Ha ucciso due innocenti sul London Bridge nel corso di un attentato terroristico che ha procurato anche diversi feriti, ma il suo nome deve essere rimosso da un rapporto ufficiale, per evitare di demonizzare i musulmani. La decisione presa dal Comitato per l’ordine e la sicurezza della contea dello Staffordshire sta suscitando scalpore nel Regno Unito, noto per la sua apertura e la sua tendenza al politically correct. Perché molti osservatori hanno l’impressione che si voglia annacquare la memoria dell’episodio, che nel novembre del 2019 ha scatenato la paura del terrorismo a Londra, spingendo il governo a decretare lo stato di massima allerta.
Erano circa le tre di pomeriggio italiane quando Usman Khan entrò in un salone del Fishmongers hall sul London Bridge, dove si teneva un evento per la riabilitazione dei detenuti, estrasse un coltello e cominciò a tirare fendenti tra le persone intorno a lui. Esanimi sul terreno rimasero Jack Merritt, 25 anni, e Saskia Jones, 23 anni, due laureati di Cambridge che erano nella sala come operatori. L’uomo, che aveva 28 anni ed era di origine pachistana, era entrato nel salone fingendo di essere stato all’evento e poi aveva scatenato la sua furia mortale. Ci furono attimi di terrore, con diversi feriti di cui tre ricoverati in ospedale, finché la polizia non intervenne e gli sparò, uccidendolo.
A tre anni di distanza da quell’episodio, però, qualcuno vorrebbe evitare di perpetuare la memoria del nome di Khan, associata all’attentato. L’idea è emersa nei giorni scorsi, durante l’incontro del comitato di sicurezza della contea dello Staffordshire, che stava valutando alcuni documenti relativi alla sicurezza e i protocolli cui attenersi in vista dell’organizzazione di eventi simili. Il rapporto era stato preparato per «prevenire morti future» e redatto dal medico legale Mark Lucraft Kc, che aveva fatto il nome di Khan nel testo. Secondo Gillian Pardesi, una consigliere laburista, lasciare nome e origine di Khan nel documento potrebbe determinare conseguenze negative, «demonizzando» la comunità musulmana e favorendo i simpatizzanti di estrema destra, che sono in numero crescente in alcune aree del Regno e rappresentano una preoccupazione.
La decisione di cancellare il nome, però, appare ancora più difficile da comprendere quando si fanno ricerche sulla figura di Khan e si scopre che l’uomo, originario di Stoke-on Trent, si era trasferito a Stafford dopo aver trascorso otto anni in carcere perché faceva parte di una cellula terroristica che tra i suoi progetti aveva anche quello di far saltare la Borsa di Londra. Insomma, un uomo fermo nel suo integralismo religioso e deciso a onorarlo a ogni corso. Circostanza che davvero non lascia comprendere il «riguardo» ipotizzato dalla consigliera. Anche perché nel Regno Unito è normale che nei rapporti ufficiali e sui giornali finiscano i nomi delle persone accusate di reati ma non ancora processate. E se si tratta di sospetti pedofili viene distribuita alla stampa anche la loro fotografia. Ma sullo straniero colpevole di un duplice omicidio e di un attacco terroristico dovrebbe scendere il silenzio. Una specie di razzismo al contrario, che avrebbe fatto sorridere in modo ironico anche George Orwell e che adesso suscita dubbi e incertezze nel regno di Sua Maestà Carlo III.
Eppure secondo la consigliera laburista, segnalare il suo nome e la sua etnia significherebbe inculcare nelle persone che esiste un «profilo» di terrorista e che bisogna stare in guardia. «Come Paese siamo in gravi difficoltà finanziarie e l’estrema destra, in particolare, cerca capri espiatori per sfruttare questa situazione», ha detto per perorare la sua posizione. «Purtroppo questo ha significato, e continuerà a significare, un ulteriore aumento dei crimini d’odio e degli attacchi ai nostri membri musulmani in particolare». Alla sua presa di opposizione ha risposto in modo piccato il consigliere conservatore Bob Spencer, sottolineando come il nome di Khan fosse già «di dominio pubblico» e accessibile su rassegne stampa e Web. A suo parere, poi, tracciare una linea diretta tra questo nome e l’aumento della rabbia dell’estrema destra non avrebbe davvero senso. Un parere condiviso anche da Alan Mendoza, del think tank anti estremismo Henry Jackson Society, che in un’intervista al Daily Mail ha dichiarato come potrebbe accadere esattamente il contrario, perché la rimozione del nome potrebbe infiammare l’estrema destra, che vedrebbe la scelta come una sorta di insabbiamento dell’identità del terrorista e della sua colpa.
