2025-10-15
Esplode casa da sgomberare, uccisi tre carabinieri. Meloni: «Funerali di Stato»
Tragedia nel Veronese, tre fratelli hanno fatto saltare un casolare riempiendolo di gas Una ventina i feriti tra militari, poliziotti e vigili del fuoco. Il premier: «Lutto nazionale».Da Mattarella alla Elly Schlein: chi ora fa scendere in campo il «generale cordoglio» e «l’ufficiale sdegno», in passato ha criticato gli uomini in divisa perché facevano il loro dovere. Chissà se lo farà al prossimo corteo?Valerio Daprà e Marco Piffari erano i veterani, Davide Bernardello il più giovane.Lo speciale contiene tre articoliIl tetto del vecchio casolare sventrato. Travi di legno e mattoni a terra. Attorno, sull’erba, i caschi e i giubbotti antiproiettili dei carabinieri.È quello che rimane del sacrificio dei tre carabinieri, che hanno perso la vita nella notte di martedì, e di un gesto di follia e di criminale disperazione perché i fratelli Dino, Franco e Maria Luisa Ramponi, di 63, 65 e 58 anni, non volevano andarsene dalla loro abitazione di Castel d’Azzano. Vessati dalle banche e disposti a tutto pur di impedire quella che consideravano un’ingiustizia: l’esecuzione forzata del recupero del credito sulla loro cascina, uno dei pochi beni rimasti, dove lavoravano e vivevano occupandosi della terra e di una trentina di mucche.Le forze dell’ordine sapevano che l’operazione di sgombero, programmata in seguito all’ordine del giudice, era ad alto rischio. E, per questo, era stata studiata da tempo dopo vari tentativi andati a vuoto perché i tre fratelli avevano già minacciato di farsi saltare in aria. Proprio per la delicatezza dell’azione, sul posto erano arrivati i militari dei reparti speciali di Padova e Mestre, le squadre specializzate dell’Uopi della direzione centrale anticrimine e i vigili del fuoco. Fin dalle prime ore della notte, era stata predisposta l’assistenza del sistema sanitario regionale con una automedica e due ambulanze per lo sgombero. Ma quando alle 3.15 di notte le forze speciali entrano nell’edificio, esplode tutto. Il boato arriva fino a cinque chiilometri di distanza e per i carabinieri Marco Piffari, Davide Bernardello e Valerio Daprà non c’è scampo.Appena si accorgono che stanno per entrare, i fratelli riempiono lo stabile di gas utilizzandolo delle bombole. I militari non fanno tempo a varcare la soglia della porta d’ingresso che Maria Luisa Ramponi scatena l’inferno. Afferra una bottiglia molotov e scoppia tutto.Che i fratelli Ramponi fossero pieni di esplosivi, anche questa era cosa nota. Proprio nei giorni scorsi, da alcun sopralluoghi realizzati con dei droni, le forze dell’ordine avevano individuato una serie di bottiglie molotov ammassate sul tetto del casolare. «C’era il concreto pericolo che ci potessero essere armi ed esplosivi anche all’interno», ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Claudio Papagno, specificando come già in passato i Ramponi avessero messo in atto condotte minatorie. Non erano mai arrivati a questo punto, di mettere in atto quella che ormai si configura come una vera e propria strage premeditata. E di cui forse si potevano scorgere le avvisaglie in alcune dichiarazioni rilasciate poco meno di un anno fa.«Ci facciamo saltare in aria», avevano detto i tre fratelli, agricoltori e allevatori, minacciando proprio il folle gesto dell’altra notte. L’aveva detto chiaro chiaro, Maria Luisa in un video che oggi suona come un macabro annuncio. «Abbiamo riempito la casa di gas. Non sappiamo più cosa fare. Non abbiamo più nulla, continuiamo a subire e subire», dice la donna nel filmato, raccontando di lottare da cinque anni per avere giustizia.E così, nel novembre 2024, i tre fratelli, si erano barricati sul tetto dell’edificio con una tanica di benzina, dopo aver aperto il gas all’interno degli immobili e chiuso tutte le porte e le finestre, pronti a far esplodere l’intera struttura. Allora, però, erano stati messi in salvo dai vigili