2018-07-16
L’Università? Qui ha un solo studente. Così a Potenza ci si laurea in sprechi
Nell'ateneo lucano ci sono ben otto corsi di laurea «individuali». Professori, impiegati, aule, segretarie: tutto a disposizione di un unico allievo. Altri quattro ne hanno appena due. Ma ora sono arrivati gli ispettori.E in Italia 681 corsi (su 4.500) hanno meno di 10 iscritti. Il ministero aveva chiesto lo stop, ma lo scandalo continua. Il record di Tecniche sanitarie: istituito in 140 sedi. E sempre deserto.Lo speciale contiene due articoli.Come lo preferite il corso universitario? Individuale? Di coppia? Per piccoli gruppi? Farsi seguire da una ventina di professori, avere la segreteria a disposizione e i laboratori a uso esclusivo non è impossibile. Basta scegliere l'università giusta. Costosissima? Niente affatto: l'ateneo che in tempi di tagli lineari all'istruzione propone ai suoi iscritti corsi quasi personalizzati è un piccolo ateneo del sud, che conta poco più di 7000 iscritti e soffre dell'emigrazione al nord, esattamente come tutti gli altri. Eppure, oltre a vantare una tassazione tra le più basse d'Italia, senza farsi il minimo cruccio per gli sprechi, continua a tenere in piedi decine di indirizzi nei quali gli iscritti si contano sulla punta delle dita. A volte anche di una sola mano.Siamo all'Università della Basilicata: nata dopo il terremoto dell'Irpinia, grazie alla legge (la 219 del 1981) e agli stanziamenti per la ricostruzione, Unibas ha beneficiato, per anni, (come tutte le altre) dei fondi ministeriali e degli incentivi previsti per le zone disagiate. E, anche quando l'aria è cambiata, nel 2009, e la riforma Gelmini ha vincolato la meritocrazia ai trasferimenti statali (portando a una drastica riduzione delle disponibilità per molti atenei, soprattutto del sud), Unibas ha potuto comunque contare sulla stampella delle royalties da estrazione (la Basilicata è considerata la California d'Italia per numero di impianti estrattivi), quasi tutte a marchio Eni, versate ogni anno dalle aziende petrolifere alla Regione Basilicata e destinate, in quota percentuale, all'Istruzione post diploma (dal 2013 ad oggi 10 milioni di euro su un bilancio annuale da circa 50 milioni).Con i suoi pochi iscritti, le due sedi di Matera e Potenza e i suoi tanti ricercatori, classificata terza nel 2014 dal Censis tra i piccoli atenei italiani, nonostante la fuga di cervelli verso il nord e la concorrenza dei colossi di Napoli, Bari e Salerno, Unibas vanta, in controtendenza sul dato nazionale, un aumento percentuale delle immatricolazioni (+3,34% nel 2017). A che costo, però? Piuttosto alto, a quanto pare.Secondo i dati non scorporati, nell'anno accademico 2017-18 il corso di laurea in Conservazione trasmissione delle memorie storiche, conta un solo iscritto, esattamente come Chimica, Scienze della Formazione Primaria, Discipline letterarie dell'età moderna, Ingegneria Edile, Ingegneria per l'ambiente e il territorio, Ingegneria meccanica e pure Scienze e tecnologie delle produzioni animali. Due studenti risultano iscritti al corso di laurea Nuove tecniche per la storia e i beni culturali, due ad Ingegneria dell'informazione delle telecomunicazioni, due a Scienze tecnologiche geologiche per l'ambiente e altri due a Scienze della produzione animale. E, ancora, Matematica conta solo tre studenti e altrettanti risultano quelli iscritti ad Informatica, Discipline filosofiche, Ingegneria civile, Ingegneria per l'ambiente e il territorio e Scienze tecnologiche delle produzioni animali.Un caso? Pare proprio di no. Stesso anno, stessa università, fioccano anche i corsi con quattro, cinque o sei alunni. Matematica L1, Prospezione monitoraggio ambientale così come Geoscienze e Georisorse, contano solo quattro studenti. Cinque alunni, secondo i dati, dovrebbero frequentare i corsi di Linguistica filologia e letteratura delle lingue e culture moderne, Ingegneria Meccanica, Scienze Agrarie e Scienze forestali. E infine, sei studenti risultano iscritti nei corsi di Ingegneria per l'ambiente e il territorio, Scienze delle tecnologie agrarie, Scienze e tecnologie alimentari, Teoria e Filosofia della comunicazione e Ingegneria civile.Per un totale di 38 corsi (attivi e non) con un pugno di frequentanti ciascuno. La colpa? In parte è certamente della marea di fuori corso che affliggono Unibas (ben 2500 su 7000 iscritti) che tengono l'ateneo, potenzialmente impegnato per insegnamenti, in realtà, già chiusi da anni.Ma non è solo questo. Perchè anche guardando solo alle nuove leve le classi non sono certo affollate. A quanto risulta, infatti, su un totale di 36 corsi di laurea pienamente attivi almeno tre contano meno di 10 studenti tra i banchi (Geologia, Matematica, Chimica e Tecnologia Ambientale), mentre un'altra decina (soprattutto le magistrali con durata 5 anni) viaggiano con meno di 20 iscritti ciascuna.Nell'ultimo anno Unibas ha speso 37 milioni di euro per mantenere il personale in attività e più 12 milioni di gestione delle strutture a fronte di 6 milioni di entrate da proventi