Professor Giulio Sapelli, non si fa che parlare del documento americano National security strategy. Che molti nostri media raccontano come un attacco frontale di Trump all’Unione europea.
«Che come ho scritto in pochi hanno letto. Non si può nascondere che il trumpismo si presenti spesso come fenomeno quasi caricaturale. A partire dal presidente col cappello rosso Maga dentro lo Studio Ovale. Ma al netto di questo, si intravedono segnali di cambiamento profondi dentro l’establishment americano».
Un cambiamento che resisterà anche una volta che Trump non ci sarà più?
«La classe dirigente americana è molto cambiata. Le trasformazioni sono iniziate negli anni Ottanta con la crescente influenza delle università francesi (con il pensiero decostruttivista di Derrida e Foucault) sull’élite universitaria nordamericana. Questo ha provocato una reazione culturale che ha colpito sia il fronte democratico che quello repubblicano. Tradizionalmente, si pensava che la scuola del multilateralismo fosse di matrice democratica. I “leostraussiani della costa atlantica”, seguaci di Leo Strauss, un importante pensatore critico di Machiavelli, sostenevano l’impetuosità e la necessità dell’intervento americano all’estero. Per motivi umanitari e per portare la libertà».
Era anche l’essenza della dottrina dei neocon…
«Esattamente. Il culmine l’abbiamo avuto con la scenetta di Powell».
La fialetta con le armi chimiche…
«Il tutto a giustificare l’intervento per motivi umanitari in Iraq nel 2003. Il “trumpismo” rappresenta la reazione di una parte dell’establishment americano a questo pensiero dominante. Nasce da un altro filone di pensiero che parte sempre da Leo Strauss, ma che impone agli Stati Uniti la ripresa di temi tradizionalisti originali, inclusa la dottrina Monroe, e dell’intervento per salvaguardare l’interesse americano».
Sempre all’interventismo americano si arriva.
«Come spiegato da Alfred Hirschman in International trade and national power, la politica commerciale è spesso un mezzo per espandere il potere. L’establishment è cambiato radicalmente perché si è creata una cultura di destra completamente nuova, diversa dalla destra classica. Non qualificabile affatto, come fa qualcuno senza basi, nella cultura fascista o nazionalista. È una destra di reazione alla cultura woke. Molti intellettuali americani rifiutano la negazione delle radici giudaico-cristiane dell’Occidente. E si oppongono all’immigrazione gestita dal mercato, vale a dire dai trafficanti di uomini. Nella storia, sempre, le immigrazioni sono state controllate dagli Stati».
C’è una nascita del cattolicesimo negli Stati Uniti secondo lei?
«Di sicuro vedo come il fenomeno woke sia figlio di un intreccio fra neoateismo, transumanesimo e antisemitismo. Questo connubio mi fa veramente paura, e le posizioni trumpiane non sono la cura per questa situazione. Il rischio è che la cura sia peggiore del male».
Venendo al documento National security strategy?
«Segna un ritorno all’importanza degli Stati nazionali. Un ritorno al trattato di Vestfalia, dove ogni Stato è libero di avere la sua religione. Tuttavia, Trump esprime queste idee in forma caricaturale, con cadute di stile come quando si schiera esplicitamente a favore dei partiti di destra. Una cosa che di solito si fa ma non si scrive. Almeno in un documento come quello. Ma è innegabile che vi siano implicazioni rilevanti sul futuro dell’Unione europea. Intanto non è riuscita a darsi una Costituzione. E non può esistere uno Stato contemporaneo senza una costituzione. Invece si è affidata a una “burocrazia celeste”. Personificata alla perfezione da una figura come Ursula von der Leyen, figlia del primo direttore generale dell’Ue».
Ma in Europa i partiti euroscettici non vogliono una Costituzione.
«Nessuna di queste forze politiche pone l’accento sulla necessità di avere una Costituzione europea. Come anche i mandarini. Ecco perché intravedo uno scenario molto negativo. Accanto al ritorno degli Stati nazionali vedo anche il fallimento storico della borghesia europea. Il dirigismo europeo in campo ambientale ha finito per privarla di ampi margini in termini di capacità di azione e proprietà privata. L’esempio dello stop al motore termico è emblematico. I borghesi proprietari delle industrie automobilistiche sono stati espropriati della facoltà di decidere come utilizzare la loro proprietà da un insieme di trattati e decisioni prese da un Parlamento eletto su base nazionale, il quale però si limita ad approvare regolamenti e direttive di una Commissione non eletta. Questo ha distrutto l’industria europea, rendendola sempre più dipendente dalla Cina e strutturalmente dipendente dal fallimento del modello tedesco, che si fondava sull’accordo bipartisan Merkel e Schröder con la Russia».
