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2024-04-07
«Il Pd mise l’uomo delle ’ndrine a fare i controlli sugli appalti»
La foto di gruppo dei componenti dell’Orecol della Regione Piemonte, con Roberto Fantini all’estrema sinistra. Nel riquadro, Salvatore Gallo, storico esponente del Pd piemontese, indagato dalla Procura di Torino
Appalti e voti. Voti e appalti. La ’ndrangheta lavora così. Al Sud come al Nord. Dove le ’ndrine, le famiglie della «mala» calabrese infiltrate, hanno creato le loro articolazioni territoriali che, proprio come in Calabria, si chiamano «Locali». A Brandizzo, a Volpiano, a Chivasso, a Santhià. Tra Torino e Vercelli comandavano loro. Grazie anche a una strettissima relazione con il Partito democratico, che aveva scelto Roberto Fantini (finito ai domiciliari con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa) come componente dell’Orecol, un osservatorio di emanazione del Consiglio regionale piemontese che avrebbe dovuto garantire legalità e trasparenza negli appalti sulle opere pubbliche piemontesi. Praticamente, la volpe messa a guardia del pollaio. Arrivato lì, secondo l’accusa, su indicazione di Raffaele Gallo, consigliere regionale dem e figlio di Salvatore Gallo, esponente storico del Pd (il partito di Elly Schlein viene citato 18 volte nell’ordinanza) e socialista ai tempi di Bettino Craxi, che tramite un sistema corruttivo sarebbe riuscito a far eleggere tre fedelissimi nelle file dei democratici in Consiglio comunale a Torino.
Uno dei protagonisti della connection piemontese è Giuseppe Pasqua da San Luca, località dell’Aspromonte che da anni si contendono due potentissimi clan in guerra tra loro, i Nirta e gli Strangio, passati alla storia per la mattanza di Duisburg. Stando alle accuse sarebbe affiliato alla ’ndrangheta «quantomeno dal 1994», scrivono gli inquirenti che l’altro giorno hanno chiesto e ottenuto nove misure cautelari (cinque in carcere e quattro ai domiciliari), portando alla luce gli intrecci tra mafia e politica. La caratura criminale di Pasqua emerge anche dalle modalità con cui si rivolgeva ai suoi collaboratori, ad esempio, per risolvere una questione relativa alle ore lavorate da un dipendente: «Tu comunque tieni la calma... non mi fare arrivare lì che vi devo sparare in testa a tutti quanti [...] tieni la calma tu non mi fate andare fuori di testa». Lo snodo, secondo l’accusa, sarebbe proprio Fantini, che oltre a fare il garante della legalità è stato (fino al 2021) l’amministratore delegato di una importante impresa: la Sitalfa spa, che fa parte fa parte del gruppo Sitaf, la società che gestisce la A32 Torino Bardonecchia.
Fantini, manager di lungo corso nel settore delle costruzioni stradali, è finito agli arresti domiciliari proprio per il suo precedente ruolo ai vertici della Sitalfa. I Pasqua, che secondo l’accusa hanno pure in mano un colosso economico, avrebbero ottenuto «un trattamento di favore nell’assegnazione di lavori, sovrafatturando le prestazioni rese a Sitalfa e», ricostruisce l’accusa, «restituendo poi parte degli introiti a Fantini». Che avrebbe curato, però, anche l’inserimento di società di trasporto riconducibili ad appartenenti ad altri gruppi ’ndranghetisti, alcuni dei quali anche condannati per reati mafiosi, nei lavori di movimento terra affidati dalle società committenti. I rapporti tra i Pasqua e Fantini erano talmente stretti che quest’ultimo si è spinto fino a indicare a un dipendente della Sitalfa di rivolgersi a Domenico Claudio Pasqua per chiedere il suo intervento riguardo al furto di un camion di proprietà della Sitalfa. Il 14 marzo 2015 Vincenzo Colosimo, responsabile acquisti della società, informa Pasqua che «la notte precedente la Sitalfa aveva subito il furto di un autocarro quattro assi e Fantini lo aveva incaricato di avvisarlo, asseritamente allo scopo di acquisire informazioni utili al recupero del mezzo: “Questa notte ci hanno rubato un camion... e visto che voi siete del mestiere cioè che comprate camion... che fate trasporti... se senti in giro qualcosa...”». Domenico Pasqua, annotano gli inquirenti, «assicurava il suo interessamento». Ed ecco le valutazioni degli inquirenti: «Il dipendente di una società importante come Sitalfa, su indicazione dell’amministratore pro tempore Fantini, si premuri di contattare Pasqua per “denunciare” (allo stesso Pasqua, forse ancora prima che ai carabinieri, considerata l’ora mattutina della telefonata) il furto di un camion, “visto che voi siete del mestiere... che comprate camion”, rimanda a ben altro “mestiere” dei Pasqua, soggetti inseriti nella malavita locale e in grado di reperire il bene provento di furto in modo più agevole e rapido delle forze dell’ordine». Ma i Pasqua, stando alle accuse, potevano contare sulla Sitalfa anche nel suo ruolo di società insospettabile, da trasformare in un covo nel quale far assumere persone a loro vicine.
