2025-11-19
Quirinale intoccabile? Ipocrisia dem
I progressisti che sparavano bordate contro Leone e Cossiga si riscoprono corazzieri. E, dopo tante lezioni sul valore civile dei media, vogliono mettere a tacere un quotidiano.Essa s’indigna. È l’hobby preferito della sinistra unita quando non è impegnata a far eleggere occupatrici di case, a difendere i raid dei leonka, a bordeggiare verso Gaza per creare l’incidente diplomatico. E quando s’indigna chiama «Giorgia Meloni a venire in aula a rendere conto al Parlamento e al Paese» e «a prendere le distanze da dichiarazioni che rischiano di generare un conflitto senza precedenti con il Quirinale». Le formule sembrano prestampate in ciclostile, usanza gruppettara al tempo delle assemblee liceali. Le parole sono sempre le stesse, semplicemente questa volta le hanno scritte in una nota Chiara Braga e Francesco Boccia, forse perché erano di turno al Nazareno.In assenza dello spread in salita, di una strofa di Faccetta nera fischiettata per strada o di un gol di Romano Floriani Mussolini con la Cremonese, al Pd gruppettaro di Elly Schlein va bene anche lo scoop di un giornale per ribollire di sdegno. E se il retroscena finisce dentro le sacre stanze del Quirinale, l’atto viene considerato «intimidatorio» e la reazione pavloviana è assicurata. Allora improvvisamente l’Italia non è più una nazione democratica e pluralista, la stampa non è più libera di controllare il potere e i suoi squilibri, ma si trasforma in un luogo del silenzio dove disturbare il manovratore è qualcosa di più grave di un reato. È un peccato.Ciò che è accaduto ieri alla Camera ha qualcosa di surreale. La Verità pubblica la notizia che un consigliere di Sergio Mattarella si agita per favorire «coalizioni alternative al centrodestra», il capogruppo di Fdi Galeazzo Bignami chiede chiarimenti, il Colle attacca. E l’opposizione s’inalbera gridando all’attentato contro la suprema figura di garanzia come se in democrazia esistessero gli intoccabili. Sornione e compiaciuto davanti a certi teoremi di Report, divertito quando la grillina Susanna Cherchi paragona il ministro Giuseppe Valditara «ai mariti che uccidono le donne», il campo largo diventa custode dell’ortodossia istituzionale quando gli fa comodo. Allora si muovono i corazzieri autonominati, senza crine di cavallo. Allora si scatena il più sgangherato dei Minculpop. Debora Serracchiani vede arrivare la notte della repubblica: «Un grave precedente». Andrea Orlando sembra Zoro: «Non mi chiederei se è vero ma se è verosimile». Giuseppe Conte chiude la sua personalissima stagione dell’impeachment (l’ultimo a chiederlo fu il M5s a trazione Luigi Di Maio): «È un polverone inutile e pretestuoso inventato dal governo». Nicola Zingaretti colpisce con la mazza da baseball un organo di stampa: «Retroscena squinternato, una bufala ripetuta più volte non diventa una notizia».Prove tecniche di bavaglio, ecco il bianchetto della famosa vignetta di Giorgio Forattini. Una reazione sgangherata che lascia intendere nervi scoperti e pruriti sospetti. Come se il direttore Maurizio Belpietro avesse aperto una porta che doveva rimanere chiusa. È singolare notare che a censurare e a crocifiggere sia la stessa sinistra che in altri anni marciava verso il Quirinale con la disinvoltura della guardia leninista, avendo come obiettivo l’inquilino, le tende e pure gli specchi. Giovanni Leone fu cacciato per una bufala di Camilla Cederna, alla quale sono stati intitolati i giardinetti dell’Università Statale di Milano come esempio per gli studenti. Francesco Cossiga, lepre marzolina poco malleabile dalla casta dem, rischiò più volte l’impeachment, chiesto da Eugenio Scalfari e dai suoi boys in Parlamento. Gli esempi affondano le radici in un tempo lontano semplicemente perché dagli anni ’90, con presidenti in possesso della patente politica giusta, gli incendiari sono diventati pompieri. È ancora più sorprendente l’uso del carroarmato dei campioni della libertà di stampa nello sparare alzo zero contro un giornale che ha pubblicato un retroscena. Accuse con accenti venezuelani e motivazioni da osteria. A conferma che a sinistra l’afflato democratico è a geometria variabile. E che il Colle è il nuovo Olimpo delle divinità.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 19 novembre con Flaminia Camilletti