del fuoco che li avevano evacuati scongiurando la tragedia. All’origine di tali ideazioni suicidarie vi sarebbero difficoltà finanziarie della famiglia. Tutto pare aver avuto inizio nel 2014, quando Dino, a causa di una serie di debiti accumulati, avrebbe stipulato un mutuo falsificando la firma di un famigliare, forse del fratello Franco. I tre avevano, però, sempre sostenuto di non aver mai firmato i documenti per il prestito, e che anzi le firme erano state contraffatte. Nel mentre, però, secondo quando raccontato da Maria Luisa, scatta un pignoramento di edifici e terreni, viene nominato un custode giudiziario, si susseguono una serie di aste a seguito delle quali gli immobili e i terreni vengono deprezzati e, infine, svenduti. Anche nel 2021, nel tentativo di salvare la proprietà dall’asta, uno dei fratelli era salito sul tetto del tribunale di Verona urlando che si sarebbe lanciato nel vuoto, mentre la sorella, che si cospargeva di alcol nel parcheggio, minacciava di darsi fuoco. In quel caso, a bloccarli era stato il tempestivo intervento di due vigilantes.Ma se la loro propensione al suicidio come gesto estremo ormai era nota sia in paese sia tra le forze dell’ordine, nessuno pensava potessero arrivare all’omicidio o, addirittura, alla strage, ipotesi di reato al vaglio degli inquirenti (al momento l’accusa è omicidio premeditato e volontario, oggi si terranno gli interrogatori, ndr). Anche il bilancio dei feriti rende la portata del gesto: almeno 25 i ricoverati, sparsi in quattro ospedali della zona. Tra loro anche Maria Luisa, in stato di fermo come il fratello Dino, subito fermato dopo l’esplosione, e Franco, inizialmente scappato dalla scena del crimine e fermato dopo alcune ore in un campo poco lontano dal casolare. Non ha opposto resistenza. Stando ai racconti dei vicini, i Ramponi in paese sono conosciuti come «strani», isolati e senza una rete di amicizie al di fuori del nucleo familiare; fino a qualche tempo fa erano proprietari di diversi campi, poi tutti svenduti per far fronte ai crescenti debiti.In loro possesso rimaneva solo il casolare, ormai fatiscente, senza allaccio alla corrente elettrica e all’acqua potabile. Pare lavorassero esclusivamente di notte e che ormai vivessero solo del latte delle mucche. A quanto racconta il vice sindaco Antonello Panuccio, il Comune era pronto ad accoglierli in qualche struttura provvisoria, ad offrire un aiuto logistico ma non certo assistenziale data la condizione di dei fratelli, tutti considerati non soggetti fragili e ancora in età lavorativa. Una soluzione inaccettabile a quanto pare, dato che la cascina, per i fratelli Ramponi era diventata ormai l’unica ragione di vita.Intanto, il Consiglio dei ministri, su richiesta del premier Giorgia Meloni, ha deciso il lutto nazionale e le esequie di Stato. Tre giorni di lutto nazionale anche in Veneto per quella che man mano che escono dettagli, sembra sempre di più una tragedia annunciata.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/esplode-casa-da-sgomberare-uccisi-tre-carabinieri-meloni-funerali-di-stato-2674184246.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="oggi-tutti-piangono-ma-da-domani-ce-chi-ritornera-ad-accusarli" data-post-id="2674184246" data-published-at="1760472972" data-use-pagination="False"> Oggi tutti piangono ma da domani c’è chi ritornerà ad accusarli «È una delle scene più atroci della mia vita: vedere il lenzuolo bianco sopra la divisa dei carabinieri»: è affranto Raffele Tito, procuratore di Verona, che tutta la notte è stato tra i campi di Castel d’Azzano. Sotto quel lenzuolo ci sono Marco Piffari e Valerio Daprà, 56 anni, Davide Bernardello, 36 anni. Li hanno ammazzati come tanti, troppi altri servitori dello Stato perché erano lì a fare il loro dovere, a difendere cittadini e legalità. Li avvolge pure un sudario di ipocrisia. È sceso in campo il «generale cordoglio» e «l’ufficiale sdegno».Si sapeva che i fratelli Ramponi