In questo momento l’Unione europea non ha una strategia di pacificazione del quadrante Ucraina, perché di fatto sembra quasi che stia per intestarsi una sconfitta, quella di Kiev, non supportando il tentativo.
«È paradossale come tutto sia capovolto. Ci si aspetterebbe che a invocare l’uso delle armi e il riarmo fossero le forze di destra tradizionale, invece sono le forze cosiddette democratiche filo Ue che rifiutano il piano americano. E che pensano si possa addirittura creare un esercito comune. Molti esponenti di quelle forze, in un dibattito pubblico al Senato anni fa, mi hanno vilipeso e bollato come “guerrafondaio” semplicemente perché a suo tempo mi ero opposto all’abolizione della leva. Che ora prima o poi ritornerà».
Matteo Salvini, il gioielliere Mario Roggero è stato condannato dalla Corte di appello del tribunale di Torino a quasi 15 anni di galera e a un risarcimento di mezzo milione. Cosa pensa sul fatto, e cosa pensa di fare?
«Ho sentito Mario e gli ho ribadito la solidarietà della Lega: se potremo essergli vicini, anche economicamente, lo faremo. Nel 2019 abbiamo approvato una riforma che ha introdotto il principio che la difesa è sempre legittima. È stato un grande risultato della Lega: prevede la scriminante del grave turbamento delle vittime che sparano ai delinquenti e la possibilità di essere risarciti dallo Stato per le spese processuali se assolti. Mario purtroppo non ha avuto questa sorte: una parte di discrezionalità da parte dei magistrati è sempre possibile. Ora abbiamo proposto un ulteriore passo in avanti, a tutela di cittadini e forze dell’ordine: un cittadino che fa fuoco per difendersi da un’aggressione non dovrà più essere indagato in automatico, e varrà anche per gli agenti in servizio».
Il referendum sulla giustizia si avvicina. La Lega farà campagna attiva? Il governo rischia?
«La Lega sta già facendo campagna attiva: tutte le nostre sezioni diventeranno comitati per il Sì. Quanto al governo, non rischia: andremo avanti fino alla fine, e la vittoria del Sì sarà una vittoria degli italiani: fuori la politica e le correnti dai Tribunali».
Il governo dovrà decidere se prorogare gli aiuti militari all’Ucraina. Come Lega avete espresso la vostra contrarietà. Giorgia Meloni rassicura che il decreto arriverà: siamo al redde rationem per la maggioranza?
«Sulle armi e sulla prosecuzione della guerra la Lega da tempo invita alla prudenza, auspicando che le parole del Papa siano ascoltate e che il piano di Trump possa risultare efficace, come in Medioriente. Abbiamo sempre detto che mandare armi non avrebbe portato la pace, e che le sanzioni più che mettere in ginocchio Putin avrebbero danneggiato migliaia di aziende italiane ed europee. Così è stato. La nostra lealtà alla maggioranza è indiscutibile, proprio per questo dopo 12 pacchetti di armi e 19 di sanzioni è giusto riflettere. E la corruzione che sta emergendo in Ucraina, con uomini vicini a Zelensky che si arricchivano mentre mandavano migliaia di ragazzi a morire al fronte, non può lasciarci indifferenti».
Tajani ha detto che l’Italia chiederà di usare il Mes per finanziare l’Ucraina. Direte sì?
«Mai. Mi pare peraltro che gli stessi portavoce del Mes abbiano escluso l’opzione immaginata da Tajani. Per la Lega il Mes dovrebbe invece essere venduto per abbassare le tasse degli italiani, abbiamo miliardi di euro bloccati in quella operazione che non servirà mai a nessuno. Chiedo alla maggioranza di fare questa scelta coraggiosa».
Trump elabora una nuova dottrina e critica profondamente l’Ue, ma sembra lasciarla anche al suo destino. Tornano le suggestioni dell’esercito unico europeo: la preoccupa la cosa?
«Non sono d’accordo con un esercito europeo: se esistesse saremmo agli ordini di Parigi o Berlino e i nostri figli sarebbero già in guerra. Credo sia doveroso rafforzare la sicurezza interna italiana con l’assunzione di forze dell’ordine per proteggere le nostre città e i nostri confini, minacciati dall’immigrazione clandestina da Sud e non certo da cingolati o sommergibili sovietici. La guerra quotidiana ce l’abbiamo nelle nostre città: quella che trafficanti di esseri umani e mafie ci hanno dichiarato usando l’immigrazione clandestina, specie di matrice islamica».
