno voglia aiutare il piccolo. A convincerlo è anche il fatto che all'inizio non lo volessero alimentare. «È disgustoso come si stanno comportando con lui. Nemmeno un animale sarebbe stato trattato a questo modo», ha detto. «Alfie ha dimostrato che questi medici hanno sbagliato. Sarebbe ora di dare al piccolo un po' di dignità e supporto e di lasciarlo andare a casa o a curarsi in Italia». Ieri le parole di questo padre con gli occhi spiritati dal dolore e dalla fatica sono riecheggiate via radio, tv e Web, ripetendo gli stessi concetti di lotta, rabbia e speranza. E, ancora una volta, hanno ricevuto in risposta migliaia di incoraggiamenti via social network da parte di sostenitori sparsi in tutto il mondo. Caterina Belloni <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/quando-quellospedale-pediatrico-espiantava-organi-senza-permesso-2563306149.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="quando-quellospedale-pediatrico-espiantava-organi-senza-permesso" data-post-id="2563306149" data-published-at="1765451956" data-use-pagination="False"> Quando quell’ospedale pediatrico espiantava organi senza permesso Ma se il suo cervello è completamente distrutto, «brain dead» dice una voce del video choc che è stato pubblicato ieri sulla Nuova bussola quotidiana, perché «non cessano di funzionare tutti i suoi organi»? Già, perché? La misteriosa malattia che affligge Alfie Evans, di cui non c'è diagnosi, comunque si sta comportando in un modo non previsto dai medici dell'Alder hey, che su questo hanno commesso un errore. «Hanno detto che non sarebbe durato cinque minuti senza un ventilatore e il tribunale concordava», ha dichiarato Thomas Evans, il papà del piccolo paziente inglese, ma la realtà è che dalle 22.17 dello scorso 23 aprile, Alfie ha respirato da solo, senza ventilatore, ora si alimenta e viene idratato. Alfie semplicemente vive, ribaltando in modo inequivocabile ciò che l'ospedale di Liverpool aveva predetto sarebbe accaduto una volta staccato il ventilatore, e questo indipendentemente da come andranno a finire le cose. Durante l'udienza di martedì scorso, quella in cui il giudice Anthony Hayden ha impedito il trasferimento a Roma, i medici dell'Alder hey hanno lamentato un clima di «ostilità» nei loro confronti e si sono anche rifiutati di mandare a casa il bambino, almeno non prima di «tre o cinque giorni». Quindi, né a Roma, né a casa. Perché? In fondo al piccolo è stato tolto quello che doveva essere il suo sostegno vitale e non si vede cosa possa impedire ai genitori di portare via il figlio. Pur parlando di «confort» e di «best interest» da garantire, sembra quasi che l'ospedale inglese scommetta solo sulla morte del piccolo, e che questa morte debba avvenire dentro l'Alder hey. Anche Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù, l'ospedale vaticano che si è offerto per accogliere Alfie, ha fatto una dichiarazione che getta ulteriori perplessità sulla condotta medica dell'Alder hey. Ieri al Corriere della Sera ha, infatti, detto che non immaginava «si sarebbero messi contro di noi in maniera così aperta. Credo sia il risultato di una battaglia ideologica e che la scelta non sia stata tecnica. Hanno ingannato la famiglia. (…) Sarei felice se lo mandassero ovunque, purché non muoia in quell'ospedale. Ho visto attorno ai genitori troppi movimenti non utili al bambino». Nel video che abbiamo segnalato in apertura, sebbene non sia possibile identificare chi sta parlando, quello che dovrebbe essere personale medico e paramedico dell'Alder hey alimenta sospetti circa «qualcosa da nascondere». In particolare uno degli interlocutori, che dovrebbe essere un medico, pronuncia una frase molto ambigua: «Non posso dire nulla perché mi metterebbe nei guai, vista la mia posizione. Personalmente credo che questo ospedale stia coprendo qualcosa, qualcosa di veramente grosso». Prendiamo con le dovute cautele questo video e queste parole, ma gli indizi che fanno pensare a qualcosa di poco chiaro nella gestione della «pratica Alfie» da parte dell'Alder hey ci sono tutti. Nel dibattimento del ricorso all'Alta Corte di ieri pomeriggio, è emerso che Thomas Evans nella giornata di martedì ha cercato di presentare denuncia contro 3 medici dell'Alder hey hospital con