2019-05-29
Flat tax da 30 miliardi in faccia alla Ue
Mossa stizzita della Commissione che ci dà appena 48 ore per rispondere sui conti. E Pierre Moscovici agita «nuove sanzioni».Matteo Salvini annuncia lo choc fiscale da 30 miliardi che riguarderà sia le imprese sia le famiglie con reddito fino a 50.000 euro. È la risposta alle minacce di Bruxelles sui vincoli di bilancio. Agli alleati, invece, ricorda: «Priorità a Sicurezza bis e autonomie».Ieri primo incontro tra capi di Stato. Emmanuel Macron vuole fare l'ago della bilancia e affondare il Ppe. E Giuseppe Conte nicchia sul commissario all'Italia.Domani la sentenza di primo grado per il viceministro Edoardo Rixi. I 5 stelle: «Rompete il contratto».Lo speciale contiene quattro articoli.Il nostro Paese ha una debolezza che si chiama debito pubblico, e la politica europea sa bene quale è la piaga in cui ficcare il dito. E lo fa ogni volta che qualcosa cambia lo status quo che gli euroburocrati e - tendenzialmente - i socialdemocratici continuano a immaginare per il futuro dell'Ue. Eventi esterni come le elezioni per i politici della Commissione sono problemi da contenere, se proprio non si si riesce a risolverli una volta per tutte. Così lunedì mattina, all'indomani del voto, le Borse hanno aperto tendenzialmente piatte, stesso discorso lo spread. Quest'ultimo, che segna la differenza di affidabilità dei titoli di Stato rispetto al Bund tedesco, è schizzato solo quando sono state diffuse le voci della lettera di reprimenda Ue all'Italia. Idem, ieri, quando la missiva è stata spedita a Roma con espressa richiesta di ottenere una risposta in 48 ore. La diffusione della notizia ha lasciato intendere che il 5 giugno prossimo la Commissione potrebbe aprire una procedura d'infrazione contro l'Italia. I mercati hanno reagito male, nell'immediato. Piazza Affari è scesa e lo spread ha toccato i 290 punti base per poi chiudere la giornata a 284. Lunedì aveva toccato i 282 punti. L'altalena è stata palesemente influenzata dalle dichiarazioni del commissario economico Pierre Moscovici. «Avrò uno scambio di vedute con il governo italiano su misure aggiuntive, ma non prediligo le sanzioni», ha detto. Salvo poi intervenire quattro ore dopo, sempre a listini aperti, per spiegare che a suo dire «una cosa deve essere chiara: se un Paese, a un certo punto, è totalmente fuori dalle regole, le sanzioni ci sono». Moscovici ha infine aggiunto che le sanzioni «sono principalmente dissuasive, ma possono essere anche persuasive. Cerchiamo di evitarlo». Qui sta il punto politico della trattativa Stato-Ue. Un concetto che le forze di opposizione in Italia e il gruppo dei «competenti» continua a non comprendere, nonostante la batosta del voto. Moscovici minacciando un intervento persuasivo ha chiaramente spiegato che il suo intento è indirizzare le scelte politiche del governo. Lasciando al tempo stesso intuire che il suo doppio fine è quello di non dover azionare la leva delle sanzioni. Perché si tratta semplicemente di un braccio di ferro politico che nulla ha a che fare con il motivo del contendere, cioè i patti di stabilità. Tanto più che la lettera spedita ieri, descritta da tutti i media italiani come l'anticipazione di una cataclisma che travolgerà la nostra economia, viene recapitata ogni anno a maggio. Nel 2016, Pier Carlo Padoan la ricevette il 2 maggio e non ci fu nessuna tempesta. Anche nel 2017 e nel 2018 è stata imbucata a maggio. A queste missive i governi di solito rispondono con una lettera di accompagnamento firmata dal ministro delle Finanze e una relazione sui fattori rilevanti da tenere in considerazione per un'adeguata valutazione dell'evoluzione del debito. In passato, le giustificazioni fornite sono bastate a scongiurare il rischio di una procedura. A fronte di promesse e impegni per giunta mai rispettati. La differenza è che quest'anno la Commissione ha atteso la fine del mese, guarda caso due giorni dopo le elezioni, concedendo al Mef poche ore per mettersi al lavoro. La Commissione sa bene che, con un esito del voto in Italia così schiacciato a favore della Lega (ma lo stesso vale per la Francia e l'Ungheria), la mossa dell'infrazione è solo una gabola perché ciascuno dei rappresentanti di