Il 28 maggio 2015, infatti, Giuseppe Pasqua ricorda a tale Massimo Franciulli «di essere in attesa che quest’ultimo gli consegnasse il curriculum di suo fratello Francesco da consegnare a Fantini». Pasqua dice al suo interlocutore: «Mi fai fare il curricolo lì... di tuo fratello Francesco? Me lo fai e me lo consegni a me, però, eh!». I Pasqua insomma fanno da spicciafaccende, curando anche l’inserimento di società di trasporto riconducibili ad appartenenti ad altri gruppi ’ndranghetisti, alcuni dei quali anche condannati per reati mafiosi, nei lavori di movimento terra affidati dalle società committenti. Stando agli inquirenti, Pasqua si sarebbe mosso come una sorta di capobastone, «esercitando il controllo del territorio, fornendo protezione a imprenditori vittime di condotte estorsive da parte di soggetti appartenenti ad altri gruppi ’ndranghetisti, ottenendo in cambio vantaggi patrimoniali e commesse lavorative». Ma anche «dirimendo contrasti insorti tra appartenenti alla ’ndrangheta e tra questi e terze persone». Poi, per far sentire la sua forza, ha cercato di imporre il suo «niet» alla realizzazione del Piano migranti a Brandizzo, «con pressioni sugli imprenditori proprietari degli immobili destinati al progetto». «Finché ci sono io non viene proprio nessuno», dice bocciando il piano d’accoglienza. E racconta cosa avrebbe detto, senza giri di parole, al proprietario di alcuni immobili che avrebbe voluto mettere a disposizione per l’accoglienza: «Se vuoi combinare... di mandarci ’sti extracomunitari, mandali pure, vuol dire che qualche calabrese, qualche meridionale come te, come me, perché lui è pugliese, si salta in testa di darti fuoco, perdi porco e conto». E quando i suggerimenti non bastavano, si passava ai fatti. Ne sa qualcosa l’ex consigliere comunale ed ex assessore di Brandizzo Angelo Bevere, che dopo un articolo di giornale sgradito ai Pasqua si è beccato un pugno in pieno volto, dopo aver schivato una testata mentre l’aggressore, fratello di Giuseppe Pasqua, gli urlava contro «Cornuto, sbirro, ti ammazzo».