l'accusa di cospirazione al fine di uccidere Alfie. A cosa si riferisse il padre non è chiaro, ma basti pensare che ieri pomeriggio il personale ha tolto la mascherina dell'ossigeno al bambino perché il supporto «non è di proprietà dell'ospedale». L'Alder hey di Liverpool ha in cura Alfie dal dicembre 2016 per convulsioni che lo fanno soffrire e nell'agosto 2017, dopo mesi di vani tentativi nello stabilire diagnosi e cura, l'ospedale decide di togliere la ventilazione perché quella del bambino sarebbe una vita di «bassa qualità». Però, dice alla Verità il neurochirurgo e leader del Family day Massimo Gandolfini, «non hanno mai dichiarato la sua morte cerebrale, unica condizione medica oggi giudicata irreversibile. E non si può nemmeno affermare che i sostegni vitali somministrati ad Alfie fossero futili, perché raggiungevano perfettamente lo scopo per cui erano praticati: mantenere in vita il bambino. La scelta di staccare il ventilatore quindi è solo perché si giudica che la sua fosse una qualità di vita non sufficiente. In nessun modo si può parlare di accanimento terapeutico, perché la terapia è relativa a cercare di contrastare o vincere una malattia, mentre la cura di un disabile è tutt'altro». Da questo punto di vista la scelta di staccare la spina assume una valenza eutanasica. L'Alder hey di Liverpool ha nel suo passato pagine oscure, come quella dello scandalo di traffico di organi di bambini che venne alla luce nel 2001. «Gli organi», rivelava la Bbc, «erano stati tolti senza permesso da bambini che sono morti nell'ospedale nel periodo 1988-1996». Il caso è scoppiato quando il cardiologo Robert Anderson, in seguito ad un'altra indagine, rivelò che presso l'Alder hey hospital c'era un «negozio» di cuori di bambini. L'ospedale riconobbe il fatto, insieme a quello di ghiandole linfatiche rimosse da bambini ancora vivi per essere poi vendute a una casa farmaceutica che aveva finanziato il loro reparto di cardiologia. Lo stesso ospedale nel 2012 era stato denunciato dal British Medical Journal per l'applicazione del Liverpool Care Pathway, la cosiddetta death pathway, cioè una lista di pazienti a cui si decide di applicare un protocollo di sospensione dei sostegni vitali per malati terminali. Secondo la denuncia, l'Alder hey metteva in questa lista anche bambini disabili gravi in modo controverso. Oggi nel caso di Alfie il «miglior interesse» del bambino, ripetono medici e giudici inglesi, è quello di morire. Cresce un ragionevole dubbio sull'operato medico dell'Alder hey: forse anche Alfie è finito in una qualche death list? Lorenzo Bertocchi <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/quando-quellospedale-pediatrico-espiantava-organi-senza-permesso-2563306149.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-giudice-che-ha-staccato-la-spina-e-attivista-gay" data-post-id="2563306149" data-published-at="1765451956" data-use-pagination="False"> Il giudice che ha staccato la spina è attivista gay Il giudice inglese Anthony Hayden che finora ha deciso sulla vita e la morte di Alfie, ordinando ripetutamente di staccare il respiratore nel «migliore interesse» del bambino perché la sua vita è «inutile», è un campione dei diritti lgbt e coautore del saggio sull'omogenitorialità Children and same sex families: a legal handbook. Sembra anche che faccia parte del gruppo forense Blaag, organizzazione impegnata per le istanze degli omosessuali, che tra anni fa ha salutato con grande apprezzamento la nomina di Hayden alla divisione famiglia dell'Alta Corte britannica, con un post ancora visibile con sul suo sito. A una prima valutazione superficiale, l'impegno pro Lgbt di Hayden e la sua ostinazione a negare le cure e il trasferimento in Italia del piccolo Alfie non hanno alcun collegamento. Tuttavia non si può non osservare che lo stesso Hayden è coautore di un volume che le recensioni presenti sul Web definiscono «un manuale giuridico e una guida preziosa per questo settore del diritto in rapida evoluzione, scritto per tutti gli avvocati di famiglia e professionisti collegati», un testo che dedica un intero capito alla «Surrogacy», volgarmente detta utero in affitto. Un pratica rispetto alla quale Hayden e altri giuristi danno consigli su come poterla sfruttare