2019-01-10
L’opposizione trasforma la Consulta nel tribunale di guerra anti gialloblù
Con i ricorsi che contestano il dl Sicurezza e la compressione dei lavori sulla manovra, il Pd si aggrappa alla Corte costituzionale per ostacolare l'esecutivo. Un'ipotesi che sembra non dispiacere neanche al Colle.Il Pd fatica? L'opposizione non trova leader e parole d'ordine? A più di qualcuno dev'essere venuta in mente, se non una strategia, una specie di refugium peccatorum chiamato Corte costituzionale. Insomma, far arrivare sul tavolo della Consulta - per vie diverse, come vedremo - una valanga di questioni di costituzionalità su tutte le riforme dei gialloblù, nella convinzione che, sparando una raffica di colpi, almeno qualcuno possa centrare il bersaglio.Esaminiamo tiratori, proiettili e possibili obiettivi. Il plotone già schierato è quello delle Regioni contro il decreto Sicurezza: tra ricorsi annunciati e procedure in itinere, ci sono già nove Regioni mobilitate (Basilicata, Sardegna, Marche, Umbria, Toscana, Emilia Romagna, Calabria, Piemonte, Campania). Poi c'è (e si tratta per definizione di un campo minato: non sai quando e dove la mina esploderà) la cosiddetta «via incidentale», cioè la possibilità che sia un giudice, nel corso di un procedimento, a sollevare davanti alla Corte una questione di costituzionalità su una norma (o d'ufficio o su richiesta di una delle parti). Ed è immaginabile che i tentativi di questo genere si sprecheranno. Infine c'è una new entry, e cioè il ricorso dei gruppi parlamentari del Pd contro la «compressione» dei lavori nell'ultima legge di bilancio. È la prima volta che un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato viene sollevato da una minoranza parlamentare. Ieri su Repubblica, Andrea Manzella (più volte parlamentare di centrosinistra) si è prodotto in un'accorata richiesta alla Corte affinché - al di là del merito - riconosca almeno la possibilità di fare questo tipo di ricorso. Manzella ha sciorinato un repertorio classico (esempi internazionali, più la denuncia delle vere o presunte soperchierie delle maggioranze) per implorare la Corte di dire almeno un primo sì. E la Corte dovrà decidere oggi. Ognuno immagina il caos che si creerebbe se un precedente del genere si realizzasse: a questo punto, praticamente ogni atto parlamentare potrebbe essere descritto come un abuso da denunciare davanti alla Corte, una specie di sistematico «terzo tempo» dopo i «due tempi» giocati alla Camera e al Senato. Con l'evidente rischio di politicizzare ancora di più la Consulta. Detto della molteplicità di «fucili», veniamo ai bersagli. Abbiamo già detto del dl Sicurezza. E qui i «tiratori» potrebbero sbizzarrirsi per offrire alla Corte un «menu» tra cui scegliere la bocciatura: non solo il tema della residenza per i richiedenti asilo, ma anche la revoca della cittadinanza per chi abbia commesso alcuni reati o le norme sulle espulsioni. Fino a un tema che da decenni è allegramente tollerato, e cioè la disomogeneità dei decreti, veri e propri treni in cui viene infilato di tutto. Si è sempre fatto finta di non vedere, ma stavolta qualcuno - ohibò - potrebbe scoprire che nel decreto ci sono norme su sicurezza, immigrazione, mafia, terrorismo, cioè materie teoricamente diverse. Insomma, tutto può venir buono (meri pretesti o questioni vere ma ignorate da sempre) per bacchettare questo governo. Ieri, curiosamente, Il Foglio, in un articolo per tanti versi assai documentato, anche se carico di pregiudizi contro il governo, si è lanciato in un esercizio: immaginare ricorsi contro tutte le principali norme approvate dalla maggioranza. E quindi ecco una pallottola contro il reddito di cittadinanza (se fosse solo per gli italiani), un'altra contro il raffreddamento dell'indicizzazione delle pensioni, fino al taglio dei vitalizi (un bel ricorso non si nega a nessuno), per arrivare a un pacchetto effettivamente borderline, e cioè quello grillino sulla giustizia (a partire dalla prescrizione). Anche qui, un gran minestrone di (molti) pretesti e di (pochissime) questioni vere, tipo l'ultima: ma l'essenziale è offrire frecce acuminate alla Corte costituzionale. La quale poi in alcuni casi fa da sé, come su eutanasia e fine vita. Anche qui (a prescindere dalle diverse opinioni possibili nel merito), a molti è parsa incredibile la recente pronuncia della Corte che, anziché decidere sul caso che era sul suo tavolo (magari dichiarando illegittime le norme esistenti), ha «ordinato» al legislatore di legiferare, dettando l'agenda alle Camere, fissando una scadenza temporale, travolgendo la separazione dei poteri. Ecco dunque il film dei prossimi mesi. Non si riesce a battere Matteo Salvini in campo aperto? Gli elettori non «collaborano»? E allora avanti con una valanga di ricorsi, per trasformare la Consulta nell'ultima trincea di un'opposizione che da sola non ce la fa. E il Capo dello Stato, che «abita» di fronte al Palazzo della Consulta e che, prima di entrare al Quirinale, era autorevole membro della Corte? C'è chi sussurra che questa evenienza potrebbe non dispiacergli: lui continuerebbe a firmare tutto (appellandosi al fatto che al presidente tocchi solo verificare che una norma non sia palesemente illegittima), senza sporcarsi le mani. Tanto poi ci pensa la Corte…