Peggio che in Puglia: il «suk» dei voti. E c’è il lobbista caro a Letta e Fassino
La conclamata e presunta superiorità morale della sinistra se ne deve essere andata insieme con Enrico Berlinguer quarant’anni or sono. Infatti la Procura di Torino ha scoperchiato un sistema di voto clientelare che ruota intorno a un anziano ras delle tessere del Pd che già negli anni ’80, ai tempi del craxismo rampante, aveva avuto i primi problemi con la giustizia. Oggi Salvatore Gallo, quasi ottantatreenne originario di Cassano all’Ionio (Cosenza), è indagato per peculato, estorsione e corruzione elettorale, anche se il gip Luca Fidelio non ha accolto la richiesta di arresto avanzata dai pm. Già da presidente della Usl di Orbassano, nel 1986, aveva assaggiato il «braccio violento della legge» ed era stato arrestato con le accuse di concussione, falso ideologico, interesse privato e truffa e nel 1993 ha patteggiato una pena a 1 anno e 6 mesi. Benvenuti al circo della superiorità morale dove si esibisce anche Roberto Fantini, messo in quota Pd a controllare la legalità degli appalti e arrestato venerdì per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nella monumentale ordinanza di 1.400 pagine che ha portato alla custodia cautelare di nove persone (su 29 indagati) emerge un oliatissimo sistema che sfrutta le conoscenze all’interno del Comune di Torino, della Regione Piemonte, delle società autostradali (Gallo senior è stato, fino al 2015, procuratore speciale della Sitaf, che gestisce il traforo del Frejus, e presidente della controllata Sitalfa, di cui il fido Roberto Fantini, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa è stato ad), delle Asl e della Sanità in genere come passepartout per ottenere voti. Il secondo genito di Salvatore, Raffaele Gallo, 45 anni, non indagato, è capogruppo del Pd in Regione, oltre a essere componente della Segreteria provinciale e della Direzione nazionale del partito; il primogenito Stefano, 47 anni, anche lui estraneo all’inchiesta, è direttore tecnico amministrativo della Città della salute e della scienza di Torino. La filosofia di papà Gallo è ben riassunta in una sua conversazione con il vicedirettore generale del Comune, Antonino Calvano, che «Sasà» voleva assessore. Il piddino indagato spinge per accelerare le pratiche urbanistiche di alcuni potenziali elettori ed esclama: «Vediamo di vincere il Comune che poi queste cose si risolvono anche con più facilità».
Salvatore, da figlio della Prima Repubblica, si muove nella jungla delle preferenze elettorali con grande disinvoltura. Il centro di gravità del suo potere è l’associazione IdeaTo, da lui fondata nel 2008 (praticamente l’anno di nascita del Pd, di cui rappresenta, di fatto, una potente corrente), che conta iscritti sia tra gli eletti che tra i dirigenti della pubblica amministrazione. Le amministrative del 3-4 ottobre 2021 sono una prova di forza di IdeaTo. «Quel cazzo di Gallo li ha nominati tutti» esclama al telefono Roberto Fantini, dopo la tornata elettorale. E, in effetti, IdeaTo, ha portato in Consiglio comunale Antonio Ledda (988 voti), Caterina Greco (857 voti) e Annamaria Borasi (798 voti), oltre a cinque consiglieri circoscrizionali. Per il giudice il favorevole esito delle votazioni «veniva considerato» da Gallo «quale viatico per acquisire maggiore potere e orientare con ancora maggiore facilità le scelte della pubblica amministrazione». Ma poi le cose non vanno come sperato. Il neosindaco Stefano Lo Russo (che non è coinvolto nelle indagini) non chiama in giunta nessuno del gruppo IdeaTo: preferisce «persone competenti sulle materie specifiche». E allora Gallo punta su altre nomine pesanti, per esempio in società partecipate (come l’azienda dei traposti Gtt) o a Palazzo civico (gli investigatori evidenziano la promozione di Calvano). Nelle more delle trattative spunta il nome di un importante lobbista, molto attivo a Roma, dove riceve all’hotel St. Regis. Un personaggio meno noto di Luigi Bisignani, ma considerato altrettanto influente.
Stiamo parlando di Ignazio Moncada, settantacinquenne originario di Modica, già vicepresidente di una società del gruppo Sitaf e presidente di una controllata di Finmeccanica, consulente e amministratore di un consorzio impegnato nel settore dell’edilizia in Piemonte, rappresentante legale di una società di diritto anglosassone, la Ida Capital e, con Franco Frattini ministro degli Esteri del governo Berlusconi, già membro del comitato strategico del governo italiano per lo sviluppo e la protezione degli interessi nazionali in economia.