senza incorrere in problemi legali. C'è persino un paragrafo che spiega «quali sono i modi per un genitore committente per diventare il custode legale di un bambino a seguito di una maternità surrogata». Un altro capitolo di questo manuale approfondisce invece il tema delle adozioni per coppie dello stesso sesso. D'altra parte nella prefazione del libro Hayden afferma che quello della famiglia è un «concetto in continua evoluzione». Poi ricorda che sulla scia della nuova legislazione «siamo anche più attenti al nostro linguaggio». Dunque non è affatto una forzatura affermare che il giudice Hayden considera nel miglior interesse di un bambino che esso possa essere oggetto di mercimonio tra una madre portatrice e due uomini committenti, e che il neonato possa essere allontanato dalla donna che lo ha generato, pochi minuti dopo il parto, per soddisfare il desiderio di genitorialità di due adulti. Questo stesso giudice ritiene anche di fare gli interessi di un bambino negando ai suoi genitori di poterlo portare in un altro Paese che gli garantirebbe le cure necessarie per tenerlo in vita. Hayden martedì ha infatti confermato il suo categorico «no» al trasferimento in Italia. Il giudice si è inoltre preso la libertà di criticare alcune persone vicine ai genitori accusandole di dare «false speranze». Il cursus honorum di Hayden è quello di un vero progressista. In merito ai casi di arruolamento di giovani britannici nell'Isis, il giudice dell'Alta corte ha mostrato infatti un atteggiamento molto più comprensivo, chiedendo persino l'istituzione di tribunali specializzati per persone vulnerabili che, secondo Hayden, sarebbero stati «sottoposti a lavaggio del cervello». Insomma anche le corti britanniche sono ostaggio del politicamente corretto.Marco Guerra
A dirlo è l’Unctad (United nations conference on trade and development), l’organismo dell’Onu che si occupa di commercio e sviluppo, secondo cui le misure tariffarie e le politiche industriali stanno cambiando la geografia degli scambi più di quanto ne stiano riducendo l’ammontare complessivo.
Il 2024 ha rappresentato, infatti, un punto di svolta dopo la debolezza del 2023. L’organizzazione della Nazioni Unite ha registrato per il 2024 un valore record di circa 33 trilioni di dollari di scambi globali di beni e servizi, con una crescita intorno al 3,7% (circa +1,2 trilioni). La componente servizi ha guidato l’espansione: +9% nell’anno, con un contributo di circa 700 miliardi, pari a quasi il 60% della crescita totale; i beni sono saliti di circa il 2% (+500 miliardi).
Il 2025, inoltre, consolida il quadro. Nell’aggiornamento di dicembre, Unctad stima che il commercio mondiale supererà per la prima volta i 35 trilioni di dollari, con un aumento di circa 2,2 trilioni, ossia circa il 7% in più rispetto al 2024. Di questa crescita, circa 1,5 trilioni verrebbero dai beni e circa 750 miliardi dai servizi, attesi in aumento vicino al 9%. Per il quarto trimestre 2025, la crescita rimane positiva ma più moderata: circa lo 0,5% in più per i beni e il 2% per i servizi. Nel 2026, invece, la stima è di un rallentamento causato da tensioni geopolitiche, conflitti e costi crescenti (tra cui i dazi).
Ma come i dazi hanno allora influenzato i commerci mondiali? Unctad osserva che la frammentazione geopolitica sta rimodellando i flussi e che friendshoring (delocalizzazione verso Paesi considerati amici) e nearshoring (spostamento verso Stati vicini a quello di origine) stanno rafforzandosi.
In parallelo, la crescita dei servizi rende il sistema meno vulnerabile alle tariffe sui beni. I servizi digitali, professionali e legati alle catene manifatturiere avanzate sono più scalabili, spesso regolati da standard e da norme di mercato più che da dazi doganali, e trovano domanda in fasi del ciclo economico diverse rispetto alle merci tradizionali. L’aumento più rapido dei servizi nel 2024 e nel 2025 è coerente con questa trasformazione del mix commerciale.
Unctad segnala anche un passaggio dalla crescita «di prezzo» a una crescita più «di volume» verso fine 2025: dopo due trimestri sostenuti anche da prezzi più alti, le quotazioni dei beni scambiati dovrebbero calare, e l’espansione sarà trainata maggiormente dalle quantità effettivamente commerciate.
