2025-09-17
Paolo Longobardi: «L’Italia può giocare la carta India»
Paolo Longobardi (Getty images)
Il presidente di Unimpresa: «Va data sicurezza alle transazioni delle pmi che operano in più valute. L’Occidente imponga standard di qualità contro la concorrenza sleale». Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, quali sono le priorità immediate per Europa e Stati Uniti di fronte al rafforzamento dell’asse Cina–Russia–India?«L’Occidente deve svegliarsi. E non è uno slogan. È la constatazione che il mondo si sta riorganizzando attorno a filiere economiche e logistiche alternative a quelle occidentali. Cina, India e Russia cooperano per convenienza: energia, manifattura, pagamenti. Se restiamo fermi, rischiamo di perdere peso negoziale e standard industriali. “Svegliarsi” vuol dire rimettere al centro competitività, innovazione, sicurezza degli approvvigionamenti e regole del commercio. Con lucidità, senza crociate».Quali riforme e strumenti comuni servono perché l’Ue riesca a esprimere la forza politica necessaria in questa fase straordinaria, superando lentezze, veti e frammentazioni attuali?«L’Unione europea, così com’è, non garantisce la forza politica necessaria. L’Unione è un’architettura preziosa, ma troppo lenta e frammentata. La logica del veto, l’eccesso di procedure, la mancanza di strumenti comuni su energia, difesa, tecnologica e politica industriale impediscono di parlare con una sola voce. Così perdiamo posizioni. Servono decisioni a maggioranza qualificata su esteri e sicurezza economica, un bilancio europeo più ambizioso per investimenti strategici e un’unica regia su materie prime critiche, semiconduttori, batterie».In concreto, che cosa dovrebbe fare l’Europa nei prossimi dodici mesi?«Tre cose. Primo: una vera “politica delle catene” - corridoi logistici alternativi, sburocratizzazione dei porti e dei valichi, accordi con Mediterraneo, Balcani e Africa per ridurre tempi e costi. Secondo: un’architettura dei pagamenti che permetta alle nostre imprese di operare in più valute in modo sicuro, con strumenti europei di trade finance e garanzie Sace/Simest potenziate. Terzo: un’azione industriale comune su transizione energetica e tecnologie abilitanti, evitando che ogni Stato vada per conto proprio».E l’Italia? Dove può muoversi subito?«Accelerare su energia a prezzi competitivi - rinnovabili, gas di transizione, reti - e su logistica: Zes, ultimo miglio ferroviario, digitalizzazione doganale. Poi una cabina di regia pubblico-privata per l’internazionalizzazione delle pmi: formazione manageriale sui mercati asiatici, sportelli “sanzioni e compliance”, supporto contrattuale per clausole multi-valuta e gestione del rischio. Infine, una strategia Paese sull’India: joint venture industriali, trasferimento tecnologico, campus formativi condivisi».Il governo italiano ha oggi la forza e la stabilità per farci giocare da protagonisti sulla scena internazionale?«Sì. Per la prima volta dopo molti anni l’Italia si presenta con un esecutivo forte e stabile, capace di dare continuità alle scelte e credibilità ai tavoli che contano. Questo si vede nei dossier del Mediterraneo allargato, dell’energia, delle catene di fornitura e nei rapporti con India e Asean. La stabilità consente di programmare: corridoi logistici, porti e intermodale, sostegno all’export (Sace e Simest), Zes unica e politiche industriali più coerenti. Alle imprese chiediamo pragmatismo; allo Stato chiediamo tempi rapidi e meno burocrazia. Con queste condizioni, l’Italia può davvero essere protagonista e non semplice spettatrice».Come gestire il rapporto con la Cina senza alimentare tensioni o dipendenze eccessive?«Con pragmatismo. Difendere gli interessi strategici e la sicurezza delle filiere, ma mantenere un canale di dialogo commerciale dove ci sono convenienze reciproche. Diversificare non vuol dire chiudere: significa evitare la “single-risk exposure” e costruire alternative credibili in Asean, India, Turchia, Mediterraneo allargato».Alcuni temono che questa sia una stagione di nuovo protezionismo.«Il rischio c’è. Ma la risposta non può essere l’autarchia: servono regole chiare, rapide difese contro pratiche distorsive e, allo stesso tempo, politiche attive per l’innovazione. L’Occidente deve tornare a dettare standard: su sostenibilità, sicurezza dei dati, qualità dei prodotti. È lì che si gioca la competizione, non sulle barriere».In che modo tutto questo tocca le piccole e medie imprese?«In modo diretto: materie prime, componenti, tempi di consegna e costi di finanziamento. Le nostre pmi hanno bisogno di strumenti semplici e veloci: accesso al credito per l’export, coperture assicurative, assistenza sui pagamenti in yuan, dirham o rupie quando necessario, e piattaforme di e-commerce B2B verso l’Asia con regole certe. La politica deve togliere attriti, non aggiungerne».Un suo suggerimento al mondo delle imprese?«Tenere la barra dritta: ridondanza dei fornitori, pianificazione logistica, contratti multi-valuta con clausole di compliance, formazione continua. Unimpresa farà la sua parte: accompagnare le aziende, proporre correttivi normativi e chiedere a governo e Unione europea quella visione che oggi manca. È il modo più serio per “svegliarsi” senza alzare la voce, ma alzando l’ambizione».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)