Al telefono, Gallo fa sapere a un dirigente della Sitaf, Salvatore Sergi, di avere bisogno di riferirgli (dopo non essere riuscito a contattarlo con l’applicazione criptata Signal) «informazioni acquisite nel corso dei suoi incontri con Roberto Fantini e Ignazio Moncada». In un’altra conversazione al figlio Raffaele, che dichiara di «non avere strumenti sufficienti per contrastare le scelte del sindaco», ricorda che «nel 2011 anche l’ex sindaco Fassino (Piero, ndr) aveva fatto delle resistenze per la nomina» del fratello Stefano «ad assessore allo sport e ai servizi anagrafici, nonostante avesse raccolto il maggior numero di preferenze tra gli eletti del Pd» e che «per farlo tornare sui suoi passi era stato necessario far intervenire Moncada». Aggiunge che pure «in questa circostanza Moncada avrebbe potuto chiedere l’intervento del segretario nazionale del Partito democratico Enrico Letta per fare pressioni su Lo Russo» ed esaudire i desiderata di Raffaele. Rammenta Gallo a proposito di Moncada: «Davanti a me ha preso il telefono… dovevi vedere come lo ha trattato (riferito a Fassino, ndr)… ma guarda che se abbiamo l'acqua alla gola a Ignazio, a Roma, dico “fai una telefonata a Letta”» in modo che «dica al suo "delfino" che si comporti come uomo». Poi l’ex socialista chiede al figlio: «Gli facciamo fare anche una telefonata da Letta, eh? A Ignazio, glielo dico, eh?». Il consigliere regionale invita il padre a temporeggiare, ma in un’altra telefonata Salvatore «afferma di aver già chiesto l’intervento di Piero (Fassino, ndr)» e incita l’interlocutore a fare pressione su Lo Russo.
Il Gip dedica più passaggi al Sistema Gallo. Per esempio scrive che l’indagato «interpreta il tema delle relazioni interpersonali, con una chiave di lettura costante, ovvero la convenienza e il do ut des: non fa mai nulla per nulla». Si attiva «sempre con l’aspettativa di un ritorno» a partire dall’«iscrizione alla propria associazione culturale e l’impegno ad attivarsi in campagna elettorale per sostenere i suoi candidati». Gallo non è, dunque, un «benefattore», né è «animato da autentico spirito solidaristico», è solo «interessato ad avere una vasta cerchia di persone fidelizzate». Per questo è un «dispensatore dei più svariati “favori”». Si preoccupa di far spostare i cassonetti dell’immondizia, di far ripristinare una fermata dell’autobus davanti a un ambulatorio frequentato da anziani, di far ottenere una concessione per una tabaccheria, di far pagare una fattura dall’azienda per cui ha lavorato, di mandare avanti un’autorizzazione per l’ampliamento delle attività specialistiche di un poliambulatorio.
Fidelio evidenzia anche le mosse finalizzate ad «agevolare l’iter di alcune pratiche amministrative pendenti presso enti pubblici (per esempio all’Irccs di Candiolo, ndr)». Ma Gallo non andava solo a caccia di voti. Per il giudice si muoveva «in una logica che è spudoratamente di scambio, utilità e favori in cambio di utilità e favori». Come quando porta a casa sei casse di spumante e champagne o un forno per i locali della sua associazione. Il pm Valerio Longi contesta a Gallo un episodio di estorsione: avrebbe «invitato», grazie alle sue entrature, a un impiegato della Sitaf, candidato in una circoscrizione, a uniformarsi alle scelte politiche di Gallo, minacciandolo, in caso contrario, «di licenziamento o comunque di gravi ripercussioni sulla sua carriera», a partire dal «demansionamento».
A Gallo e a Fantini viene contestato il peculato perché il primo si sarebbe fatto rimborsare dalla Sitalfa 1.750 euro per due ricevute emesse da una trattoria, «consumazioni del tutto estranee all’attività» della società. Per lo stesso reato Gallo è indagato perché si sarebbe fatto consegnare indebitamente almeno 16 tessere di servizio per il transito gratuito sull’autostrada Torino-Bardonecchia, probabilmente pass da distribuire. Infine si sarebbe fatto regalare dall’amico Fantini un treno di pneumatici per la sua auto.
C’è poi la contestazione del voto di scambio condivisa con tale Francesco Anello. A questi Gallo avrebbe garantito una visita specialistica con un ortopedico il giorno successivo al contatto «con la prospettiva di essere operato entro dieci giorni», ingiungendogli in cambio «di procurare almeno 50 voti di preferenza» per la candidata Greco.
Il Gip ha riconosciuto la gravità indiziaria solo per questa accusa (per cui il codice non prevede la custodia cautelare), mentre per quanto riguarda gli indizi relativi alle altre contestazioni, questi non avrebbero raggiunto «il rango di gravità, precisione e concordanza richiesto per l’adozione di una misura cautelare personale».
