2019-09-23
Giordano Bruno Guerri: «Il grande pericolo è l’antifascismo»
Lo storico che presiede la fondazione Vittoriale: «Il rischio di fascismo non esiste, le minacce da temere sono altre. A cominciare da quella religione civile, imposta nel Dopoguerra, che ora resuscita fantasmi dal nulla...».Si evoca spesso - e con ragione - Renzo De Felice. Ma dovrebbe essere citato anche Giordano Bruno Guerri come l'altra figura che, rompendo un tabù, ha aperto la strada per una lettura del fascismo senza sconti, ma al tempo stesso fuori dalle categorie della «demonologia». Storico, scrittore, saggista, presidente della fondazione Vittoriale degli italiani, già direttore di giornali e curatore di rubriche televisive (indimenticabili - in edicola - il suo Indipendente e - in tv - la sua Italia mia benché): La Verità lo ha cercato per conversare su questo strano 2019 italiano, in cui c'è chi ripropone lo spauracchio del «ritorno al fascismo» come arma di distrazione.Il suo volume su Giuseppe Bottai compie 43 anni.«Il ruolo di De Felice resta fondamentale, merita ogni onore. Ma il mio saggio su Bottai uscì nel 1976, l'anno del volume di De Felice sugli anni del consenso. E la tesi di laurea da cui venne fuori l'ossatura del mio libro era del 1974, due anni prima. Proprio ora, 43 anni dopo, sta uscendo l'ennesima ristampa per gli Oscar Mondadori».Un miracolo per la saggistica storica.«Se De Felice ha scoperchiato il tema del consenso, il mio volume ha sciolto il nodo della cultura fascista: che è esistita, e non può essere negata. Come sono esistiti uomini capaci e colti, pur dentro la cornice del regime».Quanto la fa sorridere che, con Forza Nuova e Casapound che complessivamente non arrivano allo 0,8%, ci sia chi teme un imminente «ritorno al fascismo»? «Stanotte ho ultimato la stesura del progetto scientifico per una mostra al museo di Salò: ovviamente non celebrativa, ma critica e analitica. Non c'è nessun reale pericolo di “nostalgia" fascista nella società contemporanea. Più che il rimpianto per il fascismo, si assiste all'enfatizzazione dell'antifascismo, la nuova religione civile che fu imposta nel dopoguerra. Secondo la “legge degli estremi" di Jean Baudrillard, quando un fenomeno giunge al suo massimo si rovescia nell'opposto, per una dinamica interna e misteriosa superiore al fenomeno stesso: il recentissimo rigurgito di antifascismo di fronte a un “fascismo" che non è tale rischia di farlo rivivere, di dargli un nuovo senso. Invece di studiarlo per combatterlo meglio, riesce a dargli forza, a legittimarlo, a farlo esistere davvero».Che categorie vanno scomodate per questo tipo di evocazioni? Solo l'opportunismo politico? L'ignoranza? Una rimozione psicanalitica? «C'è tutto questo, ahimè: ignoranza, abitudine ad accettare le idee ricevute senza rianalizzarle, e direi soprattutto il trucco di agitare uno spauracchio per distrarre da altri problemi. Ma davvero qualcuno vede un pericolo nei quattro gatti di Casapound e Forza Nuova? Semmai, occorre guardare al dominio delle multinazionali digitali, o a un'Ue incombente che prende il sopravvento sugli Stati. E nemmeno per questi fenomeni parlerei di fascismo. Parlerei semmai di forme diverse di potere centralizzato e verticistico».Ma davvero qualcuno può pensare che il Matteo Salvini del 2019 stesse per instaurare una dittatura? Con tutti i giornali contro? L'accademia contro? Mezzo sistema televisivo contro? L'Ue contro? Sarebbe stata una ben strana dittatura…«Ma certo, lui stesso è il primo a saperlo. Devo dire però che è stata un errore la frase sul “potere assoluto". Sono convinto che intendesse “maggioranza assoluta"».Ecco, senza cadere nella banalizzazione opposta, non sarà che un rischio «fascista» ci sia nell'atteggiamento di un certo establishment? Se uno dice una parola di critica sull'Ue, pare che stia bestemmiando in chiesa. «Ditelo a me… Nel 1996 insieme con Ida Magli, nel libro Per una rivoluzione italiana, affrontavamo il tema di questa Europa, si parlava - in grande anticipo - degli extracomunitari. Quel libro fu ignorato, perché andava contro il politicamente corretto, contro ciò che alcuni ritenevano sacro».Immigrazione. Possibile che, se uno - come molti italiani - è favorevole all'immigrazione regolare, ma al tempo stesso è preoccupato dall'immigrazione irregolare e fuori controllo, debba essere trattato da razzista xenofobo? «È un assurdo giocato su una trappola emotiva. È ovvio che non bisogna permettere che degli esseri umani affoghino. Ma la soluzione non può essere quella di accoglierli tutti automaticamente».Non sarà che a certa sinistra e certo mondo intellettuale il popolo fa semplicemente schifo? «Con un semplice gioco delle tre carte, si trasforma il “popolo" in “populismo". Dicono di non avercela con