2018-09-27
Per evitare le sanzioni sull’Iran teniamo il piede in due scarpe
Giuseppe Conte vede Hassan Rohani con l'obiettivo di tutelare gli affari italiani nella Repubblica islamica senza irritare gli Usa. Abbandonata la linea Morgherini, la speranza del governo è di fare il mediatore tra Teheran e Washington.The Donald zittisce il mondo con i risultati. Alle élite resta solo l'arma del disprezzo.Lo speciale contiene due articoli.Se c'è un dossier su cui Donald Trump è apparso totalmente isolato in questi giorni di Assemblea generale dell'Onu a New York è quello che riguarda l'Iran. Unione europea, Cina e Russia hanno infatti bollato con disprezzo come un atto unilaterale la mossa della Casa Bianca di nuove sanzioni contro il regime degli ayatollah. Incerta appare però la posizione italiana, combattuta tra il riavvicinamento agli Usa e gli interessi delle grandi aziende.Il premier Giuseppe Conte ieri ha incontrato il presidente iraniano Hassan Rohani. L'Italia, in quel caso, ha parlato anche un po' per bocca statunitense, visto che Trump aveva annunciato su Twitter che non avrebbe incontrato Rohani, limitandosi a un «magari in futuro». E così è stato. Ma di Iran avevano discusso martedì nel corso del loro bilaterale Pietro Benassi, consigliere diplomatico di Conte, e John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. Quell'incontro, racconta una fonte della diplomazia italiana, è stato per buona parte concentrato sulle questione del Mediterraneo, in particolare sulla Libia, scenario in cui l'Italia cerca il sostegno americano per organizzare a novembre una conferenza di pace in Sicilia. Ma Bolton, che non ha mai escluso la possibilità di un'operazione statunitense per rovesciare il regime di Teheran, ha cercato il confronto con l'Italia anche sul dossier Iran. Ieri, a poche ore dall'incontro tra Conte e Rohani, il consigliere di Trump ha tuonato contro il regime: «Se continuerete a mentire, imbrogliare e ingannare, ci saranno conseguenze infernali», ha detto intervenendo al summit dell'organizzazione United against nuclear Iran, a margine dell'assemblea generale Onu. Tuttavia, alla durezza di Bolton ha fatto da contraltare un atteggiamento più conciliante di Conte durante il bilaterale con Rohani. Le preoccupazioni italiane riguardano, infatti, società come Ansaldo, Danieli e Saipem, che in Iran hanno fatto importanti investimenti grazie all'apertura al regime di cui è stato fautore in primo luogo l'ex presidente a stelle e strisce Barack Obama.L'Italia cerca quindi di ritagliarsi un ruolo da mediatrice tra gli Usa e l'Iran. Una fonte diplomatica statunitense spiega alla Verità il perché dell'appoggio silenzioso dell'amministrazione Trump all'operato del governo italiano su questo dossier: Washington non può abbandonare del tutto l'Iran per motivi di sicurezza, e nello scenario attuale l'Italia rappresenta la perfetta testa di ponte. Anche perché unico tra i grandi Paesi dell'Europa ad aver dimostrato una certa disponibilità a lavorare con gli Stati Uniti di Trump.All'Italia la porta aperta verso l'Iran potrebbe essere garantita dall'Unione europea. Pochi giorni fa, infatti, Federica Mogherini, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, ha annunciato la creazione di un'entità specifica per continuare le relazioni commerciali con l'Iran, in particolare per l'esportazione di petrolio. «Concretamente, gli Stati membri dell'Ue istituiranno un'entità legale per facilitare transazioni finanziarie legittime con l'Iran», ha detto la Mogherini a margine di un un incontro dedicato alla salvaguardia dell'accordo nucleare iraniano del 2015 (di cui lei fu grande sostenitrice), sottoscritto con l'Iran da Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Germania e Unione europea. La decisione di creare un veicolo speciale già «è stata presa. Ora si terranno incontri di tipo tecnico per renderlo operativo» e permettere di sfuggire alle sanzioni che Washington imporrà dal 4 novembre contro Teheran e contro chiunque non avrà ridotto «a zero» l'importazione di petrolio iraniano. È quanto si legge in una nota congiunta letta dalla Mogherini e dal ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif martedì. A fianco dell'Ue, ci sono anche Russia e Cina. I tre attori sono intenzionati «a proteggere la libertà dei loro operatori economici di perseguire attività legittime con l'Iran», continua la nota. Rimangono i dettagli tecnici da definire ma intanto a Bruxelles già circola la voce che a garanzia degli scambi, in larga parte energetici, potrebbe essere messa addirittura la Banca europea per gli investimenti. La reazioni americana è stato durissima. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha definito lo strumento ipotizzato dalla Mogherini come «una delle misure più controproducenti immaginabili per la pace e la sicurezza regionale e globale». Pompeo si è detto «turbato e profondamente deluso nel sentire le parti che sono rimaste nell'accordo sul nucleare iraniano annunciare la messa a punto di uno speciale sistema di pagamento per bypassare le sanzioni Usa». Concetto ribadito da Trump in persona, che ieri al Consiglio di sicurezza da lui presieduto per la prima volta ha tuonato: «Chi aggira sanzioni subirà serie conseguenze». Ma, sottolinea una fonte nella missione italiana al Palazzo di vetro di New York, l'Italia spera che dietro queste minacce si nasconda il modello già attuato da Trump con l'apertura alla Corea del Nord: prima il bastone, poi la carota. È in quest'ottica che l'asse Roma-Teheran potrebbe risultare meno indigesto a Washington.