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Blitz in Piemonte: 9 arresti e 29 indagati. Per l’accusa la sinistra aveva piazzato nell’organo per la legalità il referente della criminalità organizzata. E il ras delle tessere chiese 50 voti in cambio di una visita medica.Nelle carte spunta anche il lobbista che «sussurrava a Enrico Letta e Fassino».Lo speciale contiene due articoli.Appalti e voti. Voti e appalti. La ’ndrangheta lavora così. Al Sud come al Nord. Dove le ’ndrine, le famiglie della «mala» calabrese infiltrate, hanno creato le loro articolazioni territoriali che, proprio come in Calabria, si chiamano «Locali». A Brandizzo, a Volpiano, a Chivasso, a Santhià. Tra Torino e Vercelli comandavano loro. Grazie anche a una strettissima relazione con il Partito democratico, che aveva scelto Roberto Fantini (finito ai domiciliari con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa) come componente dell’Orecol, un osservatorio di emanazione del Consiglio regionale piemontese che avrebbe dovuto garantire legalità e trasparenza negli appalti sulle opere pubbliche piemontesi. Praticamente, la volpe messa a guardia del pollaio. Arrivato lì, secondo l’accusa, su indicazione di Raffaele Gallo, consigliere regionale dem e figlio di Salvatore Gallo, esponente storico del Pd (il partito di Elly Schlein viene citato 18 volte nell’ordinanza) e socialista ai tempi di Bettino Craxi, che tramite un sistema corruttivo sarebbe riuscito a far eleggere tre fedelissimi nelle file dei democratici in Consiglio comunale a Torino.Uno dei protagonisti della connection piemontese è Giuseppe Pasqua da San Luca, località dell’Aspromonte che da anni si contendono due potentissimi clan in guerra tra loro, i Nirta e gli Strangio, passati alla storia per la mattanza di Duisburg. Stando alle accuse sarebbe affiliato alla ’ndrangheta «quantomeno dal 1994», scrivono gli inquirenti che l’altro giorno hanno chiesto e ottenuto nove misure cautelari (cinque in carcere e quattro ai domiciliari), portando alla luce gli intrecci tra mafia e politica. La caratura criminale di Pasqua emerge anche dalle modalità con cui si rivolgeva ai suoi collaboratori, ad esempio, per risolvere una questione relativa alle ore lavorate da un dipendente: «Tu comunque tieni la calma... non mi fare arrivare lì che vi devo sparare in testa a tutti quanti [...] tieni la calma tu non mi fate andare fuori di testa». Lo snodo, secondo l’accusa, sarebbe proprio Fantini, che oltre a fare il garante della legalità è stato (fino al 2021) l’amministratore delegato di una importante impresa: la Sitalfa spa, che fa parte fa parte del gruppo Sitaf, la società che gestisce la A32 Torino Bardonecchia.Fantini, manager di lungo corso nel settore delle costruzioni stradali, è finito agli arresti domiciliari proprio per il suo precedente ruolo ai vertici della Sitalfa. I Pasqua, che secondo l’accusa hanno pure in mano un colosso economico, avrebbero ottenuto «un trattamento di favore nell’assegnazione di lavori, sovrafatturando le prestazioni rese a Sitalfa e», ricostruisce l’accusa, «restituendo poi parte degli introiti a Fantini». Che avrebbe curato, però, anche l’inserimento di società di trasporto riconducibili ad appartenenti ad altri gruppi ’ndranghetisti, alcuni dei quali anche condannati per reati mafiosi, nei lavori di movimento terra affidati dalle società committenti. I rapporti tra i Pasqua e Fantini erano talmente stretti che quest’ultimo si è spinto fino a indicare a un dipendente della Sitalfa di rivolgersi a Domenico Claudio Pasqua per chiedere il suo intervento riguardo al furto di un camion di proprietà della Sitalfa. Il 14 marzo 2015 Vincenzo Colosimo, responsabile acquisti della società, informa Pasqua che «la notte precedente la Sitalfa aveva subito il furto di un autocarro quattro assi e Fantini lo aveva incaricato di avvisarlo, asseritamente allo scopo di acquisire informazioni utili al recupero del mezzo: “Questa notte ci hanno rubato un camion... e visto che voi siete del mestiere cioè che comprate camion... che fate trasporti... se senti in giro qualcosa...”». Domenico Pasqua, annotano gli inquirenti, «assicurava il suo interessamento». Ed ecco le