2018-12-10
«Volete ascoltare quelle tre piazze?»
Lo studioso del populismo Marco Revelli: «C'è un filo che lega le manifestazioni di queste ore: i gilet gialli in Francia, i No Tav a Torino e i leghisti a Roma. E mi stupisco che nessuno capisca quello che sta succedendo...»Professor Revelli, proviamo a raccontare cosa sta accadendo in Europa?«Vorrei partire dalle tre piazze del fine settimana: Parigi, Torino e Roma».Le tre piazze della protesta antisistema: gilet jaunes contro Emmanuel Macron, No Tav contro Sì Tav, salviniani contro Bruxelles. «Cominciamo da quella che le contiene tutte. Da vecchio intellettuale di sinistra sono disperato perché persino Il Manifesto pare non capire cosa accade in Francia». In che senso?«La dipinge come un'adunata di “brutti sporchi e cattivi". Come una Vandea di destra, punto». E invece? «Comincerei con il dire che lì il primo problema è Macron: mille arresti preventivi fanno paura».Viene giustificata come una misura di ordine pubblico. «Mille sovversivi? Mi sembrano troppi. Gli arresti preventivi sono un vecchio strumento del totalitarismo, come i fermi del regime fascista contro gli antifascisti prima delle adunate del Duce. E tuttavia...».Cosa? «Malgrado questo gli Champs Élysées erano pieni, gli studenti pur costretti a inginocchiarsi con le mani sulla nuca sono scesi in piazza, la rabbia è divampata. I manifestanti cantavano la Marsigliese davanti alla polizia. Incredibile». Come va letta questa rivolta? «La etichettano come populista e pensano di risolvere tutto con la condanna di una parola. A me pare la rivolta dei margini che si sollevano. La fibrillazione dei dimenticati, di coloro che sono messi al margine e che non accettano di stare nel posto in cui sono stati relegati». Può spiegare meglio? «Il vincolo del rigore secondo chi governa l'Europa dovrebbe essere la ricetta contro il populismo, e invece mi pare che ne sia diventato il principale fattore accelerante perché non ci sono risorse, e per mantenere il sistema bisogna tagliare. Così i pochi garantiti drenano risorse dalle periferie per conservare il loro benessere». I ricchi contro i poveri? «Esatto, senza quasi che i ricchi se ne accorgano, perché hanno perso la percezione del malessere altrui: e allora le periferie, i marginali, il ceto medio impoverito, tutti gli esclusi si sollevano, e occupano, sia metaforicamente che geograficamente, i salotti del centro, mettendoli a soqquadro». Esempio? «Prendi la rivolta dei gilet jaunes: Macron taglia spesa sanitaria e sociale, e poi pretende che i diesel dei più poveri paghino l'ecotassa a favore dei ricchi evoluti ed ecosensibili: follia pura». E quindi?«Quindi il cosiddetto populismo oggi è diventato una rivolta contro lo status quo. Contro l'equilibrio dissestato di un mondo che non tiene. E qui arriviamo a Torino». In che senso? «Sabato, sotto la Mole, le «Montagnine» della valle hanno risposto alle «Madamine» della buona borghesia sabauda. Le madamine avevano dietro i salotti, mentre le montagnine si sono portate dietro una piazza incredibile per quantità e per qualità. Da sciopero generale». Vuole dire che i secondi erano di più ed erano «migliori»? «Erano almeno il doppio. Un calderone pieno di molti mondi interessanti: una piazza ironica, affollata di tante cose diverse». Del tipo?«Vecchi e giovani, artigiani e smanettoni di internet. Da una parte c'era l'Ottocento, dall'altra il terzo millennio». Da cinque anni Marco Revelli sta studiando in maniera scientifica il cosiddetto «nuovo populismo». È un intellettuale di sinistra molto curioso, lontano da ogni collocazione di sistema, allergico ai cliché. E in queste ore il sociologo che studia le masse individua analogie tra piazze diversissime tra di loro. Perché?«Dietro a tutti i terremoti di questa stagione ci sono alcune aree geografiche ben collegate. E alcune costanti che si ripetono». Me ne dica una. «Se Macron vuole far pagare ai poveri l'ecologia dei ricchi, come si può simpatizzare con lui? Le nostre élite, inspiegabilmente, lo avevano salutato come un profeta». E in Italia? «Io considero questo un bruttissimo governo, spaventosamente di destra, soprattutto per il decreto sicurezza. Ma il mio problema è che mi ritrovo in maggior disaccordo con l'opposizione». Su cosa? «Non posso avere nulla a che vedere con chi tifa per lo spread, sperando che pieghi il governo». I grandi temi di questa manovra sono gli stessi della trattativa con l'Europa: quota 100 e reddito di cittadinanza. «Capisco che si possano avere mille obiezioni sul come si realizzano quelle misure. Ma, ancora, come potrei stare con quelli che non vogliono una benché minima redistribuzione delle risorse?».