Un dibattito che ha animato il consiglio ma non ha cambiato l’idea iniziale. Il consigliere di gabinetto Victoria Wilson, che presentava il rapporto, si è detta d’accordo sul fatto che queste informazioni non fossero inserite nel testo, visto che provenienza e nome del protagonista della strage non avevano una vera rilevanza sui provvedimenti da adottare per evitare nuove stragi in futuro. Una considerazione forse accettabile, ma l’idea che il nome di chi ha ferito tre persone e ne ha uccise due debba essere protetto e cancellato continua a bruciare agli inglesi che hanno vissuto l’attentato del London Bridge con paura e ansia. Perché erano legate alle vittime o perché si sono sentite messe in pericolo nel cuore della Capitale, in uno dei luoghi più cari e più frequentati dai londinesi.
Uno ad uno i suoi avversari si sono fatti da parte e così ieri pomeriggio Rishi Sunak è stato incoronato nuovo leader dei Conservatori. Oggi assumerà ufficialmente l’incarico di primo ministro, il terzo nel giro di sette settimane per i Tory, ma anche il primo di colore. Sunak ha 42 anni, è figlio di immigrati indiani e professa la fede induista. Già un cambiamento storico, anche se le sue «prime volte» non si fermano qui. Per due ragioni: è il primo a guidare un governo dopo solo sette anni da parlamentare e soprattutto il primo ad essere incredibilmente ricco. Il patrimonio che condivide con la moglie viene stimato vicino agli 800 milioni di euro e risulta quindi superiore a quello di Sua Maestà re Carlo III. Risorse che arrivano dalla sua famiglia, da quella della moglie, da una carriera rapida nel mondo economico londinese.
La coppia possiede case e castelli, tanto che Sunak è stato soprannominato dalla stampa inglese il “maraja dello Yorkshire”.
Una figura che spicca per tante ragioni, insomma, non ultima quella di aver condotto una campagna rapidissima e di essere arrivato ai vertici del partito senza neppure consultare la base, con il solo appoggio dei parlamentari, che per la metà si sono schierati al suo fianco. È vero che sette settimane fa, durante la campagna estiva per la leadership, Liz Truss gli aveva soffiato il posto. Ma poi le scelte politiche ed economiche della premier uscente hanno spinto i deputati a rivedere le loro opinioni e a guardare all’ex cancelliere come alla loro ancora di salvezza. Tanti ex ministri e segretari si sono schierati al suo fianco, anche se a contribuire alla sua ascesa lampo sono stati soprattutto l’abbandono di Boris Johnson, l’ex primo ministro, che domenica sera ha deciso di farsi da parte e l’uscita di scena dell’altra contendente Penny Mordaunt, annunciata ieri mattina, a pochi minuti dalla chiusura delle candidature. Senza più avversari, con un numero significativo di sostenitori, il neo primo ministro è stato nominato con estrema rapidità. L’annuncio da parte di Graham Brady, che presiede il Comitato 1922, ha suscitato applausi, urla ed entusiasmo.
