2024-02-03
Con la «dote» di Orbán Ecr può ribaltare l’Ue
L’ingresso nei Conservatori di Fidesz (oggi ha 12 eurodeputati) e il prevedibile exploit di Fdi alle urne di giugno faranno diventare il gruppo l’ago della bilancia nella scelta del futuro presidente della Commissione. Ma la condotta del leader magiaro è sotto esame.Dodici eurodeputati. È questa la dote (se sarà confermata a giugno) che Viktor Orbán e il suo partito Fidesz porteranno a Giorgia Meloni a Strasburgo, se l’affermazione del leader ungherese di voler entrare nel gruppo Ecr corrisponderà ai fatti. A livello numerico, l’apporto sarebbe certamente importante, anche perché le proiezioni dicono che potrebbero essere di più. È a livello politico, però, che la questione risulta tutt’altro che chiusa, a dispetto dei termini certi con cui Orbán l’ha impostata.Partiamo dagli aspetti numerici: alle ultime Europee, svoltesi nel 2019, Fratelli d’Italia ha preso il 6,4%. Una percentuale che prelude a un facilmente prevedibile exploit del gruppo Ecr all’Europarlamento, visto che difficilmente il partito del nostro premier potrà scendere sotto il 25%. L’aggiunta dei voti di Fidesz, dunque, potrebbe fare della componente guidata da Meloni il vero king maker nella partita della composizione della maggioranza che eleggerà il prossimo presidente della Commissione. La possibilità di scongiurare un’altra maggioranza Ursula, sbilanciata a sinistra e orientata verso provvedimenti ideologici come il Green deal (che hanno fatto fuggire a gambe levate il vicepresidente Ue, Frans Timmermans, in picchiata di popolarità), sarebbe quindi molto alta, anche perché un riallineamento su posizioni moderate dei Popolari è già nei fatti e si è visto nell’ultimo scorcio della legislatura.C’è, però, un nodo politico che dagli ambienti di Fdi tengono a precisare e non è di poco conto: l’adesione di Orbán a Ecr non è ancora stata deliberata e, soprattutto, non è certa. Ed è qui che interviene la politica estera. La caduta del veto sull’ultima tranche di aiuti a Kiev da parte del leader ungherese è stata accolta dai partner Ue con grande soddisfazione e come un successo diplomatico personale del nostro premier. È evidente che l’accelerazione fornita da Orbán al dossier dell’entrata in Ecr, nelle sue dichiarazioni di mercoledì scorso, era dettata dall’esigenza di non dare l’impressione all’opinione pubblica interna ungherese di essere capitolato di fronte ai Paesi occidentali e di avere comunque ottenuto qualcosa in cambio.Il fatto è che, ci tengono a sottolineare i luogotenenti meloniani in Europa, che il percorso di Orbán di avvicinamento all’Ecr è ancora sotto esame. La stessa Meloni, ha parlato di «dibattito aperto», non dando per compiuta l’operazione perché - come ha osservato una fonte Ecr degna di questo nome - «se Orbán tornasse a fare il putiniano, si torna in alto mare». Di certo, dopo il nulla osta dato agli aiuti all’Ucraina, i progressi sono innegabili, se si pensa che la questione in autunno era stata congelata per la concomitanza con le elezioni polacche, per non dare al centrosinistra occidentalista di Donald Tusk un’efficace arma dialettica contro il Pis dell’ex-premier di Varsavia Mateusz Morawiecki, che si sarebbe trovato un alleato ingombrante nel momento sbagliato. L’incontro brussellese tra Morawiecki e Meloni degli ultimi giorni, invece, è servito proprio a far ripartire la pratica Orbán-Ecr. L’avallo dei polacchi è, infatti, indispensabile, perché attualmente nell’Eurocamera hanno la delegazione più nutrita all’ingresso del gruppo e non è da escludere che il leader ungherese abbia sottolineato di entrare «dopo le elezioni», anche perché allora la sua interlocutrice principale guiderà la delegazione più importante. La fretta di Orbán, d’altra parte, pare giustificata dall’esigenza di uscire dall’isolamento in cui è finito dopo l’abbandono del Ppe, agganciandosi così a una componente che esprime una cultura di destra di governo, rendendo i suoi voti a Bruxelles pesanti e spendibili.Ma ci sono ragioni economiche non meno importanti: l’Ue ha bloccato circa 21 miliardi del Pnrr ungherese, che per i numeri dell’economia di Budapest rappresentano una cifra elevatissima, e il leader ungherese ha bisogno di una sponda che faccia da mediatore coi big della Commissione per far loro cambiare idea, non vincolando l’erogazione delle risorse a questioni di stretta competenza nazionale, come ad esempio le politiche familiari e i provvedimenti sulle coppie gay. In casa Lega si osserva e si fa un ragionamento: l’avvicinamento di Orbán ai Conservatori, una volta caduto il veto polacco su chi dialoga con la Russia, rilancia il disegno di «supergruppo» delle destre unite, vista anche la quasi certa crescita di Id con la destra olandese e Marine Le Pen in Francia. Da via Bellerio, ieri, hanno sottolineato che «l’impegno della Lega è quello per un centrodestra unito anche in Europa, lavoriamo con quell’obiettivo fin dal primo giorno e siamo convinti che - come dimostrano le proteste degli agricoltori in tutta Europa - le politiche scellerate dei socialisti e della sinistra vadano combattute proponendo una alternativa di centrodestra, senza veti ma soprattutto senza inciuci con la sinistra». «Gli ultimi sondaggi», aggiungono, «mostrano chiaramente che i gruppi di centrodestra, uniti, potrebbero rappresentare la prima forza al Parlamento europeo».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)