2025-10-04
La generazione Covid ora va a scuola e paga il prezzo del lungo isolamento
Uno studio dell’Università di Washington sottolinea come il lockdown abbia assottigliato la corteccia cerebrale dei bambini nati in quel periodo. E in Italia cresce l’allarme per il rischio suicidio tra i più piccoli.Sono nati durante la pandemia. Bambini che oggi hanno quattro o cinque anni e che sono venuti al mondo mentre quest’ultimo si fermava. Strade vuote, scuole chiuse, mascherine che coprivano i volti dei loro genitori ogni volta che si trovavano di fronte a qualcuno. Erano le regole del tempo. Addio espressioni. Niente abbracci. Diffidenza per chiunque - possibile untore - ti si parasse davanti. Poi l’ingresso al nido. E allora le mascherine aumentavano. Le file dei genitori, i calzari da indossare (perché il virus notoriamente si annidava ovunque) e il distanziamento. Proprio quando i bambini hanno bisogno di stare attaccati, perché tutto passa dal tatto e dal gusto. I due sensi più svantaggiati in quel periodo.E così quei bambini, nati tra il 2020 e il 2021, oggi sono cresciuti. Sono quella che ora viene chiamata generazione Covid. Quella che porta il peso di politiche scellerate che, in Italia, sono state portate avanti dal ministro della Salute dell’epoca, Roberto Speranza, da Giuseppe Conte e Mario Draghi. Bambini che hanno - non tutti ovviamente - deficit, in alcuni casi anche importanti. Perché il Covid per loro non è mai stato una minaccia mentre le restrizioni sì. Lo stress li ha influenzati. E parecchio.Newsweek ha infatti dedicato a loro un importante servizio di copertina in cui si ripercorrono quelli che sono stati i loro primi anni di vita. Hanno avuto vantaggi, certo. I loro genitori hanno passato più tempo con loro. I più grandi hanno potuto fare attività importanti come il giardinaggio o cucinare in famiglia. Ma c’è anche - ed è questo il dato più preoccupante - un lato oscuro. La rivista statunitense, infatti, rilancia uno studio della Columbia University realizzato su 255 bambini nati tra marzo e dicembre 2020, che rivela come questi ultimi abbiano sviluppato, nei primi sei mesi di vita, minori capacità sociali e motorie rispetto a coloro che sono nati prima del Covid. Nel documento si legge infatti: «I punteggi medi tra i neonati nati durante la pandemia - indipendentemente dal fatto che le loro madri avessero contratto il Covid durante la gravidanza o meno - erano inferiori ai punteggi relativi alle abilità motorie grossolane, fini e sociali di 62 neonati pre-pandemia nati negli stessi ospedali». Che, tradotto, vuol dire: il virus non ha impattato in alcun modo su di loro, lo stress però sì.Certo, si tratta ancora di risultati parziali, come nota la dottoressa Sani Dumitriu, a capo della ricerca: «Questi bambini hanno appena cinque anni e abbiamo appena iniziato il nostro studio». Che ora verrà ampliato, interessando oltre 500 giovani. Perché, prosegue la ricercatrice, queste «piccole variazioni meritano un’attenzione particolare perché, a livello di popolazione, possono avere un impatto significativo sulla salute pubblica. Lo sappiamo da altre pandemie e disastri naturali».Del resto, quello della Columbia University è solo l’ultimo di tanti studi su questo tema. Qualche giorno fa, L’Eco di Bergamo ha pubblicato un’inchiesta sugli effetti che la pandemia (e soprattutto le restrizioni) ha avuto sui giovani. I dati sono impressionanti: «In Bergamasca, stando alle rilevazioni della Regione che ha condotto un’apposita ricerca su tutto il territorio lombardo, tra gennaio e luglio gli ospedali hanno preso in carico 73 minori per “comportamenti autolesivi o suicidari”, l’equivalente di una decina al mese: 56 volte è stato registrato un accesso in pronto soccorso, altre 17 volte c’è stato un ricovero. Se si proiettasse questa tendenza sull’intero 2025, si supererebbero i 120 giovanissimi presi in carico». Lo stare chiusi in casa, il non poter socializzare e l’essere sempre online li ha segnati in modo irreparabile. Tanto che Emi Bondi, past president della Società italiana di psichiatria (Sip) oltre che direttrice del dipartimento di Salute mentale e dipendenze dell’Asst Papa Giovanni, non ha problemi a commentare i numeri presentati dall’Eco di Bergamo in questo modo: «Questi dati confermano quello che purtroppo sappiamo: possiamo parlare di una vera e propria emergenza tra i ragazzi». Ed è davvero così. Fin dall’inizio della pandemia sono stati condotti diversi studi sui giovani e il risultato è stato sempre lo stesso: difficoltà (parecchie) e, soprattutto, ansia. L’esito «naturale» dello stare reclusi in casa per un periodo di tempo così lungo. Ma non solo. Uno studio dell’università di Washington pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the national academy of sciences) sottolinea come il lockdown abbia assottigliato la corteccia cerebrale dei più giovani: «Arriva una pandemia globale e i loro consueti canali di sfogo dello stress spariscono, mentre la pressione sociale rimane perché ci sono i social. Con il Covid tutti gli adolescenti sono stati isolati, ma le ragazze ne hanno sofferto di più. L’isolamento ha colpito il loro cervello in modo molto più drammatico».Ed è proprio questo il punto. Non è stato il Covid ad annientare le generazioni più giovani, ma il modo in cui esso è stato trattato. E lo stiamo pagando ancora adesso.