
La direttiva sugli elettrodomestici farà lievitare i prezzi e favorirà le imprese straniere, soprattutto cinesi.L’ossessione per la tutela dell’ambiente e per l’economia circolare ha partorito un’altra normativa europea che rischia di ritorcersi come un boomerang contro i consumatori e favorire imprese straniere. Con la direttiva Ue 2024/1799 entrata in vigore lo scorso 30 luglio la cosiddetta industria del bianco, ovvero i produttori di elettrodomestici (lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi, aspirapolvere, asciugabiancheria) ma anche le aziende di smartphone e tablet saranno obbligati a mettere a disposizione i pezzi di ricambio per riparare i beni danneggiati o difettosi anche oltre la data della garanzia di due anni. E se il danno avviene durante la copertura legale, questa durerà un anno in più. Nessuno potrà più dire che la riparazione non si può fare perché mancano i pezzi di ricambio. Qualora la riparazione risultasse impossibile, il fabbricante potrà offrire al consumatore un bene ricondizionato. Le aziende produttrici dovranno fare in modo che i beni siano riparabili, eliminando quindi sistemi hardware e software che possono impedire questa operazione. Bruxelles dice inoltre che gli interventi di sistemazione dovranno avvenire in tempi «ragionevoli» e a un prezzo «ragionevole». Due espressioni molto vaghe su temi non irrilevanti che possono causare non pochi problemi alle imprese e creare confusione per il consumatore. Non si specifica il limite massimo per i costi di riparazione e per i prezzi dei ricambi.Dopo una politica industriale improntata al consumismo per spingere la produzione, ora la Ue vuole voltare pagina. Le aziende dovranno investire anche sulle riparazioni e sul ricondizionamento dei prodotti. Un settore fino a ora considerato ai margini diventerà centrale. Basta buttare, ora si aggiusta. I Paesi membri hanno due anni, entro il 2026, per recepire la direttiva e dettagliare la normativa, al momento molto fumosa.Le aziende dovranno informare i consumatori sui prodotti che sono obbligati a riparare, sulle condizioni e sui prezzi attraverso moduli specifici magari consegnati al momento della vendita. Infine, entro il 31 luglio 2027 dovrà essere attivata una piattaforma europea, declinata a livello nazionale, con l’elenco dei riparatori, dei venditori di beni ricondizionati e acquirenti di prodotti difettosi in modo da aiutare il consumatore a districarsi nel labirinto dell’economia circolare. Si comincia con gli elettrodomestici ma la lista è destinata ad allungarsi anche ad altri prodotti come macchine per il caffè e ferri da stiro. Il problema è che ci sono sempre meno imprese di riparazione, che i pezzi di ricambio spesso di provenienza estera di sicuro rincareranno visto l’aumento della domanda e che, non essendoci un tetto per il costo delle riparazioni, i consumatori rischieranno di sborsare di più. «Le imprese vendendo meno nuovo si rifaranno con la sostituzione dei pezzi e con gli interventi per riparare i danni» afferma Paolo Zabeo, coordinatore dell’ufficio studi della Cgia di Mestre. E aggiunge: «L’Europa vuole incentivare l’economia circolare ma dopo averne ucciso i protagonisti, cioè le imprese artigiane. Al loro posto ora ci sono sempre più cinesi e indiani. Come pure tanti pezzi di ricambio vengono dall’Asia». Un report dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, che ha elaborato i dati di Inps e Infocamere/Movimprese, stima che, senza una politica di sostegno, tra una decina di anni l’Italia rischia di non avere più artigiani. Sono appena 1.457.000; nel 2012 erano circa 1.867.000 e solo nel 2023 il numero è crollato di quasi 410.000 unità. In calo anche le aziende artigiane: 1.258.079 mentre nel 2008, quando si è toccato il picco massimo degli anni Duemila, erano 1.486.559. «Da quel momento è iniziato un continuo calo che non sembra arrestarsi. Gli imprenditori sono schiacciati da tassazioni molto pesanti e da scarsissimi sostegni al reddito, soprattutto se partite Iva», sottolinea Zabeo. Secondo Confartigianato sono 68.000 le imprese nell’autoriparazione, 106.000 nell’installazione di impianti, 3.900 nella riparazione di elettrodomestici, 12.000 nella sartoria e 3.000 nella riparazione di orologi.«L’industria dei prodotti ricondizionati è in mano ai cinesi che operano sulle grandi piattaforme online. Hanno quasi il monopolio delle riparazioni degli smartphone. Il progetto di Bruxelles di ampliare l’economia circolare troverà poca applicazione pratica. Siccome i pezzi di ricambio vengono spesso dall’estero, perché le imprese si servono di una rete di subfornitori stranieri, anche asiatici e cinesi, e con l’aumento della domanda i tempi si allungheranno, il consumatore sarà costretto a lunghe attese. Per non parlare dei costi. Le aziende produttrici vendendo meno saranno indotte a rifarsi sui prezzi dei componenti da cambiare. Ma se sostituire, ad esempio, il cestello di una lavastoviglie viene a costare oltre 700 euro e si deve aspettare quasi un mese, allora è preferibile acquistare un prodotto nuovo».Insomma, siamo alle solite. Un’operazione demagogica spinta dall’ossessione della tutela dell’ambiente che va a favorire imprese straniere, soprattutto cinesi, e gira il conto ai consumatori.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





