2023-12-30
I messicani premono ai confini Usa. Biden: «Regolarizzare i clandestini»
Ondata migratoria senza precedenti negli Stati Uniti, persino i sindaci dem chiedono un intervento. La risposta della Casa Bianca scatena le ire dei repubblicani: «Sanatoria per chi è senza documenti».Il Maine, come il Colorado, ha deciso di impedire la nomination all’ex presidente Non così nel più progressista degli Stati: «Qui gli avversari li battiamo alle urne».Lo speciale contiene due articoli.A meno di un anno dalle presidenziali americane, l’immigrazione clandestina sta ricominciando a perseguitare Joe Biden. Negli scorsi giorni, è tornata a crescere la pressione migratoria sulla frontiera meridionale degli Stati Uniti. Non solo è in viaggio dal Messico una carovana di quasi 8.000 migranti, ma - secondo la Cbs - dicembre ha registrato il record storico a livello mensile di arrivi di immigrati clandestini al confine: nei primi 27 giorni del mese, le autorità di frontiera hanno infatti intercettato ben 225.000 migranti irregolari. Ieri la Cnn ha inoltre riportato che, nella sola giornata di mercoledì, sono stati fermati 7.000 clandestini alla frontiera: una cifra alta, per quanto in diminuzione rispetto ai circa 10.000 di inizio mese. Per Biden l’immigrazione clandestina ha sempre rappresentato una spina nel fianco (basti pensare che l’anno fiscale 2022 si era chiuso con il record storico di arrivi di immigrati irregolari su base annua). E adesso, a circa dieci mesi dalle presidenziali, questo dossier rischia di pesare negativamente sulle chance di riconferma del presidente. È anche per questa ragione che l’inquilino della Casa Bianca ha inviato mercoledì una delegazione in Messico che, guidata dal segretario di Stato Tony Blinken e dal segretario per la Sicurezza interna Alejandro Mayorkas, ha avuto un incontro con il presidente messicano, Andres Manuel Lopez Obrador. Eppure, nonostante la Casa Bianca lo abbia definito «produttivo», non è che il faccia a faccia abbia portato chissà quali risultati. È stato infatti emesso un comunicato piuttosto fumoso pieno di buone intenzioni ma senza elementi troppo concreti. A pensar male, il suo unico obiettivo sembrerebbe essere quello di prendere tempo. Non a caso, vi si legge che «le due delegazioni hanno concordato di incontrarsi nuovamente a Washington nel gennaio 2024 per continuare a portare avanti la nostra forte partnership sulla gestione della migrazione». Non solo. Un passaggio del comunicato ha creato non poche fibrillazioni politiche a Washington. Di che cosa si tratta? È presto detto. «Le delegazioni», recita la nota, «hanno anche discusso dei vantaggi derivanti dalla regolarizzazione della situazione dei migranti ispanici privi di documenti da tempo e dei beneficiari del Daca, che sono una parte vitale dell’economia e della società statunitense». Parole, queste, che hanno innescato la dura reazione del Partito repubblicano. «In un momento in cui l’America sta vivendo la peggiore crisi di confine nella storia della nostra nazione, è inconcepibile sentire l’annuncio dell’amministrazione Biden secondo cui i segretari Mayorkas e Blinken hanno discusso con il presidente del Messico l’amnistia per gli immigrati clandestini», ha tuonato lo Speaker della Camera, Mike Johnson. «Gli Stati Uniti devono concentrarsi su politiche che scoraggino, anziché attirare, le persone che tentano di arrivare qui illegalmente e i trafficanti che traggono profitto dalla catastrofe al nostro confine», ha proseguito. Per Biden, il nodo non è spinoso soltanto in vista delle presidenziali ma anche per eventuali nuovi aiuti all’Ucraina. I parlamentari del Gop hanno infatti subordinato l’approvazione di nuova assistenza militare a Kiev a misure più severe nella gestione della frontiera con il Messico. Non è un mistero che l’accordo tra democratici e repubblicani al Congresso su questo punto sia al momento piuttosto lontano. E adesso il comunicato messicano rischia di peggiorare ulteriormente il quadro, aggravando lo stallo parlamentare. Come se non bastasse, mercoledì stesso i sindaci dem di Chicago, Denver e New York hanno affermato di non essere più quasi in grado di reggere la pressione migratoria. «Tutte le nostre città hanno raggiunto un punto in cui siamo quasi al completo o quasi senza spazio», ha affermato il primo cittadino di Denver, Mike Johnston. «Senza un intervento significativo da parte del governo federale, questa missione non potrà essere sostenuta», ha proseguito. Tutto questo, mentre il governatore repubblicano del Texas, Greg Abbott, continua a inviare verso Nord bus carichi di migranti. Quello stesso Texas a cui il dipartimento di Giustizia ha intenzione di fare causa: alla base del dissidio sta la legge statale, recentemente firmata da Abbott, che prevede una stretta all’immigrazione clandestina. Il dossier migratorio rischia insomma di azzoppare Biden, danneggiando