Un ulteriore elemento di tenuta è il protagonismo delle economie in via di sviluppo. Unctad evidenzia che nel 2024 le economie emergenti hanno sostenuto gran parte della dinamica e che gli scambi Sud-Sud hanno continuato a crescere. Nel 2025 questa tendenza si è rafforzata: Asia orientale e Africa risultano tra le principali aree commerciali, mentre gli scambi tra Paesi in via di sviluppo hanno mostrato un’espansione più rapida della media globale.
I dati Unctad, insomma, non raccontano la fine della globalizzazione, ma la sua ricalibrazione. La crescita degli scambi convive con dazi più alti perché il commercio si sta spostando a Oriente, incorporando una quota crescente di servizi.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Per quanto riguarda, invece, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (Csrd), che impone alle aziende di comunicare il proprio impatto ambientale e sociale, l’accordo prevede si applichi solo alle aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto annuo di 450 milioni di euro.
Con le modifiche decise due giorni fa, l’80% delle aziende che sarebbero state soggette alla norma saranno ora liberate dagli obblighi. Festeggia Ursula von der Leyen: «Accolgo con favore l’accordo politico sul pacchetto di semplificazione Omnibus I. Con un risparmio fino a 4,5 miliardi di euro ridurrà i costi amministrativi, taglierà la burocrazia e renderà più semplice il rispetto delle norme di sostenibilità», ha detto il presidente della Commissione.
In un comunicato stampa, la Commissione dice: «Le misure proposte per ridurre l’ambito di applicazione della Csrd genereranno notevoli risparmi sui costi per le aziende. Le modifiche alla Csddd eliminano inutili complessità e, in ultima analisi, riducono gli oneri di conformità, preservando al contempo gli obiettivi della direttiva».
Dunque, ricapitolando, la revisione libera dall’obbligo di conformità l’80% dei soggetti obbligati dalla vecchia norma, il che significa evidentemente che per l’80% dei casi quella norma era inutile, anzi dannosa, visto che comportava costi ingenti per il suo rispetto e nessuna utilità pratica. Se vi fosse stata una qualche utilità la norma sarebbe rimasta anche per questi, è chiaro.
Non solo. Von der Leyen si rallegra di avere fatto risparmiare 4,5 miliardi di euro, come se a scaricare quella montagna di costi sulle aziende fosse stato qualcun altro o il destino cinico e baro, e non la norma che lei stessa e la sua maggioranza hanno voluto. La Commissione si rallegra di aver semplificato cose che essa stessa ha complicato, di avere tolto burocrazia dopo averla messa.
In questa commedia si potrebbe sospettare una regia di Eugène Ionesco, se fosse ancora vivo. La verità è che già la scorsa primavera, Germania e Francia avevano chiesto l’abrogazione completa delle norme. Nelle dichiarazioni a seguito dell’accordo tra Consiglio Ue e Parlamento, con la benedizione della Commissione, non è da meno il sagace ministro danese dell’Industria, Morten Bodskov (la Danimarca ha la presidenza di turno del Consiglio Ue): «Non stiamo rimuovendo gli obiettivi green, stiamo rendendo più semplice raggiungerli. Pensavamo che legislazione verde più complessa avrebbe creato più posti di lavoro green, ma non è così: anzi, ha generato lavoro per la contabilità». C’è da chiedersi se da quelle parti siano davvero sorpresi dell’effetto negativo generato dall’imposizione di inutile burocrazia sulle aziende. Sul serio a Bruxelles qualcuno pensa che complicare la vita alle imprese generi posti di lavoro? Sono dichiarazioni ben più che preoccupanti.
Fine di un incubo per migliaia di aziende europee, dunque, ma i problemi restano, essendo la norma di difficile applicazione pratica anche per le multinazionali. Sulla revisione delle due direttive hanno giocato certamente un ruolo le pressioni degli Stati Uniti, dopo che Donald Trump a più riprese ha sottolineato come vi siano barriere non di prezzo all’ingresso nel mercato europeo che devono essere eliminate. Due di queste barriere sono proprio le direttive Csrd e Csddd, che restano in vigore per le grandi aziende. Non a caso, il portavoce dell’azienda americana del petrolio Exxon Mobil ha fatto notare che si tratta di norme extraterritoriali, definendole «inaccettabili», mentre l’ambasciatore americano presso l’Ue, Andrew Puzder ha detto che le norme rendono difficile la fornitura all’Europa dell’energia di cui ha bisogno.