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-evitare-le-sanzioni-sulliran-teniamo-il-piede-in-due-scarpe-2608192091.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lonu-prova-a-battere-trump-con-le-risatine" data-post-id="2608192091" data-published-at="1757886693" data-use-pagination="False"> L’Onu prova a battere Trump con le risatine /div> Gli Stati Uniti sono tornati al centro del ring, e una parte del vecchio mondo - quella abituata a spellarsi le mani quando Obama girava i quattro angoli del pianeta quasi scusandosi per la storia americana - reagisce con risatine isteriche, disprezzo per la diversità trumpiana, e tifo da stadio per Macron e le sue cantilene multilateraliste. All'Assemblea generale dell'Onu, davanti alle rappresentanze diplomatiche di tutto il mondo, Donald Trump ed Emmanuel Macron hanno parlato in sequenza: il primo rivendicando orgogliosamente la sua linea, consapevole di giocare in trasferta (sebbene a New York, per ironia della storia), nella sede di un'organizzazione inefficiente, corrotta, soffocata dagli scandali e dal peso delle dittature non di rado egemoni nel Palazzo di vetro, mentre il secondo era davanti al suo pubblico, fatto di politici e diplomatici che vedono Trump come un abusivo e un usurpatore, una parentesi da chiudere, un esagitato da rimuovere. Trump l'ha messa già dura sin dall'esordio: «La mia amministrazione ha ottenuto più risultati di ogni altra nella storia del mio Paese». Risate in sala, gomitate di complicità della platea ostile, quasi compiaciuta di poter ignorare i dati dello spettacolare laboratorio economico americano: disoccupazione praticamente azzerata (3,9%), con salari, Pil, fiducia, consumi (e Borsa) ai massimi. Ma The Donald non si è scomposto davanti alle risatine, anzi ha incassato e ha pure fatto sfoggio di autoironia: «Non era la reazione che mi aspettavo, ma va bene lo stesso», guadagnandosi un applauso. Poi, con durezza, il cuore della visione trumpiana: «Rispetto il diritto di ogni nazione di avere i propri costumi, convinzioni e tradizioni. Gli Stati Uniti non vi diranno come vivere o come lavorare o cosa adorare: vi chiediamo solo, in cambio, di rispettare la nostra sovranità». Poi schiaffi ai produttori di petrolio dell'Opec, «che stanno imbrogliando il resto del mondo», e a quelle nazioni che fanno parte dell'Organizzazione mondiale del commercio «ma violano ogni principio su cui il Wto è basato». Un avviso (garbato) alla Cina: «Ho rispetto e affetto per il mio amico presidente Xi, ma ho detto chiaramente che il nostro squilibrio commerciale con la Cina non è accettabile. Le distorsioni del mercato praticate dalla Cina non possono essere tollerate». E poi la Germania, su cui The Donald picchia duro, perché «rischia di diventare totalmente dipendente dall'energia russa». Dopo questo elenco dei posti «non buoni», Trump è passato a elogiare i casi positivi, tra cui la Polonia (indipendente sul piano energetico e capace di sfidare l'Ue), l'India per come combatte la povertà, e ovviamente Israele, presidio di democrazia in Medio Oriente. Infine il succo della dottrina «America first», che non vuol dire «America alone», cioè America da sola, ma un'aperta rivendicazione dell'interesse nazionale americano come bussola per il mondo libero: «Non lasceremo mai la nostra sovranità a una burocrazia globalista che nessuno ha eletto e che non risponde a nessuno». E ancora: «Le nazioni indipendenti sono state l'unico strumento attraverso cui la libertà si è salvata, la pace si è affermata, la democrazia si è consolidata. Non permetteremo che i nostri lavoratori siano danneggiati e le nostre aziende siano ingannate, l'America non chiederà mai scusa per aver protetto i propri cittadini». Dopo questa raffica di ceffoni, alla platea del Palazzo di vetro non è parso vero di ascoltare un Macron impegnato a contraddire Trump in ogni singolo punto, iniziando dalla denuncia di «un certo nazionalismo che brandisce la sovranità come un modo di attaccare gli altri». Insomma, i nazionalismi degli altri vanno male, mentre quello francese, che chiude i porti e vuole l'egemonia in Ue, va benissimo. E poi un altro attacco a Trump, a proposito di quelle «dispute commerciali che porteranno a isolazionismo e disuguaglianza», ha sibilato il presidente francese tra gli applausi della platea onusiana. Intanto negli Usa si avvicina la campagna per le elezioni parlamentari di medio termine, in cui i repubblicani sono in difficoltà nei sondaggi, e un'opposizione scatenata gioca ogni carta disperata (dagli scandali sessuali all'aggressione giudiziaria) per togliere dall'agenda l'ottimo andamento dell'economia, mentre la stampa orientata a sinistra, dal Washington Post al New York Times, attacca Trump con una violenza mai vista. Nessuno sa quanto il presidente potrà resistere contro tutti questi nemici: ma intanto li ha fatti impazzire di rabbia e di livore.
Jose Mourinho (Getty Images)