Due ore dopo l’investitura, ripresa dalle telecamere e trasmessa live dalla Bbc, Sunak è arrivato a Westminster Palace tradendo compiacimento. E ha incontrato i deputati conservatori a porte chiuse. Ma il suo discorso è poi ovviamente diventato di dominio pubblico. Entrando nella sala Sunak ha ricevuto tre standing ovation da parte dei deputati, che lo hanno applaudito e acclamato. Era felice, circondato da quattro figure che lo hanno sostenuto anche durante la sua campagna estiva per la leadarship. C’erano Mel Stride, Laura Trott, Claire Coutinho e Craig Williams, che gli sono rimasti intorno mentre guardava i colleghi e prendeva la parola. Dapprima ha sottolineato come continuerà a dare supporto all’Ucraina e si impegnerà per aiutare i cittadini con le bollette dell’energia: due delle emergenze che scuotono il Paese. Poi ha voluto mostrare un atteggiamento di apertura e collaborazione. Tanto che si è rivolto a chi lo ha preceduto e anche a chi avrebbe potuto concorrere con lui in questo incarico: «Liz, Penny, Boris», ha detto, «restiamo uniti nelle nostre prese di posizione politiche perché non possiamo affrontare il rischio di divisioni determinate da questioni personali. Abbiamo solo una possibilità di fronte a noi: restare uniti o perire».
Nel suo breve discorso, infine, Sunak ha ribadito che vuole puntare su un’economia di ampia crescita e tasse ridotte e che ci sono state incomprensioni nelle settimane scorse sul metodo da seguire ma non sulla bontà di questa prospettiva.
Il 57esimo primo ministro del Regno Unito si insedierà ufficialmente oggi pomeriggio, perché prima ci sono alcune procedure da completare. Stamattina la premier uscente Liz Truss guiderà il suo ultimo consiglio dei ministri, poi si sposterà a Buckingham Palace per consegnare formalmente le dimissioni al re Carlo III. A quel punto, Sunak sarà invitato a presentarsi di fronte al sovrano. Successivamente terrà il suo primo discorso ufficiale a Downing Street e passerà il resto della giornata a formare il nuovo governo.
Probabilmente ci saranno anche dei colloqui con capi di Stati europei e non. Poi il «maraja» dovrà rimboccarsi le maniche. Di fronte ha due obiettivi chiari ma decisamente complicati: risolvere una profonda crisi economica e riunificare il Paese, che ora è spaccato. Anche perché sta affrontando uno dei periodi storici più critici nella storia del Regno, con la guerra in Ucraina, la crisi energetica internazionale e l’economia che traballa.
Eppure ieri pomeriggio, dopo l’annuncio del nome, la Borsa ha dato qualche segnale positivo. Perché da sempre Sunak piace alle industrie e al mondo economico più che al popolo. Questa volta la base dei Conservatori non ha avuto la possibilità di esprimersi, altrimenti forse avrebbe scelto diversamente. Come spera in cuor suo anche Boris Johnson, che spiegando il suo abbandono ha sottolineato che è pronto a ritornare in campo, ma solo quando ci saranno delle elezioni popolari.
Quando è salito su un volo British airways per rientrare a Londra interrompendo la vacanza ai Caraibi, Boris Johnson ha suscitato due tipi opposti di reazione. Qualcuno nella cabina dell’aereo gli ha fischiato contro, in aperta contestazione al suo desiderio di riprendere le redini del Paese a tre mesi dalla «cacciata» seguita al Partygate. Ma ci sono state anche 7.000 persone che hanno seguito il suo volo verso la capitale britannica sul sito FlightRadar24, quasi volessero essere certe che il loro beniamino era davvero sulla strada di casa.
Due fazioni contrapposte, che rispecchiano in pieno quelle che si stanno creando in queste ore dentro i conservatori, dopo le dimissioni di Liz Truss. Il nuovo leader del partito, il terzo in poco più di sei settimane, dovrà essere definito entro venerdì 28 ottobre, una settimana dopo l’addio di quello uscente. L’unica candidata ufficiale per ora è Penny Mordaunt, che si è offerta per prima ma che pare anche quella che ha meno possibilità di spuntarla. Gli altri due leader in pectore sono Rishi Sunak, ex cancelliere dello Scacchiere, che ha già superato i 100 sostenitori tra i deputati, e poi appunto Boris Johnson, che ha trascinato in tutta fretta su un aereo la moglie Carrie Fisher e i due figli, perché vuole rimettersi in gioco, anche se non lo ha mai detto a voce alta. Ma come avverrà la scelta? Le candidature devono arrivare entro il primo pomeriggio di lunedì e per passare alla fase successiva devono ottenere il sostegno di almeno 100 deputati conservatori. Se solo una ci riesce vince, se ci riescono in due o più ci sono successive votazioni tra i deputati finché uno dei contendenti non demorde. Qualora questo non accada, il Comitato 1922, che coordina la scelta del leader, lascia la decisione alla base degli iscritti e quindi si procede a una consultazione online.
