2022-09-03
L’Ue ora brucia i manuali di austerity. Le restano quelli su tasse e dirigismo
Con l’ipotesi di acquisto centralizzato del gas, Bruxelles autorizza nuovo deficit per le spese correnti lasciando così campo libero all’inflazione. E sulle grandi imprese studia piani di controllo da ex Urss.Premessa doverosa: a questo punto, qualunque cosa si faccia, si rischia di sbagliare. Avendo commesso l’errore antico (l’Italia) di precludersi la strada dell’autonomia energetica, dicendo no al nucleare, limitando il carbone, tagliando le estrazioni di risorse sul proprio territorio, centellinando i rigassificatori, la dipendenza dal gas russo si è fatta totale. E a questo si è aggiunto l’errore nuovo (europeo) di pensare di poter praticare simultaneamente le sanzioni contro Mosca e la transizione green: qualunque cosa si pensi delle prime o della seconda, portarle avanti insieme è assolutamente impraticabile.Morale: su queste basi, ogni intervento assomiglia a una coperta corta. Né ha senso presentare qualsiasi misura come un toccasana miracoloso: vale anche per il tetto al prezzo del gas su cui Mario Draghi insiste da mesi, e rispetto al quale non è ancora chiaro se e in che termini si concretizzerà un’eventuale apertura da parte dell’Ue. Tra l’altro, non è nemmeno chiaro cosa si intenda esattamente per «tetto». Alcuni lo immaginano come l’imposizione di un prezzo al venditore attraverso la formula di acquisti effettuati a livello congiunto: e in questo caso lo scenario più cupo è quello per cui il venditore (russo) dica no e si rivolga ad altri acquirenti. Altri hanno in mente una formula diversa: e cioè la fissazione di un prezzo politico a livello comunitario, con relativo finanziamento pubblico della differenza tra quel prezzo politico e il (più elevato) prezzo di mercato. In questo scenario, ad esempio, l’acquisto europeo avverrebbe a un certo livello (più alto), con relativo passaggio dal livello europeo a quello nazionale a un prezzo più basso. E la differenza? Elementare, Watson: si tratterebbe di fare nuovo debito. E proprio qui scattano almeno cinque perplessità.La prima. Ma non si era detto (per decenni) che non si doveva fare altro debito con troppa facilità? E soprattutto: non si era detto che non si doveva fare debito per finanziare spesa corrente? Ormai, dal Covid in poi, sembra essere scattata una logica opposta: perfino quelli che avevano inchiodato l’Italia (fine 2018) a una lunare discussione sulla necessità di ridimensionare il nuovo deficit dal 2,4% (ritenuto insostenibile!) al 2,04%, adesso sono diventati profeti di un deficit e un debito illimitati.La seconda. È evidente che una logica del genere continuerà a alimentare la spirale inflazionistica. Un intervento di questo tipo dovrebbe infatti durare almeno fino a marzo: altri sette mesi di benzina versata sopra la fiamma dell’inflazione. Di questo passo, sperare di riportare l’inflazione entro livelli gestibili (3-4%) entro fine 2023 appare una chimera.La terza. E poi che si fa? Una volta che si siano fatti crescere ulteriormente la spesa e il debito, si procede a un ulteriore aumento delle tasse per correre ai ripari? È evidente che si tratterebbe di un’operazione di strangolamento dell’economia reale, dei consumi interni, della propensione al risparmio e all’investimento privato da parte di famiglie e imprese.La quarta. Più che mai si entra in una dimensione di economia statalizzata (o superstatalizzata a livello Ue), in cui sarà la mano pubblica a assumere le decisioni, invadendo sempre più pesantemente la sfera dei soggetti privati. La Faz ha attribuito al commissario francese Thierry Breton l’intenzione di costruire un nuovo «tool», uno strumento d’emergenza, che consentirebbe alla Commissione di imporre alle aziende di accumulare riserve strategiche, di riorganizzare se necessario le supply chains, e – se servisse – di obbligare le aziende a dare priorità agli ordinativi europei, anche travolgendo i contratti e il diritto privato. Una vera e propria svolta da socialismo reale.La quinta. Anche senza cadere nella terrificante prospettiva appena descritta, rimane un’evidenza. Quanto più attribuisci all’Ue poteri di spesa e di direzione della politica industriale, tanto più legittimi la pretesa di Bruxelles di imporre tassazione propria, in una logica di accentramento verso la Commissione e di assoggettamento degli Stati nazionali a un pilota automatico unico. Stiano bene attenti – in questo senso – quegli eurocritici che esultano frettolosamente per i passi che ora la Commissione si prepara a compiere: potrebbero molto presto pentirsi dei relativi effetti. Resta un rimpianto, culturale e politico. Può certamente accadere, in tempi eccezionali, di dover ricorrere a risposte d’emergenza. Ma un buon politico non dovrebbe mai dimenticare la strategia e le sue convinzioni fondamentali: un liberalconservatore, ad esempio, dovrebbe tendere in prospettiva alla salvaguardia della sfera privata, e a un livello non eccessivamente alto di tasse-spesa-debito. Ecco: non è un caso se praticamente nessun leader dell’Europa continentale stia spingendo, in queste settimane (nemmeno come misura complementare rispetto a quanto si fa in campo energetico), per un megataglio di tasse capace di lasciare più liquidità alle imprese e alle famiglie. L’ondata eurosocialisteggiante non lo prevede.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.