I treni li prendiamo tutti. State facendo molti lavori. Innegabile. Ma è innegabile che i ritardi siano tanti. Non trova?
«Anche un ritardo sarebbe di troppo, ma stamattina noi abbiamo 1.300 cantieri aperti sui binari di tutta Italia, il massimo storico. Lavori necessari per garantire più sicurezza e più velocità: se non li facessimo fra pochi anni l’Italia sarebbe ferma. Nonostante questo sforzo, ogni giorno viaggiano 10.000 treni e un milione e mezzo di cittadini. La puntualità sta migliorando col diminuire dei cantieri. È un prezzo che paghiamo perché nei decenni precedenti non sono stati fatti i lavori necessari. Peraltro, l’85% degli italiani viaggia sui regionali, che a novembre hanno toccato il 90% di puntualità».
Stazioni, ma anche strade. L’esercito va utilizzato per altri compiti, sostiene il ministro Crosetto. Ma il presidente La Russa la pensa diversamente. La Lega?
«“Strade sicure” non va tagliata ma aumentata. La Lega ha proposto di aumentare i militari nelle strade già dal 2026 - oggi sono 6.800 -, altro che toglierli. Abbiamo bisogno di più agenti e soldati nelle piazze, sui mezzi pubblici e nei quartieri popolari, non a Kiev o a Mosca. Per offrire maggiore sicurezza su treni e stazioni abbiamo concretizzato un piano per rafforzare Fs Security: vigilantes per la sicurezza dei passeggeri che offrono risultati convincenti anche come prevenzione».
Esponenti Fiom menano i colleghi della Uilm: il clima la preoccupa?
«Certo: mentre perfino Hamas è stato costretto a sedersi a un tavolo di trattativa, in Italia ci sono irresponsabili che non si rassegnano e inneggiano alla violenza. Gente che se ne frega della Palestina e dei bimbi di Gaza: vogliono solo creare problemi al governo e bloccare strade e ferrovie. Nessuna tolleranza. A difendere la libertà sempre e comunque, ripudiando la violenza o la censura, siamo rimasti in pochi: sono contento che in questa battaglia ci siano la Lega e La Verità».
La legge di bilancio sarà approvata a breve. Ha scelto un dossier fondamentale?
«Dico pace fiscale: una attesa, storica e definitiva rottamazione di tutte le cartelle fino al 31 dicembre 2023. Si pagheranno in nove anni, con rate uguali e senza sanzioni: una boccata di ossigeno per milioni di cittadini perbene. Ricordo che abbiamo escluso i furbetti. Essere riusciti ad ottenere dalle banche circa dieci miliardi con cui tagliare tasse e assumere poliziotti è un’altra vittoria della Lega».
Dopo il parere della Bce sull’emendamento Malan sull’oro, cosa farà il ministro Giorgetti?
«L’oro non è di Bankitalia, è di proprietà degli italiani: meglio ricordarlo sempre. Anche in questo caso sono convinto che il governo troverà una soluzione con la consueta concretezza, la credibilità e la serietà del ministro Giorgetti sono un valore aggiunto per l’Italia e per la Lega».
Open Arms. L’11 dicembre si avvicina. La Cassazione deciderà su di lei. Preoccupato?
«Non sono preoccupato ma arrabbiato: è incredibile che dopo più di quattro anni di processo, e nonostante la piena assoluzione decisa dal tribunale di Palermo, qualcuno insista alla ricerca di una condanna politica. Difendere i confini non può essere un reato. Non mi spaventa il carcere, ma il caos che un’eventuale condanna scatenerebbe in Italia. Diventeremmo il campo profughi d’Europa».
Di fatto però, rispetto ai tempi di Lamorgese, non ci sono miglioramenti sostanziali. Cosa non ha funzionato?
«Da ministro dell’Interno ho tagliato del 90% gli sbarchi e i morti in mare, e ne sono fiero. Piantedosi sta lavorando tanto, le espulsioni aumentano e gli sbarchi si riducono, ma viene dopo un ministro inadeguato che ha smontato i decreti sicurezza e rispalancato i porti, costringendoci a lavorare il doppio. Senza contare le sentenze di giudici di sinistra che fanno battaglia politica sull’immigrazione, e un’Europa spesso latitante».
