2023-03-25
«Migranti, un flop». «No, un trionfo». Cos’è successo davvero in Europa
Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
Chi per anni ci ha ammorbato con le nenie a favore della collaborazione con Bruxelles, adesso gongola se l’Unione è inconsistente (e incolpa Giorgia Meloni). A questo punto, l’Italia è legittimata ad agire in autonomia.Sull’immigrazione hanno perfettamente ragione sia Giorgia Meloni sia i feroci critici di questa Ue, che - parole a parte - rischia di non cambiare mai. E chi ha torto, dunque? Elementare, Watson: hanno torto marcio i media eurolirici, quelli che per anni ci hanno ammorbato con le loro nenie ipnotiche a favore della mitica «collaborazione europea», ma che ora, quando quella cooperazione - pur proclamata - fatica a tradursi in atti concreti, ne traggono l’unica conclusione di sparare a palle incatenate contro un governo sgradito.Ricapitoliamo. Fa benissimo la leader di Fdi, divenuta da cinque mesi presidente del Consiglio, a rivendicare quanto è accaduto a febbraio, nel vertice Ue precedente a quello delle ultime quarantott’ore: in quella occasione - ha ribadito ieri Meloni - c’è stato «un cambio di passo». Verissimo, come vedremo tra poco. E ora? Dice la premier italiana che «la migrazione rimane una priorità degli obiettivi dell’Ue». E tuttavia - ecco il problema - la «verifica dell’implementazione dei risultati» sarà solo «nel prossimo Consiglio europeo». Nel tentativo ragionevole di mostrarsi conciliante, Meloni ha aggiunto: «Questo dimostra che non si trattava di uno spot e di un’iniziativa singola». E in effetti, a febbraio scorso, a Meloni era riuscito ciò su cui i suoi predecessori si erano invece dovuti fermare: non limitarsi alla partita (perdente in partenza) di una richiesta di redistribuzione dei soli aventi diritto d’asilo (cioè appena l’8-10% di coloro che arrivano: e, nonostante l’esiguità dei numeri, quella condivisione non è mai davvero scattata), ma ottenere dall’Ue un ben più consistente impegno per la difesa dei confini esterni dell’Unione, anche riconoscendo la specificità dei confini marittimi, per definizione più facili da aggredire e violare. Dal momento in cui a febbraio Meloni ha meritoriamente ottenuto questo primo significativo impegno politico, onestà intellettuale avrebbe voluto che sia le opposizioni sia i media italiani cooperassero con il governo per chiedere all’Ue comportamenti conseguenti. Faccio qui un elenco delle cose che sarebbero state (e resterebbero) necessarie da parte di Bruxelles: stanziamento di risorse adeguate, accordi ulteriori con i Paesi del Nord Africa, attività di pattugliamento navale, azioni di aperto contrasto agli scafisti, predisposizione di corridoi umanitari. Tutte cose che - come si sa - non sono ancora avvenute, o non sono avvenute nella misura necessaria. E ora sta per arrivare la bella stagione, con gli effetti che ciascuno immagina sugli sbarchi. Il cortocircuito politico (cioè dell’opposizione) e mediatico sta tutto qui. Ieri La Repubblica ha ululato contro una «Meloni a mani vuote». Con sprezzo del pericolo e del ridicolo, l’editoriale del quotidiano romano ha parlato, riferendosi alla premier, di una «convitata fuori posto», una che un salotto buono non sa neanche «dove andare a sedersi». E il tono era di malcelata soddisfazione, come se si stesse parlando di un altro Paese. Tutto ciò è assolutamente irricevibile per almeno due ragioni. La prima riguarda il passato: da dieci anni almeno, l’otssessione degli eurolirici è sempre stata quella di stare dietro all’Europa, di non agire da soli (altrimenti si era «razzisti»…), di lavorare con gli altri partner per costruire le mitiche «soluzioni complesse». Adesso che l’Ue fa sé stessa, cioè butta la palla avanti, diluisce e dilata le scadenze, i nostri eurolirici, senza un filo di autocritica, vanno all’attacco di un governo che detestano visceralmente. La seconda ragione riguarda il futuro. Se l’inerzia Ue proseguirà, la Meloni sarà a nostro avviso totalmente legittimata a fare da sé, senza attendere ulteriormente. E per l’Italia diverrà inevitabile ragionare, ovviamente d’intesa con i Paesi interessati, su forme di interdizione marittima, se l’espressione «blocco navale» non piace, o comunque su azioni nettamente e eloquentemente dissuasive.In questo senso, consiglieremmo al governo (nel male, e speriamo in futuro nel bene) di considerare con attenzione ciò che sta accadendo a Londra. I conservatori britannici, che stanno affrontando una gravissima crisi di consenso, sono sotto attacco sia per non aver contrastato adeguatamente l’immigrazione irregolare sia per aver aperto eccessivamente i canali dell’immigrazione regolare. Sul secondo fronte, il governo britannico è ancora lento a reagire, ma sul primo da giorni il clima sembra cambiato, e il premier Rishi Sunak parla mostrando dietro di sé l’eloquente slogan «stop the boats», cioè «fermare le navi». Non sappiamo se Londra sarà in grado di agire tempestivamente ed efficacemente per fermare i flussi irregolari. Ma potrà farlo il nostro governo, che anzi sarà ulteriormente legittimato ad agire per conto proprio - se necessario - proprio da un eventuale nulla di fatto europeo. Che si potrà rimproverare alla Meloni, infatti, a quel punto? Proprio nulla: ha lavorato diligentemente a una soluzione europea, ha collaborato lealmente, ha atteso. Ma se gli altri resteranno fermi, avrà tutto il diritto di agire.
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