valutazioni degli inquirenti: «Il dipendente di una società importante come Sitalfa, su indicazione dell’amministratore pro tempore Fantini, si premuri di contattare Pasqua per “denunciare” (allo stesso Pasqua, forse ancora prima che ai carabinieri, considerata l’ora mattutina della telefonata) il furto di un camion, “visto che voi siete del mestiere... che comprate camion”, rimanda a ben altro “mestiere” dei Pasqua, soggetti inseriti nella malavita locale e in grado di reperire il bene provento di furto in modo più agevole e rapido delle forze dell’ordine». Ma i Pasqua, stando alle accuse, potevano contare sulla Sitalfa anche nel suo ruolo di società insospettabile, da trasformare in un covo nel quale far assumere persone a loro vicine.Il 28 maggio 2015, infatti, Giuseppe Pasqua ricorda a tale Massimo Franciulli «di essere in attesa che quest’ultimo gli consegnasse il curriculum di suo fratello Francesco da consegnare a Fantini». Pasqua dice al suo interlocutore: «Mi fai fare il curricolo lì... di tuo fratello Francesco? Me lo fai e me lo consegni a me, però, eh!». I Pasqua insomma fanno da spicciafaccende, curando anche l’inserimento di società di trasporto riconducibili ad appartenenti ad altri gruppi ’ndranghetisti, alcuni dei quali anche condannati per reati mafiosi, nei lavori di movimento terra affidati dalle società committenti. Stando agli inquirenti, Pasqua si sarebbe mosso come una sorta di capobastone, «esercitando il controllo del territorio, fornendo protezione a imprenditori vittime di condotte estorsive da parte di soggetti appartenenti ad altri gruppi ’ndranghetisti, ottenendo in cambio vantaggi patrimoniali e commesse lavorative». Ma anche «dirimendo contrasti insorti tra appartenenti alla ’ndrangheta e tra questi e terze persone». Poi, per far sentire la sua forza, ha cercato di imporre il suo «niet» alla realizzazione del Piano migranti a Brandizzo, «con pressioni sugli imprenditori proprietari degli immobili destinati al progetto». «Finché ci sono io non viene proprio nessuno», dice bocciando il piano d’accoglienza. E racconta cosa avrebbe detto, senza giri di parole, al proprietario di alcuni immobili che avrebbe voluto mettere a disposizione per l’accoglienza: «Se vuoi combinare... di mandarci ’sti extracomunitari, mandali pure, vuol dire che qualche calabrese, qualche meridionale come te, come me, perché lui è pugliese, si salta in testa di darti fuoco, perdi porco e conto». E quando i suggerimenti non bastavano, si passava ai fatti. Ne sa qualcosa l’ex consigliere comunale ed ex assessore di Brandizzo Angelo Bevere, che dopo un articolo di giornale sgradito ai Pasqua si è beccato un pugno in pieno volto, dopo aver schivato una testata mentre l’aggressore, fratello di Giuseppe Pasqua, gli urlava contro «Cornuto, sbirro, ti ammazzo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/piemonte-pd-uomo-ndrine-appalti-2667711106.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="peggio-che-in-puglia-il-suk-dei-voti-e-ce-il-lobbista-caro-a-letta-e-fassino" data-post-id="2667711106" data-published-at="1712467297" data-use-pagination="False"> Peggio che in Puglia: il «suk» dei voti. E c’è il lobbista caro a Letta e Fassino La conclamata e presunta superiorità morale della sinistra se ne deve essere andata insieme con Enrico Berlinguer quarant’anni or sono. Infatti la Procura di Torino ha scoperchiato un sistema di voto clientelare che ruota intorno a un anziano ras delle tessere del Pd che già negli anni ’80, ai tempi del craxismo rampante, aveva avuto i primi problemi con la giustizia. Oggi Salvatore Gallo, quasi ottantatreenne originario di Cassano all’Ionio (Cosenza), è indagato per peculato, estorsione e corruzione elettorale, anche se il gip Luca Fidelio non ha accolto la richiesta di arresto avanzata dai pm. Già da presidente della Usl di Orbassano, nel 1986, aveva assaggiato il «braccio violento della legge» ed era stato arrestato con le accuse di concussione, falso ideologico, interesse privato e truffa e nel 1993 ha patteggiato una pena a 1 anno e 6 mesi. Benvenuti al circo della superiorità morale dove si esibisce anche Roberto Fantini, messo in quota Pd a controllare la legalità degli