il popolo, ma con chi lo manovra… Ma questi ultimi sono rappresentanti del popolo né più né meno di loro».Come giudica la demonizzazione generalizzata di molti fenomeni elettorali recenti, da Brexit a Donald Trump a Jair Bolsonaro? Scherzando (ma non troppo) ho parlato di un «protocollo» seguito da certe élite. Prima non capiscono, poi demonizzano i vincitori, poi danno degli analfabeti agli elettori…«La polemica verso gli esiti elettorali che sorprendono gli osservatori deriva dal fatto che la gente non è più sottoposta a una comunicazione unica, di tipo verticale e verticistico. Tutto si è frammentato grazie a Internet, tutti hanno a disposizione fonti diverse. Certo che, in questo quadro, possono affermarsi soluzioni emotive, più d'impatto, ma “è la democrazia, bellezza". Chi non gradisce abbia il coraggio di dirlo: che preferisce una svolta in senso oligarchico».Veniamo al fascismo. Non le pare incredibile che, 75 anni dopo, ancora lo si presenti come un monolite? Che tanti si rifiutino di distinguere, di discernere?«Gli storici hanno analizzato a fondo questo aspetto, spiegando che le cose stanno in modo diverso. Eppure non si è riusciti a cambiare la vulgata sul “monolite". A questo punto, delle due l'una: o molti non studiano, o si vuole ignorare questo risultato scientifico. Forse sono vere entrambe le cose: c'è chi non studia, e chi - pur sapendo - preferisce la versione tradizionale. Però diciamolo…».Che cosa?«Che la vera colpa degli studiosi, fino agli anni Settanta, fino a De Felice e al mio stesso volume, è stata quella di non aver cercato la verità. E 30 anni di vuoto sono un periodo immenso, in cui si è battuto sull'altra grancassa, affermando come verità ineccepibili cose che non lo erano. Se si prende la storia della Resistenza di Roberto Battaglia, la si può mettere in una specie di museo delle cere… L'ha dimostrato un altro storico di sinistra come Claudio Pavone, ma ci sono voluti 40 anni».Lo stesso 25 luglio dà una misura dello spessore politico e umano di una classe dirigente. Quando sono entrati a Palazzo Venezia, forse non sapevano se ne sarebbero usciti vivi.«Ma certo, il fascismo è stato abbattuto dai fascisti, dall'ala consapevole del fascismo».Saltiamo indietro nel tempo. Benito Mussolini come e quanto temeva Gabriele d'Annunzio e il suo carisma? Quanto c'era di politico e quanto di «fattore umano»?«Proprio il caso del “trattamento storico" di d'Annunzio è la prova provata di quanto abbiamo detto finora. Il regime per 20 anni batté sul concetto di “Fiume fascista", “d'Annunzio fascista" e così via. E non era vero, come sappiamo. Eppure l'Italia democratica, per lunghi anni dopo la caduta del fascismo, ha creduto alla versione di Mussolini».Rimettiamo le cose in ordine, allora.«Fino al 1919 d'Annunzio era immensamente più popolare e potente di Mussolini, che si presentava a lui come sottoposto... Poi, nel 1920 e più avanti, cominciò ad avere ambizioni di comando. Tradì d'Annunzio, rinviando continuamente una “marcia su Roma" per far cadere il governo, trattando con Giovanni Giolitti. Il punto è che Mussolini temeva il carisma di d'Annunzio. I rapporti tra i due uomini erano di reciproca diffidenza e disistima». Che cosa pensavano l'uno dell'altro?«Mussolini riteneva d'Annunzio un poeta esaltato e pericoloso. E d'Annunzio riteneva Mussolini un uomo rozzo e violento, a cui era riuscito ciò che non era riuscito a lui, cioè la conquista del potere. Mussolini sì tranquillizzò verso di lui solo nel 1925, a dittatura instaurata. Ma se ancora nel 1924, all'epoca del delitto Matteotti, d'Annunzio fosse - come diremmo oggi - “sceso in campo", molte cose sarebbero forse cambiate. In realtà, d'Annunzio era sfinito e disgustato».Fino alla morte.«Ecco, per certi versi si può dire che la sua “fortuna" sia stata quella di morire nel marzo del 1938. Non sappiamo come avrebbe reagito a ciò che venne dopo. Anche se…».Anche se?«Nei mesi scorsi, qui al Vittoriale, è stato girato un film, Il cattivo poeta, largamente ispirato ad alcuni miei libri, con un'ottima interpretazione di Sergio Castellitto, impostato sulla verità di un d'Annunzio antinazista, e che per questo non muore, ma viene ucciso. È un'ipotesi che pure è circolata».Spieghiamo ai nostri lettori perché non si può non visitare il Vittoriale.«Intanto, è un luogo meraviglioso, con 10 ettari di parco. E poi, nella casa di d'Annunzio, si entra nell'anima di un grande esteta. Di più: si viaggia nel tempo, si apre quella porta e si va al primo marzo del 1938».Vuole dare un consiglio ai protagonisti della politica di oggi?«Potrei dire: che leggano di più, che studino di più. Questo è fondamentale. Sulla situazione contingente, invece, anch'io come tutti non saprei come commentare: ormai mi aspetto qualunque cosa…».