Bruxelles riesca a garantirsi un futuro politico migliore. È un modo per avviare la trattativa del rinnovo delle nomine. I cosiddetti speculatori d'altronde puntano dove c'è guadagno, ma ieri quello sull'Italia è stato di breve intensità e durata. I prezzi dei Btp si sono mossi, ma poco. I mercati stanano l'instabilità e le Borse cercano di capire anche quale sarà l'assetto futuro del Parlamento Ue. Ciò crea molta più instabilità politica rispetto alla vittoria di Matteo Salvini (che invece stabilizza i gialloblù). I commissari di Bruxelles sanno anche questo. Non a caso ieri nell'intervista rilasciata alla Stampa, Mario Monti dopo aver recitato il rosario dell'europeista duro e puro ha aperto a un'importante novità. Ha detto che si dovrà ridiscutere i patti di bilancio relativi agli investimenti infrastrutturali. Un'uscita ben ponderata per far capire che è iniziato il mercato delle vacche. Chi sembra non cogliere queste fondamentali sfumature sono i Forza spread. Ancora ieri hanno avviato la gran cassa del «moriremo tutti male e poveri». La scelta di fare deficit e tagliare le tasse, ribadita ieri da Salvini, dovrebbe, a detta loro, devastare una volta per tutte il nostro Pil. Invece, i Forza spread continuano a sbattere la testa contro il muro del catastrofismo, ma la maggior parte degli italiani se ne frega della Borsa perché non ha nulla da investire. Quando si urla alla Patrimoniale, chi campa con 800 euro al mese (e pure deve pagare l'affitto) si sposta ancora più vicino al movimento sovranista. Anzi, sono i Forza spread che lo cacciano nell'area di campo del sovranismo. Il popolo non crede più a chi si straccia le vesti per i principi e poi fa di tutto per mantenere le proprie consulenze intatte. Questo è il punto. Con l'aggravante che stavolta i competenti rischiano di prendere sberle pure da Bruxelles, se - come è facile - quest'ultima scenderà a patti con Salvini.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lue-getta-benzina-sul-fuoco-dello-spread-per-difendere-le-sue-poltrone-2638353987.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="salvini-tira-dritto-e-lancia-la-super-flat-tax" data-post-id="2638353987" data-published-at="1757580533" data-use-pagination="False"> Salvini tira dritto e lancia la super flat tax Per rispondere sia al colpo di fucile della Commissione Ue che alle lamentazioni del rinato partito italiano «Forza Spread», Matteo Salvini cala sul tavolo quattro assi e un metodo. Cominciamo da quest'ultimo punto, cioè dalla cornice in cui il leader leghista colloca il suo ragionamento. Per un verso rassicura sulla durata del governo, smentendo qualunque volontà di voto a settembre («Non esistono queste voci, non voglio andare a votare»), ma per altro verso, pur senza formalizzare la cosa in modo troppo rigido («Nessun ultimatum a Luigi Di Maio»), conferma quanto aveva detto rispondendo a una nostra domanda nel corso della nottata elettorale, in collegamento tv con Matrix di Nicola Porro: Salvini vuole una scansione temporale precisa di ciò che il governo farà - si potrebbe dire: un cronoprogramma - per evitare di essere risucchiato da tatticismi e strategie dilatorie. Ciò detto, veniamo agli assi. Il primo è la flat tax, e Salvini inizia a dettagliare l'ipotesi, destinata a essere approvata nella prossima manovra autunnale: «30 miliardi di euro, questa è la proposta documentata centesimo per centesimo che siamo pronti a portare in Consiglio dei ministri e in Parlamento, studiata dagli economisti della Lega» (che il leader vedrà oggi pomeriggio). In sostanza, un taglio forte della pressione fiscale che avrebbe come beneficiari da un lato le imprese e dall'altro le famiglie con reddito fino a 50.000 euro. La sensazione è che Salvini faccia il seguente ragionamento: se si tratta di interloquire in modo robusto con l'Ue, perfino arrivando ad uno scontro, non ha senso farlo per uno «zero virgola»: è molto più logico alzare la posta in gioco, e mettere in campo quella scossa fiscale che ha chance di incidere positivamente sulla crescita («una cura Trump, una cura Orbán, uno choc fiscale positivo per far ripartire il Paese», ha detto a Rtl). E a quel punto anche i mercati sarebbero molto più interessati a una possibile