appalti e arrestato venerdì per concorso esterno in associazione mafiosa. Nella monumentale ordinanza di 1.400 pagine che ha portato alla custodia cautelare di nove persone (su 29 indagati) emerge un oliatissimo sistema che sfrutta le conoscenze all’interno del Comune di Torino, della Regione Piemonte, delle società autostradali (Gallo senior è stato, fino al 2015, procuratore speciale della Sitaf, che gestisce il traforo del Frejus, e presidente della controllata Sitalfa, di cui il fido Roberto Fantini, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa è stato ad), delle Asl e della Sanità in genere come passepartout per ottenere voti. Il secondo genito di Salvatore, Raffaele Gallo, 45 anni, non indagato, è capogruppo del Pd in Regione, oltre a essere componente della Segreteria provinciale e della Direzione nazionale del partito; il primogenito Stefano, 47 anni, anche lui estraneo all’inchiesta, è direttore tecnico amministrativo della Città della salute e della scienza di Torino. La filosofia di papà Gallo è ben riassunta in una sua conversazione con il vicedirettore generale del Comune, Antonino Calvano, che «Sasà» voleva assessore. Il piddino indagato spinge per accelerare le pratiche urbanistiche di alcuni potenziali elettori ed esclama: «Vediamo di vincere il Comune che poi queste cose si risolvono anche con più facilità». Salvatore, da figlio della Prima Repubblica, si muove nella jungla delle preferenze elettorali con grande disinvoltura. Il centro di gravità del suo potere è l’associazione IdeaTo, da lui fondata nel 2008 (praticamente l’anno di nascita del Pd, di cui rappresenta, di fatto, una potente corrente), che conta iscritti sia tra gli eletti che tra i dirigenti della pubblica amministrazione. Le amministrative del 3-4 ottobre 2021 sono una prova di forza di IdeaTo. «Quel cazzo di Gallo li ha nominati tutti» esclama al telefono Roberto Fantini, dopo la tornata elettorale. E, in effetti, IdeaTo, ha portato in Consiglio comunale Antonio Ledda (988 voti), Caterina Greco (857 voti) e Annamaria Borasi (798 voti), oltre a cinque consiglieri circoscrizionali. Per il giudice il favorevole esito delle votazioni «veniva considerato» da Gallo «quale viatico per acquisire maggiore potere e orientare con ancora maggiore facilità le scelte della pubblica amministrazione». Ma poi le cose non vanno come sperato. Il neosindaco Stefano Lo Russo (che non è coinvolto nelle indagini) non chiama in giunta nessuno del gruppo IdeaTo: preferisce «persone competenti sulle materie specifiche». E allora Gallo punta su altre nomine pesanti, per esempio in società partecipate (come l’azienda dei traposti Gtt) o a Palazzo civico (gli investigatori evidenziano la promozione di Calvano). Nelle more delle trattative spunta il nome di un importante lobbista, molto attivo a Roma, dove riceve all’hotel St. Regis. Un personaggio meno noto di Luigi Bisignani, ma considerato altrettanto influente. Stiamo parlando di Ignazio Moncada, settantacinquenne originario di Modica, già vicepresidente di una società del gruppo Sitaf e presidente di una controllata di Finmeccanica, consulente e amministratore di un consorzio impegnato nel settore dell’edilizia in Piemonte, rappresentante legale di una società di diritto anglosassone, la Ida Capital e, con Franco Frattini ministro degli Esteri del governo Berlusconi, già membro del comitato strategico del governo italiano per lo sviluppo e la protezione degli interessi nazionali in economia. Al telefono, Gallo fa sapere a un dirigente della Sitaf, Salvatore Sergi, di avere bisogno di riferirgli (dopo non essere riuscito a contattarlo con l’applicazione criptata Signal) «informazioni acquisite nel corso dei suoi incontri con Roberto Fantini e Ignazio Moncada». In un’altra conversazione al figlio Raffaele, che dichiara di «non avere strumenti sufficienti per contrastare le scelte del sindaco», ricorda che «nel 2011 anche l’ex sindaco Fassino (Piero, ndr) aveva fatto delle resistenze per la nomina» del fratello Stefano «ad assessore allo sport e ai servizi anagrafici, nonostante avesse raccolto il maggior numero di preferenze tra gli eletti del Pd» e che «per farlo tornare sui suoi passi era