2025-10-04
Il super caccia d’Europa non decolla. Duello Parigi-Berlino per il comando
Il progetto del velivolo, esposto nel 2017, è tuttora un modello in cartapesta paralizzato dagli interessi. La francese Dassault rivendica la leadership, no di Airbus che sonda altri partner. In ballo 100 miliardi.Bruxelles vuole utilizzare i fondi congelati senza sapere se potrà rimborsarli a Mosca.Lo speciale contiene due articoli Volano gli stracci tra Parigi e Berlino sul Future Combat Air System (Fcas), il caccia di sesta generazione che avrebbe dovuto incarnare l’ambizione strategica dell’Europa. Il costosissimo velivolo militare rischia di diventare l’ennesimo monumento all’inconcludenza franco-tedesca. Nato nel 2017 con grandi promesse di integrazione industriale e difesa comune, il progetto da 100 miliardi di euro è oggi paralizzato da una guerra intestina tra la francese Dassault Aviation e Airbus Defence (a maggioranza tedesca), mentre l’Italia ha già voltato pagina, scegliendo partner meno rissosi e un calendario più credibile.La disputa non è tanto tecnica, quanto politica ed economica. Dassault rivendica il controllo del progetto, forte dell’esperienza maturata con l’aereo Rafale, e pretende di scegliere fornitori e distribuire il lavoro senza dover negoziare con Airbus. Berlino, dal canto suo, non intende finanziare un programma che rischia di trasformarsi in un «Rafale 2» mascherato, cioè con fondi tedeschi e priorità francesi. La richiesta di Parigi di accaparrarsi l’80% del carico di lavoro ha fatto esplodere il Bundestag: «Una proposta distruttiva e arrogante», ha tuonato Volker Mayer-Lay, relatore Cdu/Csu per la difesa. Il governo tedesco ha già ventilato l’ipotesi di sostituire Dassault con partner alternativi, come Bae Systems o Saab. Airbus avrebbe già sondato il terreno con questi e altri possibili partner, mentre l’amministratore delegato di Dassault, Éric Trappier, ha reagito affermando che il produttore di aerei da combattimento può anche procedere da solo, poiché possiede le competenze necessarie. Una dichiarazione che certo non contribuisce a distendere gli animi.La retorica dell’unità europea si infrange contro la realtà di interessi economici nazionali inconciliabili. La Francia, potenza nucleare, teme che i ritardi del Fcas compromettano la sua capacità di deterrenza. La Germania, invece, vuole un sistema interconnesso, interoperabile e sviluppato in modo paritario. Ma dietro le dichiarazioni ufficiali, si moltiplicano le minacce di abbandono, le accuse reciproche e le trattative parallele. Il progetto, che avrebbe dovuto consegnare il primo velivolo nel 2040, è fermo alla fase concettuale. Al Salone dell’aeronautica di Parigi 2025, Dassault ha esposto lo stesso modello in cartapesta del 2019. La seconda fase, quella dei prototipi, è bloccata da divergenze sulla gestione e sulla distribuzione dei compiti. La Spagna, terzo partner ufficiale, resta defilata, mentre l’elettronica di bordo procede separatamente grazie alla collaborazione tra Hensoldt, Thales e Indra. Il cuore del progetto, però, è in stallo.Nel frattempo, l’Italia ha scelto una strada più pragmatica. Con Regno Unito e Giappone, partecipa al Global combat air programme (Gcap), che promette un caccia operativo già nel 2035. Leonardo, partner italiano, lavora con Bae Systems e Mitsubishi in un consorzio che, a differenza del Fcas, sembra funzionare.Il fallimento del Fcas non sarebbe solo un disastro industriale, ma un colpo mortale alla credibilità dell’Europa come attore strategico, se mai ne è esistita una. Dopo sette anni di litigi, riunioni inconcludenti e modelli finti, il progetto rischia di affondare sotto il peso delle ambizioni non condivise.Intanto ieri, in occasione delle celebrazioni per il trentacinquesimo anniversario della riunificazione tedesca, il cancelliere Friedrich Merz e il presidente francese Emmanuel Macron si sono visti a Saarbrücken, al confine tra i Paesi. I due hanno fatto mostra di andare molto d’accordo, con abbracci e sorrisi e hanno pronunciato alati discorsi.