risalita del Pil italiano che non al catechismo dei parametri Ue. Su questo primo tema, è arrivata una risposta vaga e interlocutoria da Giuseppe Conte. Dopo aver detto di non sentirsi «commissariato» da Salvini, il premier, interpellato sulla flat tax, ha laconicamente preso tempo: «Non abbiamo ancora parlato della manovra». Il secondo asso giocato dal leader leghista ha a che fare con il dibattito pubblico in Europa, da cui Salvini non vuole essere marginalizzato. Per questo, lancia l'idea di una «conferenza europea sul lavoro, sulla crescita, sugli investimenti e sul debito». Salvini fa anche un riferimento al «ruolo della Bce come garante della stabilità, del benessere e del debito». Salvini non lo dice esplicitamente, ma l'impressione è che voglia inserire in agenda una domanda: esaurito il Qe, la Bce intende estrarre dalla sua cassetta degli attrezzi altri rimedi, in particolare prevedendo nuove forme di garanzia per i titoli pubblici degli stati membri? A ben vedere, basterebbe un annuncio di questo tipo da parte di Francoforte per domare qualunque principio d'incendio. Il terzo asso riguarda proprio la questione del debito, e qui Salvini gioca in contropiede. Il titolare del Viminale ricorda infatti il record non brillante dei governi precedenti: «Negli anni del rigore, dei professori e dei governi del Pd, negli anni del rispetto dei vincoli europei, il debito pubblico italiano è cresciuto da 1.989 a 2.321 miliardi. L'Italia ha accumulato circa 300 miliardi di euro di debito in più seguendo i vincoli di Bruxelles». E qui Salvini inserisce la sua risposta alla Commissione Ue: «Spero che non ci sia nessuno in Europa che mandi “letterine". Vi pare che in un momento storico in cui c'è una disoccupazione giovanile del 50% in alcune regioni italiane, da Bruxelles qualcuno in nome di regole del passato ci chieda 3 miliardi di multa e a settembre 20 miliardi di aumento di tasse? Il voto di domenica è stato una sfiducia nei confronti dell'Europa fondata sui tagli». Qualche indizio ulteriore lo offre Claudio Borghi, presidente leghista della Commissione Bilancio della Camera, in un colloquio con Huffington Post: capovolgere la logica dei parametri europei (basarli non su un certo livello di deficit, ma su una soglia di disoccupazione da non raggiungere), togliere dalla Costituzione il pareggio di bilancio, e varare la famosa «golden rule», cioè lo scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit. Salvini stesso, in conferenza stampa, aggiunge altra carne al fuoco: inversione dell'onere della prova in campo fiscale, possibilità di scelta del regime fiscale più conveniente, recupero dei crediti d'imposta, ulteriore pagamento dei debiti arretrati della Pa. Il quarto asso ci richiama al negoziato da avviare con Di Maio. Salvini preme per il varo immediato del decreto sicurezza bis: «È pronto, lo era già la scorsa settimana. Spero che il Cdm venga convocato questa settimana. Eravamo rimasti in questo modo». Fonti del Viminale insistono per accelerare: «Confermati gli obiettivi, la convinzione è che siano stati soddisfatti tutti gli interrogativi tecnici». Insomma, si torna al cronoprogramma, e all'esigenza di evitare che M5s scelga la strada della melina per guadagnare tempo: l'approvazione di questo decreto deve essere il primo - e più veloce - punto della «fase 2». Resta sullo sfondo - come ulteriore obiettivo irrinunciabile per la Lega - un altro tema, quello dell'autonomia. Anche su questo Salvini ha ribadito con nettezza che il dossier è pronto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lue-getta-benzina-sul-fuoco-dello-spread-per-difendere-le-sue-poltrone-2638353987.