La sensazione è che si vada verso un regime di esenzioni ad hoc, si vedrà. Ma i lamenti arrivano anche dalla parte opposta. La finanza green brontola perché teme un aumento dei rischi, senza i piani climatici delle aziende, che però nessuno sinora ha mai visto. Misteri degli algoritmi Esg.
Ora le modifiche, che fanno parte del pacchetto Omnibus I presentato lo scorso febbraio dalla Commissione, dovranno essere approvate dal Consiglio Ue, dove votano i ministri e dove non dovrebbe incontrare ostacoli, e dal Parlamento europeo, dove invece è possibile qualche sorpresa nel voto. La posizione del Parlamento che ha portato all’accordo di martedì è frutto di una intesa tra i popolari del Ppe e la destra dei Patrioti e di Ecr. Il gruppo dei Patrioti esulta, sottolineando come l’accordo sia frutto di una nuova maggioranza di centrodestra che rende superata la maggioranza attuale tra Ppe, Renew e Socialisti.
Il risvolto politico della vicenda è che si è rotto definitivamente il «cordone sanitario» steso a Bruxelles attorno al gruppo che comprende il Rassemblement national francese di Marine Le Pen, il partito ungherese Fidesz e la Lega di Matteo Salvini.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
La Bce, pur riconoscendo «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi», continua ad avere «dubbi sulla finalità della norma». Con la lettera, Giorgetti rassicura che l’emendamento non mira a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori del bilancio di Bankitalia e non contiene nessun escamotage per aggirare il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il ministro potrebbe inoltre fornire un ulteriore chiarimento direttamente alla presidente Lagarde, oggi, quando i due si incontreranno per i lavori dell’Eurogruppo. Se la Bce si riterrà soddisfatta delle precisazioni, il ministero dell’Economia darà indicazioni per riformulare l’emendamento.
Una nota informativa di Fdi, smonta i pregiudizi ideologici e le perplessità che sono dietro alla nota della Bce. «L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia è volto a specificare un concetto che dovrebbe essere condiviso da tutti: ovvero che le riserve auree sono di proprietà dei popoli che le hanno accumulate negli anni, e quindi», si legge, «si tratta di una previsione che tutti danno per scontata. Eppure non è mai stata codificata nell’ordinamento italiano, a differenza di quanto è avvenuto in altri Stati, anche membri dell’Ue. Affermare che la proprietà delle riserve auree appartenga al popolo non confligge, infatti, in alcun modo con i trattati e i regolamenti europei». Quindi ribadire un principio scontato, e cioè che le riserve auree sono di proprietà del popolo italiano, non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. «Già nel 2019 la Bce, allora guidata da Mario Draghi, aveva chiarito che la questione della proprietà legale e delle competenze del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc), con riferimento alle riserve auree degli Stati membri, è definita in ultima istanza dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)». La nota ricorda che «il parere della Bce del 2019, analogamente a quello redatto lo scorso 2 dicembre, evidenziava che il Trattato non determina le competenze del Sebc e della Bce rispetto alle riserve ufficiali, usando il concetto di proprietà. Piuttosto, il Trattato interviene solo sulla dimensione della detenzione e gestione esclusiva delle riserve. Pertanto, dire che la proprietà delle riserve auree sia del popolo italiano non lede in alcun modo la prerogativa della Banca d’Italia di detenere e gestire le riserve».
Altro punto: Fdi spiega che «nel Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Ue) si parla di “riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri”, quindi si prevede implicitamente che la proprietà delle riserve sia in capo agli Stati. L’emendamento di Fdi vuole esplicitare nell’ordinamento italiano questa previsione». C’è chi sostiene che affermare che la proprietà delle riserve auree di Bankitalia è del popolo italiano non serva a nulla. Ma Fdi dice che «l’Italia non può correre il rischio che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani. Per questo c’è bisogno di una norma che faccia chiarezza sulla proprietà».
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Con Giuseppe Trizzino fondatore e Amministratore Unico di Praesidium International, società italiana di riferimento nella sicurezza marittima e nella gestione dei rischi in aree ad alta criticità e Stefano Rákos Manager del dipartimento di intelligence di Praesidium International e del progetto M.A.R.E.™.