È il grande tema del congresso del Pd, che per ora costruisce la sua identità sull'opposizione a queste misure.«Temo che siamo ai titoli di coda di questa sinistra». Addirittura? Proprio da lei un giudizio così drastico? «Se devo essere sincero, sono convinto che oggi il Pd, così com'è sia diventato un ostacolo a qualsiasi ipotesi di cambiamento sociale». Come mai? «Per un dato di verità: questa lunga agonia dura dal 2013, precede il renzismo, ma con il renzismo la frattura con l'elettorato di sinistra è diventata insanabile». E non c'è via di uscita? «L'unica soluzione per il Pd potrebbe essere ripartire da zero, rifondarsi facendo da sponda al M5s. Ma vedo che il vice di Zingaretti, Smeriglio, è stato impallinato solo per averlo ventilato». Non crede nel ritorno a una ipotesi socialdemocratica nel Pd con il governatore del Lazio leader?«Temo che per questo sia tardi. E che non sia la cosa giusta. Nel momento in cui Zingaretti sembra ricostruire una cosa vecchia si rischia di arrivare a babbo morto». Perché lei non crede a un Pd neo-socialdemocratico? «Senta, sono diventati blairiani quando Blair aveva chiuso il suo ciclo da dieci anni, e con gli esiti che sappiamo. Adesso le pare brillante diventare socialdemocratici quando questa famiglia celebra il proprio funerale in Europa?». Torniamo alla protesta.«Si moltiplicano le linee di frattura: poveri contro ricchi, ovvio. Poi élite contro popolo. Poi garantiti contro precari. Ma in questo momento la frattura centro-periferia è sempre la più rilevante e riassume in sé tutte le altre». Perché la rottura avviene proprio in Francia? «In Italia il primo choc lo abbiamo già avuto, con il voto. E perché Macron ha provato a distruggere adesso i corpi intermedi. È la depauperazione del ceto medio l'innesco della rottura, ovunque». E su questo torniamo a Torino. «Ho scoperto che le madamine sono nate in uno studio notarile». Il notaio Ganelli. «Quando l'ho saputo pensavo a uno scherzo. Ha mai visto un movimento sociale che nasce con un contratto? Stipulato da un notaio bene della Torino che conta».E c'è qualcosa di male? «Nulla. Sennonché è una roba che profuma di Ottocento, di salotto e di restaurazione». Non le piacciono, vero? «Sono il salotto di nonna Speranza: piccole cose di pessimo gusto». Chi c'era in piazza? «Tutti i protagonisti di questa storia. Il nucleo valsusino e i giovani, grandi esclusi della modernità. Gli ex di sinistra che oggi votano tutto, dalla Lega al M5s, e molta borghesia artigiana. Poi precari, freelance, smanettoni internettiani». Non ci sono stati casseur. «Zero. Molta ironia, e nessuna violenza. Il messaggio dominante era: “Voi siete il passato, noi siamo il futuro". La piazza delle madamine aveva un'età media di settant'anni. Sabato almeno la metà». Cosa l'ha colpita di più? «L'intervento che nessun giornale ha raccontato. Quello del sindaco del paese francese dove stanno scavando il tunnel. Lì è sparita l'acqua: hanno intaccato le falde. Il tunnel ne intercetta 120 milioni di metri cubi, il consumo di Torino». Questo la preoccupa?«Abbastanza. Nella parte centrale del traforo la temperatura è a 50 gradi». Ed è grave? «Molto: significa che irroreremo fiume e valli di acqua calda. Ecco perché sono arrabbiato. Bisogna smetterla con le balle. In piazza non ci vanno trogloditi antimoderni, ma cittadini preoccupati che non si fidano delle loro bugie. E tendenzialmente fanno bene». Passiamo a Roma, e a Salvini. «Se i processi a sinistra solo quelli che abbiamo detto, temo che il grande fiume della protesta abbia un unico invaso dove sgorgare». Dice che è la Lega e non il M5s? «Il movimento paga l'inesperienza. Hanno ottime intenzioni ma grande difficoltà a realizzarle». E il Carroccio? «Gli unici che se la giocano mi pare che siano le destre». Cosa pensa di Salvini? «Se non fa errori avrà una chance. Mi pare affetto anche lui da una malattia grave di questi tempi, che è il narcisismo mediatico. Ovviamente non condivido nulla delle sue politiche su immigrati e sicurezza, e spero che finisca come Renzi. Ma mi pare immune dall'arroganza di Renzi. Più furbo». Cosa può riaprire la partita a sinistra? «Solo l'arrivo di un'altra classe dirigente, capace di capire che il margine non è solo arretratezza». Intende sia in termini politici che geografici? «Sì: il centro è ottocentesco. Il margine è estremo ma proiettato molto più avanti. Più vicino alla frontiera del cambiamento. E loro non hanno capito la cosa più importante: in tempi così burrascosi chi pensa di poter restaurare viene travolto».
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)