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-custodi-delleuropa-si-scannano-per-il-dopo-juncker" data-post-id="2638353987" data-published-at="1757580533" data-use-pagination="False"> I custodi dell’Europa si scannano per il dopo Juncker Sono già iniziati i lavori per disegnare il futuro dell'Unione europea. Ieri a Bruxelles i capi di Stato e di governo dei 28 Stati membri hanno avuto vertici bilaterali nel pomeriggio e una cena informale. Al centro dei colloqui la nomina del nuovo presidente della Commissione, che potrebbe essere individuato già entro luglio. Prima dei colloqui la maggioranza dei gruppi politici del Parlamento europeo guidato da Antonio Tajani si era espressa a favore del processo dello spitzenkandidat. Ma contro il sistema che nel 2014 portò alla guida della Commissione europea Jean-Claude Juncker, allora il «candidato di punta» del Partito popolare europeo vincitore di quella tornata elettorale, si è espresso il leader dei liberali Guy Verhofstadt, che dice no a questa procedura fintanto che il sistema non comprenderà le liste transnazionali. Per lui «è importante che il prossimo presidente della Commissione rappresenti la maggioranza pro Ue». Che sia, cioè, una diga antisovranisti. Quello di Verhofstadt è un chiaro assist a colui che in questi giorni si è mosso di più per ritagliarsi un spazio importante nelle decisioni dell'Ue, cioè Emmanuel Macron. Il presidente francese, sconfitto in casa dalla Le Pen, punta a sostituire Angela Merkel, che si ritirerà nel 2021, come dominus europeo. Il suo primo obiettivo è affossare Manfred Weber, spitzenkandidat del Ppe e vicinissimo alla cancelliera tedesca. Per questo Macron vuol far pesare il terzo posto dell'Alde. Sta tessendo le sue trame con liberali e socialisti che al Consiglio europeo, cioè l'organo dell'Ue che riunisce i 28 capi di Stato e di governo, sono in maggioranza, potendo contare su otto esponenti ciascuno (solo sette per il Ppe). Fittissima l'agenda di ieri di Macron: pranzo con i socialisti Pedro Sánchez (premier spagnolo) e António Costa (portoghese) e i liberali Charles Michel (belga) e Mark Rutte (olandese); nel pomeriggio incontri con i leader del gruppo di Visegrád più la Slovenia, con il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e con Angela Merkel. Un favore a Macron potrebbe farlo proprio uno dei premier di Visegrád, Viktor Orbán. Fidesz, il partito del premier ungherese, è, nonostante gli sforzi di ieri del leader forzista Silvio Berlusconi, con un piede fuori dal Ppe a causa della sua campagna anti Juncker. Così Orbán potrebbe giocare di sponda con Macron per affossare Weber, visto in continuità con l'attuale presidente. Alla fine potrebbe essere proprio il Ppe a scaricare il processo dello spitzenkandidat, anche per evitare che Orbán si allei con la Lega di Matteo Salvini. A quel punto, caduto Weber, cadrebbero anche il socialista Frans Timmermans e la liberale Margrethe Vestager. Allora occhio agli outsider: Michel Barnier, caponegoziatore per la Brexit non sgradito a Macron, Kristalina Georgieva, direttore generale della Banca mondiale sostenuta dal blocco di Visegrad, e Christine Lagarde, direttore operativo del Fondo monetario internazionale. A queste condizioni Weber e Verhofstadt (o la verde Ska Keller) potrebbero dividersi i cinque anni alla guida del Parlamento europeo. Risolti i rebus di Commissione e Parlamento si affronteranno le altre nomine pesanti: Bce (sembra una partita a due tra il tedesco Jens Weidmann e il francese François Villeroy), Consiglio (potrebbe essere la soluzione per Rutte, leader in uscita a casa sua) e Alto rappresentante. E l'Italia? Fonti europee parlano alla Verità di un premier Giuseppe Conte piuttosto spaesato negli incontri di ieri: «Adesso non è il momento di dire commissario. Abbiamo delle chance sicuramente per far recitare all'Italia il ruolo che merita». Ma la Lega, vuole un commissario di peso. All'Industria, al Mercato interno, al Commercio o più probabilmente alla Concorrenza, che si occupa, tra le varie materie, di aiuti di Stato. Un ruolo ricoperto in passato anche da Mario Monti. Circolano diversi nomi graditi in Europa, come quello del leghista Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e di Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Esteri con un passato alla Commissione. Ma da ieri circola anche una suggestione, quella del premier Conte, che soddisferebbe tutti: l'interessato che è in cerca di un'exit strategy, la Lega e il Movimento 5 stelle, la prima decisa e la seconda obbligata a cambiare gli equilibri nel governo, e il Quirinale. Che però è preoccupato dall'unica ma enorme controindicazione di questo piano: il buco a Palazzo Chigi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lue-getta-benzina-sul-fuoco-dello-spread-per-difendere-le-sue-poltrone-2638353987.