ulteriormente la sua già flebile popolarità, creandogli imbarazzi sul fronte internazionale e spaccandogli internamente il partito. Del resto, è noto che l’immigrazione clandestina è sempre stata fonte di problemi politici per l’attuale presidente americano. Se i repubblicani lo hanno ripetutamente tacciato di lassismo, l’ala sinistra del Partito democratico lo ha sovente accusato di scarsa discontinuità rispetto al predecessore. Risultato: Biden ha finito con lo scontentare tutti. Senza trascurare che, dieci giorni fa, è stato pubblicato un sondaggio Harvard Caps, secondo cui l’inquilino della Casa Bianca, sulla gestione dell’immigrazione, godrebbe di un consenso bassissimo: appena il 38%. Si è trattato di un crollo rispetto al 46% registrato il mese precedente. A peggiorare la situazione sta il fatto che, secondo il medesimo sondaggio, l’immigrazione risulterebbe un tema primario per circa un terzo degli elettori. È dunque un campanello d’allarme assai preoccupante quello che sta suonano per il presidente. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/messicani-premono-ai-confini-usa-2666835341.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-california-liberal-da-lok-a-trump" data-post-id="2666835341" data-published-at="1703937233" data-use-pagination="False"> La California liberal dà l’ok a Trump Non si arrestano i tentativi legali di bloccare la ricandidatura presidenziale di Donald Trump. Il segretario di Stato del Maine, la democratica Shenna Bellows, ha decretato che l’ex presidente non potrà concorrere alle locali primarie, invocando la clausola del Quattordicesimo emendamento che vieta di ricoprire incarichi pubblici a coloro che abbiano preso parte ad attività sediziose. In particolare, nel suo provvedimento, la Bellows accusa Trump di essersi macchiato di atti insurrezionali il 6 gennaio 2021. Una decisione simile era recentemente arrivata anche dalla Corte suprema del Colorado, che - tacciando l’ex presidente di golpismo in riferimento all’irruzione in Campidoglio - aveva stabilito di bloccare la sua candidatura alle primarie di questo Stato. In entrambi i casi, sono stati annunciati dei ricorsi. E sarà la Corte suprema degli Stati Uniti a doversi esprimere sulla sentenza del Colorado. D’altronde, si tratta di pronunciamenti piuttosto traballanti, visto che Trump non è stato né condannato in via definitiva né incriminato per golpismo. Il procuratore speciale, Jack Smith, non ha infatti accusato l’ex presidente dei due reati che, stando al codice americano, identificano attività insurrezionali: vale a dire, «insurrezione» e «seditious conspiracy». L’assenza di una condanna in via definitiva rende quindi problematico invocare la clausola del Quattordicesimo emendamento, come accaduto in Maine e Colorado. Alla luce di questi elementi, è probabile che, su questo fronte, la Corte suprema degli Stati Uniti dia alla fine ragione all’ex presidente. Forse non a caso il segretario di Stato della California, la democratica Shirley Weber, si è rifiutata di escludere Trump dalle primarie repubblicane del suo Stato. E questo nonostante la vicegovernatrice locale, Eleni Kounalakis, ne avesse caldeggiato l’interdizione. La settimana scorsa, la Kounalakis aveva infatti chiesto alla Weber di valutare «ogni opzione legale» per bloccare la candidatura dell’ex presidente. Una posizione, quella della Kounalakis, che non aveva tuttavia convinto il governatore della California - anche lui democratico - Gavin Newsom. «Non c’è dubbio che Donald Trump sia una minaccia per le nostre libertà e anche per la nostra democrazia ma in California sconfiggiamo i candidati alle urne. Tutto il resto è una distrazione politica», aveva non a caso dichiarato quest’ultimo pochi giorni fa. Vale a tal proposito la pena di sottolineare che la California è attualmente uno degli Stati più progressisti dell’Unione. Nel frattempo, il segretario di Stato del Colorado, la democratica Jena Griswold, ha stabilito che il nome di Trump resterà sulle schede elettorali in attesa che la Corte suprema degli Stati Uniti si esprima sulla sentenza del Colorado stesso. Ieri, la commissione elettorale del Wisconsin ha inoltre respinto un ricorso contro la candidatura dell’ex presidente, citando motivazioni procedurali. La vera incognita per l’ex presidente è rappresentata semmai dalle sentenze delle Corti supreme di Michigan e Minnesota: sentenze che gli hanno concesso di concorrere alle primarie ma che hanno lasciato aperta la possibilità di ricorsi in sede di General Election. A meno che la Corte suprema degli Stati Uniti non si pronunci a favore della piena candidabilità di Trump, il rischio è che l’ex presidente possa ritrovarsi interdetto dopo aver blindato matematicamente la nomination repubblicana. Uno scenario che potrebbe gettare il Gop nella paralisi. Il cammino verso le presidenziali resta ricco di incognite.