«Anni di immigrazione irregolare e incontrollata verso la Germania hanno polarizzato il nostro Paese. La politica, lo Stato, il governo hanno le loro responsabilità», ha affermato Merz. «Ma la portata della sfida deve essere compresa da tutti noi, da ogni cittadino del nostro Paese». L’appello al popolo però rischia di non portare bene al cancelliere, che ha un misero 27% di gradimento personale nei sondaggi, mentre ben il 77% dei cittadini tedeschi è poco o per nulla soddisfatto del governo attuale.«Si stanno formando nuove alleanze di autocrazie contro di noi, che attaccano la democrazia liberale come stile di vita», ha detto invece Macron. «Di fronte al ritorno dell’illuminismo oscuro c’è una via verso un nuovo illuminismo», ha detto il presidente francese, «un modo per amare la cultura, la musica, la letteratura, la conversazione e il dibattito, per credere che il rispetto e la scienza siano più forti dell’odio e della furia». È certamente così, da qualche parte nel mondo, ma forse in questo momento Macron dovrebbe preoccuparsi soprattutto di illuminare la Francia, alle prese con una crisi economica e politica senza precedenti, figlia anche del suo operat.La realtà è che sotto la superficie delle belle parole e delle strette di mano, quando si tratta di denaro e di potere passa tutto in secondo piano e contano i rapporti di forza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fcas-jet-francia-germania-scontro-2674154142.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="difesa-aerea-lue-gioca-dazzardo-soldi-russi-a-kiev-per-la-tecnologia" data-post-id="2674154142" data-published-at="1759571219" data-use-pagination="False"> Difesa aerea, l’Ue gioca d’azzardo: soldi russi a Kiev per la tecnologia Più che di droni, sarà un muro di soldi.Per avere la tecnologia unmanned, Bruxelles vuole finanziare aziende anche ucraine con soldi russi. E se Mosca, un giorno, ripagasse Kiev dei danni di guerra, li potremmo recuperare. Una follia.Togliete dal vostro immaginario il muro di droni come «barriera» anti-Putin. Ammesso che l’idea diventi realtà, si tratta di consentire ai Paesi europei di produrre rapidamente (e in modo più economico) aeromobili, imbarcazioni anche subacquee e rover, tutti a controllo remoto e dotati di crescenti funzionalità ottenute con l’impiego dell’Intelligenza artificiale. Due i punti fondamentali, il primo: l’Europa ne produce pochi, troppo lentamente e costosi. Il secondo: i Paesi baltici avevano già chiesto a Bruxelles dei fondi per questo scopo. Ma soltanto ora che la Germania ha deciso di riarmarsi e che un colosso come Rheinmetall ha fatto un accordo con l’americana Anduril, il progetto può essere realizzato come piace a Ursula von der Leyen. E all’indomani dell’incontro in Commissione europea, questa perfezionerà una «Roadmap» per la difesa che sarà pubblicata tra due settimane, prima che i leader si riuniscano per un altro vertice per prendere decisioni.I leader Ue hanno già espresso a Copenaghen ampio sostegno alle proposte per accelerare lo sviluppo della tecnologia dei droni e quella dei «droni anti-droni» e per utilizzare i beni russi immobilizzati per prestare denaro all’Ucraina. Non a caso, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha dichiarato: «I leader hanno sostenuto i primi progetti prioritari che rafforzeranno la sicurezza dell’Europa, tra cui il muro europeo dei droni e il sistema di sorveglianza del fianco orientale». La spinta per procedere, neanche a dirlo, è stata trainata dalle presunte violazioni dello spazio aereo in Polonia, Estonia, Romania e Danimarca.Dopo quegli eventi la Commissione Ue aveva pubblicato un cosiddetto Scoping paper dove delineava quattro «progetti faro» che ritiene debbano essere finanziati con urgenza. Tra questi, appunto un «muro europeo dei droni», un sistema di sorveglianza del fianco orientale, uno scudo di difesa aerea e uno per