propri. E la domanda, per quanto cinica, a questo punto, è: il gioco vale davvero la candela? Una risposta potrebbe fornirla Anvur, l'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitari, che, proprio lo scorso novembre, ha visitato l'Università della Basilicata per l'accreditamento periodico. La valutazione di Unibas sarà pubblicata dopo l'estate ma, certamente, agli ispettori dell'ente non sarà sfuggito l'esorbitante numero di corsi monostudente (o quasi). Che farà ora l'agenzia? Striglierà l'Università? Caldeggerà la soppressione dei rapporti one to one tra docenti e studenti onerosissimi per un piccolo ateneo? O, invece, lascerà correre?Quello che è certo è che, anche in questo caso, vale il detto «fatta la norma trovato l'inganno». Mentre le direttive ministeriali raccomandano di razionalizzare l'offerta formativa e vincolano l'erogazione dei fondi ordinari al numero complessivo di iscritti ad ogni università, nessuno ha ancora pensato di fissare quello minimo per l'avvio di un corso di laurea.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/luniversita-qui-ha-un-solo-studente-cosi-a-potenza-ci-si-laurea-in-sprechi-2587263723.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-in-italia-681-corsi-su-4-500-hanno-meno-di-10-iscritti" data-post-id="2587263723" data-published-at="1758067659" data-use-pagination="False"> E in Italia 681 corsi (su 4.500) hanno meno di 10 iscritti Non è sola Unibas nell'elargire corsi semi individuali. L'abitudine di mantenere in essere insegnamenti universitari dedicati a un numero particolarmente esiguo di studenti, proprio mentre tutto il settore piange miseria, in Italia, è parecchio diffusa. Secondo i dati forniti dal ministero dell'Istruzione sono ben 681 i corsi attualmente in essere con meno di 10 studenti iscritti, cioè più del 15% del totale dei corsi attivati dagli atenei italiani, che sono circa 4.500. Già a partire dal 2013 il Ministero aveva dato al sistema universitario indicazioni precise sulle economie da applicare in tempi di spending review e la razionalizzazione dell'offerta formativa universitaria era uno dei punti cardine «per contrastare la proliferazione dei corsi di laurea non motivata da reali esigenze del mercato del lavoro». Le università avrebbero dovuto «disattivare i corsi di studio con un numero basso di iscritti» soprattutto quando «nella stessa Regione risultino già attivi corsi con analoghi obiettivi formativi» e, più in generale, «selezionare gli insegnamenti in base alle esigenze del territorio». Molte realtà, ad onor del vero, si stanno adeguando mentre altre hanno preferito mantenere le vecchie abitudini. D'altro canto quelle ministeriali erano soltanto indicazioni di massima e non esiste una legge precisa in tal senso. «Il decreto 987 del 2016 non prevede, infatti, un numero minimo di studenti iscrivibili per l'attivazione dei corsi di studio», ha specificato il ministero rispondendo alle sollecitazioni della Verità, «ma soltanto la definizione del numero massimo» di possibili iscritti. Di fatto «rientra nelle decisioni autonome di un Ateneo attivare o meno un corso di studi», a prescindere dal numero di iscritti. E, anzi, «in caso di mancata attivazione, per due anni accademici consecutivi, il corso si intende soppresso». E qui viene il bello. Perchè perdere un corso, per un ateneo, può significare non poter più rispondere alle richieste di docenti o ricercatori, risorse interne, che, come ovvio, non gradiscono rimanere senza poltrona. Lo sa bene Pasquale Catanoso, ex rettore dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria, che per rispondere alle vere esigenze del territorio ha deciso di aprire, per il prossimo anno accademico, un novo corso di Scienze della formazione, probabilmente scontentando chi già a libro paga dell'università avrebbe preferito veder ripartire gli insegnamenti di sempre. «Scusate la crudezza dell'argomentazione, ma la realtà è questa: come Università non avremmo avuto nessun interesse accademico su questa materia, non abbiamo allievi, non abbiamo professori» e «attivarlo è stato un sacrificio che abbiamo chiesto a tutti i colleghi che hanno dovuto rinunciare a risorse per permettere la nascita», ha spiegato durante la presentazione dell'iniziativa. Il problema dunque esiste. E la conferma al sospetto che, a volte, dietro la ostinata parcellizzazione dei corsi ci possano essere più interessi interni alle facoltà, che la volontà di dare ai giovani un'ampia offerta formativa arriva dall'analizi del tipo di corsi che contano pochi iscritti. Non si tratta di astrusi indirizzi in cui pochi frequentanti sarebbero nella norma, ma piuttosto di indirizzi specifici, sì, ma che comunque si moltiplicano, nelle stesse regioni. La maglia nera dei corsi monostudente (dati Miur, ndr) la vince la laurea in Professioni sanitarie tecniche con ben 140 corsi sparsi per tutta Italia con meno di 10 studenti ciascuno, segue a ruota Professioni sanitarie per la riabilitazione, con 64 corsi e poi Restauro con i suoi 25 corsi semivuoti, in giro per il Paese.