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="la-lega-non-vuole-un-caso-siri-bis-rixi-resta-anche-se-condannato" data-post-id="2638353987" data-published-at="1757580533" data-use-pagination="False"> La Lega non vuole un caso Siri bis: «Rixi resta anche se condannato» I tempi in cui la Lega faceva cadere le teste dei propri membri di governo per le pruderie giustizialiste dei 5 stelle, sembrano ormai lontani. Il numerino magico 34,3%, la percentuale con cui il Carroccio ha stravinto le elezioni europee, convincendo ben 9 milioni di elettori, ha di fatto cambiato la chimica all'interno dell'esecutivo e tra i banchi del Parlamento, rendendo i membri leghisti meno disponibili al cerchiobottismo. Il caso in questione è la sentenza che pende sul viceministro ai Trasporti Edoardo Rixi, fissata presso il tribunale di Genova per domani, al termine dell'udienza per l'accusa di peculato. La condanna chiesta è di 3 anni e 4 mesi. «Ne riparliamo tra tre giorni, per ora non parlo», ha chiarito ieri Matteo Salvini davanti a Montecitorio. «Lasciamo lavorare i giudici. Commentiamo a cose fatte». Le parole del ministro dell'Interno sono arrivate dopo quelle del capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo, che uscendo da Palazzo Chigi assieme proprio al diretto interessato Rixi, dopo la riunione sullo Sbloccacantieri, a proposito della sentenza, ha tagliato corto: «Rixi sta al suo posto. La Lega ha deciso». Il viceministro, dal canto suo, accoglie di buon grado: «Come in tutte le cose che faccio, mi rimetto a quelle che sono le valutazioni più ampie che fa la mia forza politica, la Lega, ed allora Rixi resta al suo posto». Si prospetta dunque una sorte diversa rispetto ad Armando Siri, il sottosegretario indagato per corruzione che è stato costretto a lasciare i banchi dell'esecutivo tornando tra le fila dei senatori, per via di quello che Salvini ha definito «sciacallaggio» pentastellato. «Nel caso Siri», ha proseguito Rixi, « il Movimento 5 stelle non ha rispettato l'accordo di governo». Ai pentastellati non viene lasciato margine, ma qualcuno di loro non lo accetta e i nervi cominciano a saltare. «Sono da sempre garantista e mi auguro che Rixi venga assolto». Così il sottosegretario 5 stelle agli Affari regionali, Stefano Buffagni. «Se però questo non dovesse accadere, voglio ricordare ai nostri alleati che c'è un contratto di governo da rispettare dove c'è scritto chiaramente cosa si deve fare». E poi la sua sentenza: «Se non lo vogliono rispettare e farlo saltare lo dicano chiaramente e se ne assumano la piena responsabilità». D'accordo anche il senatore Gianluigi Paragone: «Se abbiamo chiesto ed ottenuto che Siri facesse un passo indietro, non vedo perché Rixi, da condannato, non dovrebbe farlo». Lo stesso premier Conte, nelle scorse settimane, aveva annunciato la medesima linea usata per Siri. Il premier, lo scorso 2 maggio, aveva chiesto la revoca del sottosegretario, ottenuta pochi giorni dopo non con il voto della Lega, ma con un'accettazione obtorto collo in Consiglio dei ministri. Salvini in quell'occasione aveva parlato di «discussione civile e pacata» e fonti leghiste avevano spiegato di aver «preso atto della facoltà del presidente del Consiglio» di chiedere la revoca. La stessa fattispecie potrebbe presentarsi relativamente al caso Rixi (le deleghe di un viceministro possono essere ritirate dal ministro, e l'incarico ritirato dal premier) peccato che però il clima politico sia del tutto diverso, con i 5 stelle indeboliti e immobilizzati da quello sparuto 17% delle europee.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)
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L’area tra Varese, Como e Canton Ticino punta a diventare un laboratorio europeo di eccellenza per innovazione, finanza, sviluppo sostenibile e legalità. Il progetto, promosso dall’associazione Concretamente con Fabio Lunghi e Roberto Andreoli, prevede un bond trans-frontaliero per finanziare infrastrutture e sostenere un ecosistema imprenditoriale innovativo. La Banca Europea per gli Investimenti potrebbe giocare un ruolo chiave, rendendo l’iniziativa un modello replicabile in altre regioni d’Europa.