che hanno fatto esplodere la casa ammazzando i militari erano pericolosi: avevano già minacciato un avvocato, se ne dovevano andare da quel casolare, ma si sono barricati. Sembrano le storie che Mario Giordano racconta a Fuori dal coro: ladri di case che se ne fregano di uno Stato fortissimo con i deboli, inerte con i prepotenti e piagnone quando non se ne può fare a meno. Il presidente della Repubblica ha scritto al comandante generale dell’Arma: «Ho appreso con sconcerto e profondo dolore la notizia della morte dei tre militari; in questa drammatica circostanza, esprimo la mia solidale vicinanza all’Arma dei carabinieri e sentimenti di partecipe cordoglio ai familiari». Viene da domandarsi se è lo stesso Sergio Mattarella che rampognò i carabinieri di Pisa che usarono i manganelli per disperdere gli studenti pro Pal. Disse: «Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».E chissà se arriverà il cordoglio di Silvia Roggiani, segretaria lombarda del Pd, che, spalleggiata dal sindaco Beppe Sala e dall’ex capo della polizia Franco Gabrielli, ebbe a dire dei carabinieri dopo l’inseguimento finito con la morte di Ramy Elgaml: «Esultavano mentre uccidevano un immigrato». Ilaria Cucchi, senatrice Pd, per quei carabinieri che la Procura vuole processare a ogni costo, disse: «Toglietegli la divisa». Per i tre militari veronesi è arrivata una nota di dolore del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi: «È una grande tragedia. Questo è il momento del dolore, dello stare uniti e vicino all’Arma dei carabinieri. Si è trattato di un’operazione curata nel dettaglio. Ciononostante, era inimmaginabile ci potesse essere un livello di aggressività di questo tipo».Ma ai tre militari, ora, nessuno può spiegarglielo. Giorgia Meloni ha chiesto ieri al Consiglio dei ministri, di rispettare un minuto di silenzio. È stato deciso che si faranno i funerali di Stato e sarà dichiarato il lutto nazionale per due giorni. Elly Schlein, segretario del Pd, asserisce: «Siano attoniti, è straziante quanto è avvenuto; alle famiglie e all’Arma il mio personale cordoglio e di tutto il Pd». Ma è la stessa Schlein che, di fronte alla richiesta dello scudo penale per le forze dell’ordine, aveva tuonato: «Siamo fortemente contrari a quell’ipotesi, la legge è uguale per tutti. Tanto più lo deve essere per chi deve far rispettare la legge. Sarebbe pericoloso un quadro in cui si crea una impunità generalizzata». Forse dovrebbe spiegarlo ai Carabinieri aggrediti da pro Pal a Roma. Hanno arrestato due facinorosi, il giudice li ha messi fuori.È storia quotidiana. Hanno devastato Roma, ma che gli fa: son ragazzi e con i ragazzi i manganelli non si usano. Carabinieri e agenti di polizia devono stare lì fermi a fare il bersaglio. E che importa se, negli ultimi nove mesi, su 8.000 manifestazioni ci sono stati 325 feriti tra le forze dell’ordine (il 52% in più del 2024). Se ci scappa il morto, c’è sempre di picchetto l’ufficiale sdegno e poi l’onore del generale cordoglio! <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/esplode-casa-da-sgomberare-uccisi-tre-carabinieri-meloni-funerali-di-stato-2674184246.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="tutti-membri-delle-squadre-speciali-uno-era-reduce-del-conflitto-somalo" data-post-id="2674184246" data-published-at="1760472972" data-use-pagination="False"> Tutti membri delle squadre speciali. Uno era reduce del conflitto somalo Valerio Daprà aveva combattuto in Somalia schivando la morte per poco e un destino beffardo ha stroncato la sua vita vicino casa. I nomi e i volti di Valerio Daprà, Marco Piffari e Davide Bernardello resteranno scolpiti nella mente di tutti e nel cuore di chi li ha conosciuti perché «è ingiusto» morire facendo il proprio lavoro.Delle loro vite, dei loro sorrisi e della loro voglia di vivere adesso rimane soltanto un mazzo di gigli deposto di fronte alla sede del comando provinciale dei carabinieri di Verona. Erano tre