Parlamentari ed elettori saranno chiamati a votazioni ravvicinate, anche se in realtà in queste ore le scelte stanno già avvenendo. Ieri, Dominic Raab, ex ministro con Johnson, ha dichiarato pubblicamente che stavolta sosterrà Sunak, perché il ritorno alla scena politica di Bojo rappresenterebbe un problema per il Paese, una specie di passo indietro. A preoccuparlo non sono tanto le doti di statista di Johnson, quanto il Partygate, ovvero lo scandalo sui festini tenuti a Downing street durante il lockdown. L’inchiesta sta procedendo, presto si passerà alle testimonianze, ci sono giornali che sostengono come i dipendenti del primo ministro siano pronti a raccontare cose sgradevoli. Davvero un momento delicato per Johnson, che secondo Raab non gli permetterebbe di concentrarsi sul governo del Paese. La sua uscita pubblica arriva mentre alcune fonti interne ai conservatori sussurrano alla stampa che, nel caso Johnson ricevesse l’incarico, comunque non riuscirebbe a mantenerlo oltre Natale per via delle conseguenze dello scandalo.
Intanto Stephen Barclay, ex capo dello staff di Johnson, ha dichiarato di sostenere Sunak, insieme con lord David Frost, ex fedelissimo, che ha gestito le negoziazioni per la Brexit. Frost ha sempre definito Johnson l’eroe della Brexit, ma in queste ore ha detto che se tornasse ora alla guida del Paese rischierebbe solo di creare «caos e confusione». I deputati che hanno espresso anche sui social media il loro appoggio a Sunak lo considerano la «giusta combinazione di abilità, esperienza e serietà».
Prese di posizione nette, che non significano però che Johnson non abbia possibilità. Anzi. Ieri pomeriggio i suoi sostenitori hanno annunciato che anche lui avrebbe oltre 100 parlamentari dalla sua parte. Un’affermazione alla quale i deputati favorevoli a Sunak non credono, tanto che hanno chiesto prove.
Per ora sono dalla parte di Bojo parecchi ministri e sottosegretari uscenti, da Ben Wallace a Simon Clarke, da Chris Heaton-Harris a Jacob Rees-Mogg, da Alok Sharma fino ad Anne-Marie Trevelyan. Pure Priti Patel gli ha offerto appoggio nelle ultime ore, con un messaggio su Twitter: «Boris ha ricevuto il mandato di portare avanti il programma dagli elettori e ha preso alcune grandi decisioni» ha scritto. Secondo Patel, Johnson ha le qualità del leader, la capacità di portare avanti un mandato democratico e l’ottimismo necessario per risollevare il Paese. Di certo, la sua figura all’epoca della Brexit ha avuto il pregio di attirare voti e consensi da parte del popolo dei conservatori. Forse anche grazie alla debolezza dell’opposizione guidata da Jeremy Corbyn, al chiaro mandato per la Brexit avanzato dai cittadini, alla situazione economica che richiedeva un cambiamento. Ma i tempi sono diversi, quindi forse anche quel consenso potrebbe essere andato perduto. Come dimostra il parere dell’ex direttore del Telegraph, lord Charles Moore, collega vicino a Bojo, che pure gli ha suggerito di non partecipare alla sfida per la leadership. In un articolo pubblicato venerdì sera lo ha invitato a farsi da parte e ha sottolineato che non ci sono prove del fatto che, in qualità di primo ministro, si sia preso cura delle finanze pubbliche. Solo che, al momento, le casse dello Stato sono la vera emergenza.




