Il 76 per cento delle infrastrutture è già finanziato, ma i cantieri in corso ammontano ad appena 32 miliardi. Per colpa di una dissennata burocrazia sprechiamo un tesoro che potrebbe far ripartire la nostra economia.
Il 76 per cento delle infrastrutture è già finanziato, ma i cantieri in corso ammontano ad appena 32 miliardi. Per colpa di una dissennata burocrazia sprechiamo un tesoro che potrebbe far ripartire la nostra economia.Lungaggini nell'assegnazione degli appalti, bandi da rifare, ricorsi e troppa burocrazia. In Italia passare dai progetti sulla carta ai cantieri è un'impresa titanica, come vediamo nel caso di tante grandi opere: dalla gronda di Genova all'autostrada tra Roma e Latina. Il tempo medio di realizzazione è di 4,4 anni, con durate bibliche che sfiorano i 16 anni per opere con costo superiore ai 100 milioni di euro. La cosa più grave è che coperture finanziarie per realizzare le infrastrutture ci sarebbero e, ciononostante, il nostro Paese riesce a perdere un potenziale di 315 miliardi di euro. Come è possibile?Lo rivela uno studio di Ambrosetti dal titolo folgorante e polemico: «Progetto 11,7: questo il rapporto tra investimenti strategici stanziati e opere in costruzione. Ne siamo consapevoli?». I ricercatori spiegano che in Italia sono previste opere infrastrutturali strategiche per circa 317 miliardi di euro, di cui circa 166 miliardi destinati alle prioritarie. Di queste circa 132 miliardi di euro riguardano interventi già approvati, finanziati e contrattualizzati: le cosiddette opere invarianti. Circa il 76% presenta inoltre una copertura finanziaria. Ma nonostante ciò, i cantieri in corso ammontano a solo 27 miliardi di euro, e appena 2,1 miliardi quelli conclusi. Così perdiamo, per colpa di una dissennata burocrazia, un tesoro che vale 315 miliardi, oltre al fatto che la spesa pubblica per investimenti in infrastrutture avrebbe un forte effetto volano sulla crescita economica. Basta osservare la geografia delle incompiute per rendersi conto di una situazione allarmante, da Nord a Sud. Sono principalmente dieci i grandi cantieri italiani avviati, ma che ancora aspettano e aspetteranno il taglio del nastro. In Piemonte c'è il completamento della linea metropolitana di Torino, per la quale sono stati stanziati 2 miliardi. In Lombardia incontriamo invece la tratta Brescia-Verona dell'alta velocità, con altri 1,9 miliardi.Passando al Veneto, è ancora bloccato il sistema di tangenziali nel tratto Verona-Vicenza-Padova, con un tesoretto da 2,2 miliardi. Così come è impantanato il potenziamento della linea Venezia-Trieste da 1,8 miliardi di euro. Mentre in Trentino Alto Adige si aspetta ancora un altro potenziamento, quello Fortezza-Verona che vale 3,3 miliardi. Ci sono poi la Gronda di Genova con circa 5 miliardi di euro e l'autostrada Roma-Latina da 2,8 miliardi. Senza dimenticare, sempre nel Lazio, il prolungamento della metro A, B, B1 e C di Roma dal costo di oltre 2 miliardi. E, ancora in Liguria, il completamento del raddoppio ferroviario Genova-Ventimiglia: circa 1,5 miliardi di euro. La mappa delle grandi incompiute prosegue in Toscana, con l'autostrada Tirrenica (1,8 miliardi) e in Abruzzo con l'adeguamento sismico e la messa in sicurezza della Strada Parchi: altri 3,1 miliardi di euro. E questi sono solo i cantieri più importanti, accanto ai quali aspettano di essere iniziati o terminati moltissimi altri lavori pubblici. Un bilancio cerca di farlo l'Ance (Associazione costruttori edili), che dalla primavera 2018 monitora sul sito sbloccacantieri.it le opere pubbliche rimaste al palo, finanziate ma ferme per motivi burocratico-approvativi, indecisione politica e contenziosi in corso d'opera. La prima lista era stata presentata a luglio 2018, con 270 progetti congelati, ma all'inizio di quest'anno il numero era già schizzato a 400. Nella maggior parte dei casi si tratta di cantieri finanziati e mai partiti. Non vengono invece monitorati quelli rallentati o fermi per crisi d'impresa, dove sono i problemi economici degli appaltatori a impedire la prosecuzione. Nell'elenco compaiono tantissimi progetti: la terza corsia dell'A11 tra Firenze e Pistoia da quasi 3 miliardi di euro, l'autostrada regionale Cispadana con 1,3 miliardi di euro, il raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi che vale 600 milioni. E ancora: la Campogalliano-Sassuolo (500 milioni), la strada statale Maglie-Santa Maria di Leuca in Puglia (300 milioni) e una serie di medie e piccole opere, come l'ospedale Morelli a Reggio Calabria (115 milioni), il piano scuole in Umbria (100 milioni) e quello antidissesto in Veneto (140 milioni).Soldi che potrebbero contribuire a far ripartire l'economia, ma che invece restano fermi, bloccati come i cantieri che dovrebbero finanziare. E pensare che, secondo lo stesso studio di Ambrosetti, dato il Pil italiano in crescita media dello 0,7% annuo dal 2008 al 2018, se gli investimenti in opere pubbliche tornassero ai 48,5 miliardi di 11 anni fa il prodotto interno lordo recupererebbe un altro 0,6%. Ecco perché proprio quello del rilancio dei cantieri rappresenta un banco di prova fondamentale per il governo giallorosso, che ha messo il capitolo infrastrutture in cima all'agenda. E che rischia, proprio su questo terreno delicato, di incontrare l'opposizione radicale del M5S come già successo nell'esecutivo con la Lega. Nel frattempo le opere aspettano, mentre altre infrastrutture concluse da anni rischiano di crollare. Fra incuria e, si è scoperto ultimamente, controlli truccati.
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
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Evento La Verità Lunedì 15 settembre 2025.pdf
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)
Piergiorgio Odifreddi frigna. Su Repubblica, giornale con cui collabora, il matematico e saggista spiega che lui non possiede pistole o fucili ed è contrario all’uso delle armi. Dopo aver detto durante una trasmissione tv che «sparare a Martin Luther King e sparare a un esponente Maga» come Charlie Kirk «non è la stessa cosa», parole che hanno giustamente fatto indignare il premier Giorgia Meloni («Vorrei chiedere a questo illustre professore se intende dire che ci sono persone a cui è legittimo sparare»), Odifreddi prova a metterci una pezza.