carabinieri «in servizio» impegnati in un’operazione di sgombero, ma l’esplosione a Castel d’Azzano, in provincia di Verona, ha fatto in modo che quelle divise resteranno appese per sempre. Facevano parte del Nucleo operativo radiomobile della compagnia di Padova, inquadrati nell’aliquota di primo intervento, il reparto addestrato a operare nelle situazioni più delicate. Il luogotenente Marco Piffari, il brigadiere capo Valerio Daprà e il carabiniere scelto Davide Bernardello, oltre a indossare la stessa divisa, condividevano lo stesso senso del dovere e la stessa dedizione per un mestiere che, per loro, era prima di tutto una missione. Piffari, 56 anni, era nell’Arma da ben 38 anni. Era nato a Taranto il 4 febbraio 1969, ma viveva a Sant’Ambrogio di Trebaseleghe, in provincia di Padova, ed era comandante della squadra operativa di supporto. Da dodici anni si occupava della protezione di obiettivi sensibili e nel contrasto alla criminalità organizzata e alla microcriminalità. Si era arruolato nel 1987, da allora la divisa e il suo lavoro erano parte della sua vita. Come emerge anche dai suoi profili social: pubblicava spesso contenuti legati all’attività delle forze dell’ordine e amava condividere frasi personali, come questa: «La vita è troppo breve per infarcirla di bugie».In un post di febbraio, in occasione del suo compleanno, aveva ringraziato gli amici per gli auguri scrivendo un messaggio: «Spero di scrivervi per moltissime altre primavere». Amava il suo lavoro, ma aveva anche tante passioni tra le quali in particolare l’equitazione e la moto. Gli piacevano molto la montagna e la natura. Aveva anche un rapporto speciale con Brescia perché da piccolo aveva vissuto in quelle zone con la sua famiglia. Tanti i messaggi di cordoglio e di profondo dolore. Un amico, su un post di Facebook, lo descrive come «una persona semplice quanto determinata, che sentiva sulle sue spalle il dovere di essere un comandante». Il Comune di Trebaseleghe ha espresso «profondo cordoglio» per la «tragica scomparsa del carabiniere Marco Piffari» per «il nostro concittadino, caduto mentre compiva il proprio dovere. La sua perdita ci addolora immensamente e desideriamo esprimere il nostro più sincero cordoglio alla famiglia e a tutti i colleghi».Piffari aveva la stessa età del brigadiere capo Valerio Daprà che aveva da poco festeggiato il suo compleanno (e che, secondo il Corriere, aveva maturato un’anzianità da pensionamento ma aveva deciso di non andarci, ndr). Era nato a Brescia il 9 ottobre 1969 e si era arruolato nell’Arma nel 1988. Viveva a Padova da anni. Lascia una compagna e due figli. Daprà aveva combattuto nella battaglia di Checkpoint Pasta del 2 luglio 1993 in Somalia. In quell’occasione morirono tre soldati italiani e lui riuscì a salvarsi. Il più giovane dei tre era il carabiniere scelto Davide Bernardello, nato a Camposampiero (Padova) il 31 agosto 1989, viveva nel Padovano. Si era arruolato nel 2014 e anche lui operava nell’aliquota di primo intervento del nucleo radiomobile di Padova. Tre vite diverse spezzate da un amaro e beffardo destino.
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo
Papa Leone XIV (Ansa)
«Ciò richiede impegno nel promuovere scelte a vari livelli in favore della famiglia, sostenendone gli sforzi, promuovendone i valori, tutelandone i bisogni e i diritti», ha detto Papa Leone nel suo discorso al Quirinale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna sono, nella tradizione italiana, parole che esprimono e suscitano sentimenti di amore, rispetto e dedizione, a volte eroica, al bene della comunità domestica e dunque a quello di tutta la società. In particolare, vorrei sottolineare l'importanza di garantire a tutte le famiglie - è l'appello del Papa - il sostegno indispensabile di un lavoro dignitoso, in condizioni eque e con attenzione alle esigenze legate alla maternità e alla paternità».
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