2025-11-19
Il Mes aveva strangolato la Grecia. Adesso dovrebbe salvare l’Ucraina
Non sapendo dove prendere le risorse per il Paese invaso, la Commissione riesuma il salva Stati, la cui riforma è bloccata dal veto di Roma. Poi mette l’elmetto pure alla libera circolazione e lancia la «Schengen militare».Come non averci pensato prima? Alle «tre strade senza uscita» per dare soldi all’Ucraina elencate da Giuseppe Liturri pochi giorni fa su questo giornale se ne aggiunge una quarta, ancor più surreale, resa nota dalla Stampa di ieri. Ursula von der Leyen avrebbe proposto di utilizzare «a fondo perduto» per Kiev le giacenze del famigerato Mes, il Meccanismo europeo di stabilità la cui riforma è di fatto bloccata dalla mancata ratifica parlamentare del nostro Paese.Secondo l’articolo di Marco Bresolin, infatti, per far fronte alle promesse fatte a Ucraina (e Usa, di fatto), la Commissione avrebbe proposto agli Stati di usare proprio il Mes. Come? Il modo studiato - che pure La Stampa definisce un «azzardo» - serve a impiegare con un giro complicato i soldi dei Paesi dell’eurozona per adempiere gli impegni presi dalla Von der Leyen: agli Stati viene proposto di aprire una linea di credito del Mes per poi trasferire i denari appunto «a fondo perduto» a Zelensky o a chi per lui. La sola idea che un’ipotesi simile sia presa sul serio e messa nero su bianco fa capire il cul de sac in cui la Commissione si è infilata. Nelle condizioni politiche attuali, che hanno visto la proposta di bilancio Ue presentata dalla leader della Commissione contestata frontalmente dal suo partito, cioè il Ppe, immaginare che sia facile chiedere più soldi agli Stati è utopico. Nessuno infatti, a partire dai Paesi più grandi, ha la minima intenzione di tornare dagli elettori aumentando le tasse (o tagliando le spese) per l’Ucraina. Come noto, l’Ue non ha «risorse proprie», e siccome l’ideona di confiscare gli asset russi presenta una serie di controindicazioni lunga chilometri, ecco il ritorno del Mes.Piccolo passo indietro: los tesso Mes nasce dopo la crisi Lehman, quando le istituzioni comunitarie si dotano (maggio 2010) di uno strumento - tecnicamente una società di diritto lussemburghese - chiamato Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf), che emette obbligazioni destinate a finanziare il deficit di Stati in difficoltà (all’epoca, Portogallo e Irlanda e Grecia). Un anno dopo, il Fondo confluisce nel Mes (Meccanismo europeo di stabilità), la cui finalità è identica ma che, a differenza del primo, non emette titoli ma riceve capitale versato dai singoli Stati. Ogni Stato contribuisce in modo proporzionale: l’Italia, che ha il 17,7% delle quote calcolate in base al Pil, ha sottoscritto 125 miliardi di capitale e ne ha versato più del 10%, ovvero quasi 15 miliardi.L’ipotesi che un fondo creato per intervenire con pesanti condizioni (citofonare Atene) a soccorso di membri dell’eurozona non in condizione di approvvigionarsi sui mercati possa essere usato per prestare soldi a Stati solidi, per poi versarli a un Paese extra Ue, richiederebbe una modifica dello statuto del Mes, e dunque di colpo addio a un lustro di polemiche sull’Italia che «blocca la riforma», di cui non ci sarebbe più alcun bisogno, a voler percorrere la «via Ucraina» al salva Stati, dopo lo scarsissimo successo del «Mes sanitario» in piena pandemia.La sparata - perché al momento tale sembra - della Von der Leyen fa il paio con la «Schengen militare» avanzata ieri: si tratta del piano Ue perché mezzi e soldati possano muoversi velocemente all’interno dei confini. Oggi, con regolamento e comunicazione presentati ufficialmente, ne sapremo di più. Ma il nocciolo è una gestione duale delle linee di comunicazione strategiche: in caso di crisi il nuovo sistema di accordi potrebbe essere attivato rapidamente per dare «priorità assoluta» ai trasporti militari su reti stradali, ferroviarie e aeroportuali. Dai 70 anni di pace e libertà di circolazione delle persone alla libertà di circolazione delle armi a scapito del treno per le vacanze, è un attimo.Tutto ciò ha se non altro il merito di riaprire il dibattito sul significato del Mes: uno strumento inerte dal 2016 (come prestiti erogati, per i rimborsi greci si dovrebbe attendere il 2060) in cui giacciono risorse ingenti, ma contemporaneamente insufficienti in caso di crisi di banche cosiddette «sistemiche», visto che la riforma puntava proprio a rendere utilizzabile il Mes come «backstop», cioè salvataggio, per istituti di credito in crisi. Il recente emendamento patrocinato da Claudio Borghi, leghista e relatore della Legge di Bilancio al Senato, tocca in effetti un punto delicato: che fare col Fondo? L’idea del senatore del Carroccio è radicale: vendere le quote portando a casa cinque miliardi l’anno per tre anni, e usarli per tagliare tasse o aumentare la spesa sanitaria. La proposta, provocatoria fin che si vuole, è un’arma a doppio taglio. Liquidare le quote di un prestito costringerebbe a una verifica potenzialmente esplosiva: qualcuno le vuole? Cioè: quei prestiti sono ritenuti rimborsabili? Se sì, l’Italia potrebbe incassare bene rinunciandovi. In caso contrario, la credibilità dei gestori e dell’Ue sarebbe azzerata.Presa dall’altro lato, insomma, la proposta Von der Leyen ha tutta l’aria della disperazione ed è lecito chiedersi, a fronte della palese incapacità di allineare gli obiettivi della Commissione e le rappresentanze politiche degli Stati, se sia il Mes a dover salvare l’Ucraina, o viceversa.