stato necessario far intervenire Moncada». Aggiunge che pure «in questa circostanza Moncada avrebbe potuto chiedere l’intervento del segretario nazionale del Partito democratico Enrico Letta per fare pressioni su Lo Russo» ed esaudire i desiderata di Raffaele. Rammenta Gallo a proposito di Moncada: «Davanti a me ha preso il telefono… dovevi vedere come lo ha trattato (riferito a Fassino, ndr)… ma guarda che se abbiamo l'acqua alla gola a Ignazio, a Roma, dico “fai una telefonata a Letta”» in modo che «dica al suo "delfino" che si comporti come uomo». Poi l’ex socialista chiede al figlio: «Gli facciamo fare anche una telefonata da Letta, eh? A Ignazio, glielo dico, eh?». Il consigliere regionale invita il padre a temporeggiare, ma in un’altra telefonata Salvatore «afferma di aver già chiesto l’intervento di Piero (Fassino, ndr)» e incita l’interlocutore a fare pressione su Lo Russo. Il Gip dedica più passaggi al Sistema Gallo. Per esempio scrive che l’indagato «interpreta il tema delle relazioni interpersonali, con una chiave di lettura costante, ovvero la convenienza e il do ut des: non fa mai nulla per nulla». Si attiva «sempre con l’aspettativa di un ritorno» a partire dall’«iscrizione alla propria associazione culturale e l’impegno ad attivarsi in campagna elettorale per sostenere i suoi candidati». Gallo non è, dunque, un «benefattore», né è «animato da autentico spirito solidaristico», è solo «interessato ad avere una vasta cerchia di persone fidelizzate». Per questo è un «dispensatore dei più svariati “favori”». Si preoccupa di far spostare i cassonetti dell’immondizia, di far ripristinare una fermata dell’autobus davanti a un ambulatorio frequentato da anziani, di far ottenere una concessione per una tabaccheria, di far pagare una fattura dall’azienda per cui ha lavorato, di mandare avanti un’autorizzazione per l’ampliamento delle attività specialistiche di un poliambulatorio. Fidelio evidenzia anche le mosse finalizzate ad «agevolare l’iter di alcune pratiche amministrative pendenti presso enti pubblici (per esempio all’Irccs di Candiolo, ndr)». Ma Gallo non andava solo a caccia di voti. Per il giudice si muoveva «in una logica che è spudoratamente di scambio, utilità e favori in cambio di utilità e favori». Come quando porta a casa sei casse di spumante e champagne o un forno per i locali della sua associazione. Il pm Valerio Longi contesta a Gallo un episodio di estorsione: avrebbe «invitato», grazie alle sue entrature, a un impiegato della Sitaf, candidato in una circoscrizione, a uniformarsi alle scelte politiche di Gallo, minacciandolo, in caso contrario, «di licenziamento o comunque di gravi ripercussioni sulla sua carriera», a partire dal «demansionamento». A Gallo e a Fantini viene contestato il peculato perché il primo si sarebbe fatto rimborsare dalla Sitalfa 1.750 euro per due ricevute emesse da una trattoria, «consumazioni del tutto estranee all’attività» della società. Per lo stesso reato Gallo è indagato perché si sarebbe fatto consegnare indebitamente almeno 16 tessere di servizio per il transito gratuito sull’autostrada Torino-Bardonecchia, probabilmente pass da distribuire. Infine si sarebbe fatto regalare dall’amico Fantini un treno di pneumatici per la sua auto. C’è poi la contestazione del voto di scambio condivisa con tale Francesco Anello. A questi Gallo avrebbe garantito una visita specialistica con un ortopedico il giorno successivo al contatto «con la prospettiva di essere operato entro dieci giorni», ingiungendogli in cambio «di procurare almeno 50 voti di preferenza» per la candidata Greco. Il Gip ha riconosciuto la gravità indiziaria solo per questa accusa (per cui il codice non prevede la custodia cautelare), mentre per quanto riguarda gli indizi relativi alle altre contestazioni, questi non avrebbero raggiunto «il rango di gravità, precisione e concordanza richiesto per l’adozione di una misura cautelare personale».
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Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
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Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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