la difesa spaziale. Mette Frederiksen, primo ministro danese, ha affermato: «Dobbiamo rafforzare la nostra produzione di droni e le nostre capacità di contrasto anti-droni. Ciò include la creazione di una rete europea in grado di rilevare e neutralizzare le intrusioni. Dobbiamo quindi creare un ecosistema europeo che consenta all’Europa di sviluppare soluzioni all’avanguardia per i droni, ispirate a quanto già fatto in Ucraina».La presidente von der Leyen ha puntualizzato: «Dobbiamo fornire la più forte deterrenza possibile, su vasta scala e rapidamente. E questo è stato il fulcro della discussione. C’è un chiaro senso di urgenza, perché preservare la pace è sempre stato un compito fondamentale dell’Unione Europea». A breve sarà presentato un programma per delineare gli obiettivi di capacità, in vista di una decisione in un vertice formale previsto per la fine del mese. Ma dal punto di vista finanziario la cosa è differente: si tratta di dare ai Paesi baltici qualche decina di milioni di euro presi dai conti russi congelati dopo il febbraio 2022 e di dare 140 miliardi di euro a Kiev prelevandoli da Euroclear, il depositario centrale di titoli con sede a Bruxelles. E tale prestito sarebbe erogato gradualmente nel tempo, soggetto a determinate condizioni. Per esempio, all’Ucraina verrebbe chiesto di rimborsare il prestito solo dopo che Mosca avrà accettato di risarcire all’Ucraina i danni causati dal conflitto. Quindi, presumibilmente mai, nonostante la Ue lo abbia definito «prestito di riparazione». Successivamente, la Commissione Ue rimborserebbe Euroclear e quest’ultima rimborserebbe la Russia, completando il cerchio.Quasi tutti i leader europei si sono detti favorevoli, l’unico a non essersela bevuta è stato il primo ministro belga Bart De Wever, che durante il dibattito ha espresso preoccupazioni di carattere legale, tecnico e di rischio: come sarebbe gestita dall’Unione un’eventuale insidia, inadempienza o causa legale senza lasciare il Belgio a cavarsela da solo in quanto sede di Euroclear? Dunque il muro di droni non sarà mai un muro fisico né uno stormo di oggetti volanti, piuttosto una rete di sistemi di rilevamento e intercettazione basata sulle capacità dei singoli Stati membri, unita a un numero di fabbriche specializzate e a una filiera di fornitura che deve comprendere anche i microprocessori che oggi compriamo da Taiwan. Ma sfruttando il know-how sviluppato in Ucraina durante la guerra, convertendo buona parte della sua industria aeronautica leggera - era il secondo produttore di aeroplani sportivi del Continente - alla produzione di droni.Fortunatamente qualcuno con idee più concrete c’è: qualche giorno prima dell’incontro, il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius aveva avvertito che lo sviluppo di un muro anti-droni potrebbe richiedere almeno tre o quattro anni. Certamente una capacità produttiva maggiore di droni potrebbe effettivamente contribuire a colmare il «buco» attualmente presente nella difesa aerea della Nato, ma il rischio è quello di concretizzarlo in ritardo, quando non servirà più e con tecnologie ormai obsolete. Un po’ come è stato fatto con il progetto chiamato European Sky Shield Initiative (Essi) che dall’agosto 2022 mira a rafforzare la difesa aerea e missilistica europea. Che alla Nato occorra espandere la rete di sensori lungo il fianco orientale è sacrosanto, poiché in passato la difesa aerea di quella parte dell’Europa era contrapposta a minacce aeree in rapido movimento come missili balistici e da crociera, aerei, missili da crociera, al limite ipersonici, ma non contro i lenti e piccoli droni. E oggi la nazione più esperta in questo è l’Ucraina.Quindi servono missili in grado di fermare i droni, ma anche sistemi di guerra elettronici più economici tra cui disturbatori (jamming e spoofing). La grande domanda da porci è: se con queste istituzioni europee il programma Essi è ancora in alto mare, perché questo «muro» dovrebbe funzionare?