2024-11-17
Applicare leggi che si disapprovano: Mattarella lo insegni ai magistrati
Dal presidente un monito pure per chi svolge il suo ruolo in base a convinzioni personali.«Più volte ho promulgato leggi che non condivido, che ritenevo sbagliate e inopportune, ma erano state votate dal Parlamento e io ho il dovere di promulgarle a meno che non siano evidenti incostituzionalità». Se queste parole le avesse dette uno qualsiasi, il commento sarebbe stato: e allora? Cioè: dov’è la novità? Se il presidente è super partes lo è perché non è, appunto, una pars. Ma poiché lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un discorso pronunciato a Roma, nell’ambito dell’evento «25 anni di Osservatorio Permanente Giovani-Editori», allora hanno assunto il peso proprio di quando parla la più alta carica dello Stato. Lascia perdere se poi tali parole sono dense di retorica, lascia perdere se tale retorica è anche un po’ bolsa, comunque il presidente è il presidente e le sue parole sono le sue parole. Del resto, sul concetto, il presidente si era espresso anche pochi mesi fa, era marzo, e allora l’occasione del discorso fu un incontro con i rappresentanti della Casagit, la cassa di assistenza dei giornalisti, dove il presidente ebbe a sottolineare che, quando promulga una legge, «non fa propria la legge o la condivide. Fa semplicemente il suo dovere».Sicuramente tra le lettrici e i lettori ci sarà qualche maligno o qualche maligna che, sospettoso o sospettosa, pensa che questa frequenza con la quale il presidente ricorda il fatto che firma leggi che non condivide possa voler significare qualche tirata d’orecchie al governo in carica. Come a dire, le firmo perché debbo ma non condivido neanche una virgola di quel che c’è scritto. Oppure, peggio ancora, le firmo perché sono obbligato a farlo, mi obbliga il mio ruolo ma, per quanto mi riguarda, quelle leggi sono inopportune e sbagliate. Chissà.Quello che mi preme osservare di più è che il presidente, facendo questo tipo di discorso, richiama un valore fondamentale della civiltà giuridica che riguarda il rapporto tra la cultura, le convinzioni politiche personali e il ruolo che si ricopre, in particolare quando questo ruolo è di garanzia, come la nostra Costituzione configura il ruolo e le funzioni del presidente della Repubblica all’articolo 87: «Il presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale». Quindi, rappresentando tutti, non può giudicare secondo le idee di qualcuno, ma secondo i dettami della Costituzione, che è a dire secondo i principi e i diritti fondanti la Repubblica stessa. Se è super partes lo deve essere anche dal punto di vista ideologico-politico. È molto interessante questo aspetto perché il presidente della Repubblica, in Italia, è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, e qui casca l’asino, perché la dottoressa Silvia Albano, durante un’intervista al Congresso nazionale dell’Associazione nazionale magistrati del 2017, disse: «Il giudice è una persona con le sue idee, le sue convinzioni e nell’interpretazione della legge inevitabilmente avviene che il giudice queste convinzioni ce le metta, l’importante è che sia molto trasparente». In pronunciamenti recenti, a proposito del famoso caso Albania, sostenendo le motivazioni del provvedimento che ha fatto riportare a casa gli immigrati, ha in varie occasioni inserito elementi che poco centrano col diritto e molto con le convinzioni personali. In questo senso è stata coerente, ha fatto oggi quello che aveva detto nel 2017. Con lei lo hanno fatto anche i giudici di Bologna, che hanno scritto alla Corte europea, inserendo elementi di tipo politico-ideologico come giustificazione della loro richiesta e non attenendosi a una pura considerazione, come si direbbe, de jure. Per chi volesse approfondire il tema si vada a rileggere alcune pagine del grande Kant o, se la cosa è particolarmente difficile, si legga qualche manuale di filosofia del diritto e lì troverà ben spiegata la relazione tra morale personale e diritto. Perché vede, dottoressa Albano, la questione non è la trasparenza con la quale un giudice infila le proprie idee e i propri convincimenti all’interno dell’interpretazione della legge. Della trasparenza di questa azione non interessa assolutamente nulla a nessuno. Il problema non sta nel farlo vedere, l’aberrazione giuridica sta nel farlo. Non è infatti concepibile che un giudice faccia dichiarazioni di questo tipo e, cioè, che sostenga che in qualche modo l’interpretazione e la successiva applicazione della norma contengono valutazioni extragiuridiche che sconfinano nelle convinzioni politiche, filosofiche, sociologiche, ideologiche, morali ed etiche del giudice stesso. Sarebbe come dire che un marxista possa interpretare le leggi secondo le sue convinzioni differentemente da un liberale, da un cattolico, da un socialista, da un buddista, insomma, da un «ista» qualsiasi. Il signor «ista», in questi casi, deve stare a casa confortato dal calduccio delle sue convinzioni, in particolare in questo momento di rigidità atmosferiche invernali, e non sconquassare il diritto e i diritti.Visto che il presidente della Repubblica è così sollecito a ricordare che firma leggi che non condivide, non ha nulla da dire su questi magistrati che sostengono il contrario di quanto da lui sostenuto e dovendo anch’essi, come lui, essere - almeno in teoria - super partes?
Simona Marchini (Getty Images)