
Il segretario di Stato americano richiama all'ordine il Regno Unito nella guerra commerciale contro Pechino. Agli Usa non piacciono le minacce del Dragone ai britannici: senza 5G non costruiremo le centrali promesse.Washington chiama Londra: è tempo di scegliere da che parte stare. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo è intervenuto sullo scontro tra Regno Unito e Cina con una dichiarazione molto dura che, se da una parte offre una sponda al governo di Boris Johnson, dall'altra lancia allo stesso un ultimatum. «Gli Stati Uniti stanno con i nostri alleati e partner contro le tattiche di bullismo coercitivo del Partito comunista cinese», si legge nella nota del capo della diplomazia a stelle e strisce. «Nell'esempio più recente Pechino ha minacciato di punire la banca britannica Hsbc e di non rispettare gli impegni per la costruzione di centrali nucleari nel Regno Unito a meno che Londra non consenta a Huawei di realizzare la sua rete 5G», continua il comunicato in cui il segretario Pompeo, uno dei ministri più ascoltati dal presidente Donald Trump, definisce Huawei «un'estensione dello stato di sorveglianza del Partito comunista cinese».Accuse sempre respinte dal colosso cinese ma che non sono bastate all'amministrazione statunitense che nelle ultime settimane si è mossa per bloccare la fornitura globale di chip. Ma nel Regno Unito è accaduto qualcosa di particolare negli ultimi giorni dopo che il National cyber security centre ha avviato un'indagine urgente che, scrive il Guardian, serve «per spianare la strada a Downing street» per l'esclusione di Huawei dall'infrastruttura 5G entro il 2023. Una mossa che rappresenta di fatto un dietrofront rispetto all'apertura fatta poche settimane fa dal premier Johnson, che aveva deciso di non seguire la strada (indicata dagli Stati Uniti) di un divieto totale. Per questo aveva preferito lasciare aperta la porta al colosso di Shenzhen imponendogli però alcune limitazioni: coinvolgimento per gli elementi non centrali della rete e non superiore al 35%. Ma dopo le pressioni del suo partito e le preoccupazioni bipartisan sull'ingresso di aziende cinesi nel 5G britannico, il premier sembra essersi convinto che è interesse britannico seguire le indicazioni degli Stati Uniti. Che nel frattempo già hanno avvertito Londra: chi affida l'infrastruttura strategica a Huawei non riceve più certe informazioni di intelligence (il pericolo è, appunto, la loro trasmissione) e potrebbe vedersi ridotta la presenza militare statunitense sul proprio suolo (Washington starebbe pensando a ritirare alcuni jet F35 dal territorio britannico). Ecco così che, intervistato dal Financial Times, Victor Zhang, vicepresidente di Huawei, ha ribadito che il gruppo è privato al 100 per cento, che non è controllato dal governo cinese. Le sue dichiarazioni però si scontrano con quanto rivelato (e non smentito dall'interessato) da un altro giornale londinese. Secondo il Times, infatti, l'ambasciatore cinese nel Regno Unito, Liu Xiaoming, ha minacciato, nel corso di alcuni incontri riservati, il governo britannico avvertendo che l'esclusione di Huawei avrà effetti sulle aziende cinesi coinvolte nella realizzazione delle centrali nucleari e della rete ferroviaria ad alta velocità.«Le intimidazioni del Partito comunista cinese a Hsbc, in particolare, dovrebbe servire da monito», si legge ancora nella nota del segretario Pompeo. Che fa riferimento a quanto accaduto la scorsa settimana: Peter Wong, amministratore delegato del ramo Asia Pacifico di Hsbc e membro della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, ha firmato una petizione a sostegno della nuova legge cinese sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, una mossa che, scrive Pompeo, «distrugge l'autonomia» dell'ex colonia britannica e «tradisce gli impegni assunti in un accordo alle Nazioni Unite». Ma «quella dimostrazione di fedeltà sembra aver fatto guadagnare a Hsbc poco rispetto a Pechino, che» però «continua a utilizzare le attività della banca in Cina come leva politica contro Londra».Eccola dunque, la seconda parte del messaggio di Washington, cioè l'avvertimento. «Il comportamento aggressivo di Pechino mostra le ragioni per cui i Paesi dovrebbero evitare l'eccessiva dipendenza economica dalla Cina e proteggere le loro infrastrutture critiche dall'influenza del Partito comunista cinese». Il segretario Pompeo cita Australia, Danimarca (che escluderà fornitori 5G legati a Paesi non alleati) e «altre nazioni libere» che hanno subito «le pressioni» di Pechino dopo aver rifiutato di inchinarsi alle sue richieste. «Le libere nazioni si trattano con vera amicizia e desiderio di reciproca prosperità, non con inchini politici e aziendali», avverte infine il capo della diplomazia statunitense aprendo a un'ampia collaborazione anticinese per realizzare infrastrutture «affidabili». Un messaggio per il Regno Unito e gli altri tre Paesi dell'agenzia d'intelligence Five eyes (Australia, Canada e Nuova Zelanda) ma anche, come dimostra la citazione della Danimarca, ad altri alleati. Obiettivo: realizzare un mercato occidentale che faccia crescere alternative ai fornitori cinesi. La Francia sembra interessata. E l'Italia?
Antonio Filosa (Stellantis)
La batteria elettrica è difettosa. La casa automobilistica consiglia addirittura di parcheggiare le auto lontano dalle case.
Mentre infuria la battaglia mondiale dell’automobile, con la Cina rampante all’attacco delle posizioni delle case occidentali e l’Europa impegnata a suicidarsi industrialmente, per Stellantis le magagne non finiscono mai. La casa automobilistica franco-olandese-americana (difficile ormai definirla italiana) ha dovuto infatti diramare un avviso di richiamo di ben 375.000 automobili ibride plug-in a causa dei ripetuti guasti alle batterie. Si tratta dei Suv ibridi plug-in Jeep Wrangler e Grand Cherokee in tutto il mondo (circa 320.000 nei soli Stati Uniti, secondo l’agenzia Reuters), costruiti tra il 2020 e il 2025. Il richiamo nasce dopo che si sono verificati 19 casi di incendi della batteria, che su quei veicoli è fornita dalla assai nota produttrice coreana Samsung (uno dei colossi del settore).
Lucetta Scaraffia (Ansa)
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.
A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.