Si parla molto di remigrazione. È una prospettiva possibile?
«Sì, e ci sto lavorando. Sabato 18 aprile chiameremo in piazza Duomo a Milano patrioti da tutta Italia e da tutta Europa, per una grande manifestazione in difesa dei valori, dei diritti, delle tradizioni, delle libertà e della sicurezza dell’Occidente. La nostra civiltà rischia di morire per mano dell’Islamismo, del wokismo, del greenismo gretino e dell’ipocrita politica buonista di sinistra. Abbiamo il dovere di fermare questa deriva, per il bene dei nostri figli. Remigrazione? Sì».
Autonomia differenziata, a che punto siamo?
«Ho fatto la prima tessera della Lega nel 1990, facevo il Classico, proprio per l’autonomia. Dopo trent’anni ci siamo: le prime intese con le Regioni sono state firmate da Calderoli 15 giorni fa, le bozze preliminari si potranno portare in Cdm a gennaio. Abbiamo inserito in manovra i passaggi per realizzare il federalismo fiscale e in commissione al Senato va avanti anche l’esame del ddl delega per identificare tutti gli altri livelli essenziali delle prestazioni. Significa liberare fondi per la Sanità, per assumere medici e tagliare le liste di attesa».
Alle Regionali siete andati male in Toscana, ma oltre le aspettative in Veneto. Quanto vale la Lega?
«Più di quanto dicano i sondaggi. In Toscana il risultato è stato deludente e siamo già ripartiti, ma ottenere da soli il 36% in Veneto, avvicinare il 10% in Calabria, superare l’8% in Puglia prendendo più dei 5 stelle, oltrepassare i 100.000 voti in Campania sono risultati incredibili. Stiamo aumentando iscritti in tutta Italia, siamo parte di un’alleanza internazionale potente, abbiamo coerenza, idee, valori e obiettivi chiari. Alle elezioni del 2027 saremo determinanti per la vittoria del centrodestra».
Zaia immagina un modello Cdu- Csu per la Lega. Un partito «nordista» associato a uno nazionale nelle altre Regioni. Che ne pensa?
«Tutto quello che può far crescere la Lega mi interessa e con Zaia il rapporto è ottimo e quotidiano. Le mie priorità ora sono approvare una buona manovra, realizzare al meglio le Olimpiadi Milano-Cortina, vincere il referendum sulla giustizia e le elezioni comunali di primavera da Venezia a Reggio Calabria, da Lecco a Macerata; approvare una buona legge elettorale, preparare programma e squadra per le Politiche. Avremo modo e tempo di parlare anche dell’organizzazione interna del partito».
Vero che non ama il proporzionale col premio di maggioranza?
«A me piace ciò che dà valore al voto degli italiani. Proporzionale con premio di maggioranza? Perché no. Preferenze, alternanze, listoni? Si troverà una quadra».
La Lega esprimerà il candidato Presidente anche in Lombardia e Friuli-Venezia Giulia?
«Ha poco senso parlare adesso di elezioni che ci saranno fra due o tre anni. Chiedo invece al centrodestra di scegliere, bene e in fretta, i candidati sindaci delle grandi città che andranno al voto fra un anno e mezzo, a partire dalla mia Milano».
Prima Mogherini e poi Moretti. Bruxelles sta diventando «terra ostile» anche per il Pd.
«Non festeggio per le disavventure altrui, sono e rimango garantista. Certo, a Bruxelles negli anni la sinistra ha costruito una macchina burocratica, economica e politica infernale. Trump e Musk hanno detto quello che molti pensano: l’euro ci ha rafforzato o indebolito? L’Unione europea ci ha portato forza o debolezza? Nascondere la testa sotto la sabbia è da sciocchi. Sono orgoglioso che le idee, le denunce e le soluzioni proposte dalla Lega, che fino a pochi mesi fa venivano bollate come follie, piano piano si stiano rivelando sagge e veritiere. Andiamo avanti, buona Immacolata Concezione e grazie per la pazienza a ognuno di voi».
«Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato in nome del popolo italiano» è il testo della proposta di emendamento alla legge di bilancio 2026 formulata dal capogruppo senatore di Fdi Lucio Malan. E secondo molti media nostrani la Banca Centrale Europea avrebbe bocciato questa proposta. Falso. E spieghiamo perché.
L’articolo 127 paragrafo 4 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Tfue) impone che un progetto di disposizione legislativa come questo debba essere sottoposto al preventivo parere della Bce. Ed il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ne ha doverosamente chiesto il parere con due missive: una del 28 novembre ed una del 1° dicembre. La richiesta duplice è connessa al fatto che l’emendamento è nel frattempo stato oggetto di una riformulazione. Il 2 dicembre la Bce ha vergato una risposta di quattro pagine che termina «[...] in assenza di spiegazioni in merito alla finalità della proposta di disposizione, le autorità italiane sono invitate a riconsiderare la proposta di disposizione anche al fine di preservare l’esercizio indipendente dei compiti fondamentali connessi al Sebc (Sistema Europeo delle Banche Centrali ndr) e della Banca d’Italia».
Tanto è bastato a far partire la gran cassa mediatica secondo cui il governo vuol mettere le mani sull’oro depositato nei caveaux di Banca d’Italia e la Bce «buona» ha impedito lo «scippo». Sembra una bocciatura. Ma non lo è affatto.
Francoforte ha infatti confermato il contenuto di un suo parere del 2019 e dalla stessa richiamato a proposito di un’analoga proposta dal leghista Claudio Borghi.
Secondo Lagarde «il trattato non stabilisce le competenze del Sebc e della Bce, per quanto riguarda la nozione di proprietà. Il trattato si riferisce piuttosto alla dimensione della detenzione e della gestione in via esclusiva della riserva». In pratica non interessa di chi sia la proprietà di quell’oro. Ciò che rileva è che la Banca d’Italia ne abbia il «pieno ed effettivo e controllo». Quell’oro non può essere trasferito dalla colonna attivo dello stato patrimoniale di Banca d’Italia al rendiconto patrimoniale del Mef. Anche se quell’oro fosse di proprietà dello Stato, dovrebbe essere contabilmente rappresentato dove sta oggi. Nello stato patrimoniale di Via Nazionale. Altrimenti avremmo un «finanziamento monetario» vietato dai trattati. Vero. Anche se tale obbligo è stato furbescamente aggirato. Citofonare Mario Draghi per farsi spiegare cosa sia il Quantitative Easing: stampo denaro ed acquisto titoli di stati già emessi. Non al momento dell’emissione, ma un secondo dopo dalla banca che li ha sottoscritti in asta.
L’emendamento Malan non prevede niente di tutto questo. E bene farebbero i tecnici di Via XX Settembre a chiarire ogni dubbio. Ironia della sorte. In queste ore la Commissione Ue ha interpellato la Bce per chiederle di acquistare bond che l’Ue avrebbe emesso per finanziare la guerra in Ucraina. E con grande coerenza la Bce ha risposto «picche». Non si può fare. Quindi chi ha cercato di fare la furba non è la Meloni, ma la Von Der Leyen.
Se quindi l’oro di Bankitalia fosse di proprietà del governo - ma questo non potrebbe disporne - perché affannarsi in questa battaglia? Per tre motivi. Primo perché il Tfue, a differenza di quanto scritto dalla Bce, stabilisce in maniera esplicita ed incontrovertibile che il compito di una banca centrale nazionale è quello di «detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri». Quindi i trattati danno ragione al 100% al governo. E qui si viene alla seconda motivazione. Se è vero che quell’oro non rientrerà mai nella disponibilità di Palazzo Chigi è altresì vero che deve essere salvaguardato. Una Banca Centrale per definizione può sempre assolvere alle sue obbligazioni emettendo moneta. Tranne il caso in cui le obbligazioni debbano essere regolate in valuta estera. In quel caso la Banca Centrale non sarà solvente per definizione. Questo vale a maggior ragione per Banca d’Italia che non è più neppure una Banca Centrale dopo l’ingresso nell’euro.
Quindi bene fa Palazzo Chigi a scriverlo a caratteri cubitali che l’oro nel bilancio di Banca d’Italia non è suo ma del governo anche se sta nel bilancio di Via Nazionale. Infine, terza e più importante motivazione, è il comportamento stesso di Banca d’Italia ad essere stato negli anni ambiguo. Mentre la Banca di Francia riporta correttamente nel suo sito web che le riserve che gestisce sono di proprietà dello Stato francese, in palese violazione del Tfue Banca d’Italia parla esplicitamente di «quantitativo d’oro di proprietà dell’istituto». Comportamento niente affatto elegante. Comunque, non in linea con lo standing di Banca d’Italia. Urgono chiarimenti. Ma da Via Nazionale.





