2023-11-30
L’insicurezza causa la violenza sulle donne
Ci sono criminalizzazione e ridicolizzazione della figura maschile alla base dei più tragici episodi di cronaca. L’opinione pubblica è condizionata da un femminismo rabbioso pompato da quasi tutti i mezzi d’informazione. Con un obiettivo: rendere l’uomo fragile.Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione Si era in pieno regime «patriarcale» (oltre che fascista) quando Carlo Buti, negli anni Trenta del secolo scorso, cantava una canzone che ebbe grande successo ed è ancor oggi da qualcuno ricordata. Si intitolava Vivere senza malinconia e i primi versi erano i seguenti: «Oggi che bellissima giornata, che giornata di felicità, la mia bella donna se n’è andata, mi ha lasciato alfine in libertà». E si era ancora in regime «patriarcale», pur essendo venuto meno quello fascista, quando, negli anni Cinquanta, Teddy Reno, nel film Totò, Peppino e la malafemmina, cantava un’altra canzone di successo, intitolata Chella là. E «chella là» era una ragazza che si immaginava volesse lasciare il suo ragazzo e fosse convinta che ciò l’avrebbe indotto alla disperazione, per cui le si faceva sapere che, invece, lui se ne sarebbe trovata una più bella mentre la prima sarebbe stata destinata a restare zitella. Quanti si ostinano a vedere la causa remota dei «femminicidi» nella «cultura patriarcale», in cui l’uomo sarebbe stato abituato a pensare la donna come «cosa propria» e a trovare, quindi, naturale ucciderla piuttosto che perderla, dovrebbero allora chiedersi come mai, in quella cultura, canzoni come quelle anzidette fossero permesse e avessero successo. In realtà quelle canzoni erano espressione di una sicurezza che i maschi generalmente nutrivano allora in sé stessi e che li induceva sì ad assumere atteggiamenti di supremazia nei confronti della donna, ma anche a non temere di restare irrimediabilmente soli se una donna li avesse lasciati e a non considerare ciò come un’offesa al loro potere e al loro prestigio, dal momento che questi sarebbero stati facilmente recuperabili nei confronti di un’altra donna. Quel sentimento di sicurezza è, oggi, pressoché scomparso e non a causa soltanto (come invece molti pensano) dell’ormai acquisita parificazione della condizione femminile a quella maschile. Ad essa, infatti, il maschio si è, ormai, sostanzialmente adattato senza troppi rimpianti. La vera causa è, piuttosto, da ricercarsi soprattutto nella criminalizzazione e/o alla ridicolizzazione che la figura del maschio subisce ormai da decenni per opera di un femminismo rabbioso ed estremista, di per sé minoritario ma al quale fanno da compiacente cassa di risonanza, per interesse, per ignavia o per colpevole ignoranza, la maggior parte dei mezzi d’informazione, con conseguente condizionamento di buona parte dell’opinione pubblica.Si tratta di un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti e a conferma del quale basterebbe citare i recenti e documentatissimi scritti di Pascal Bruckner, Un colpevole quasi perfetto, e Giuliano Guzzo, Maschio, bianco, etero & cattolico. Frutto, più o meno consapevole, di tale fenomeno appaiono anche le decisioni giudiziarie che hanno più volte riconosciuto la sussistenza del reato di violenza sessuale presunta in casi nei quali la donna aveva, di fatto, acconsentito al rapporto con il maschio dopo essersi volontariamente ridotta in stato di ubriachezza, senza che peraltro fosse stata adoperata nei suoi confronti alcuna forma di violenza fisica o di minaccia. Ciò sull’assunto che quel consenso, a causa dell’ubriachezza, sarebbe stato da considerare invalido; principio, questo, che, però (a tacer d’altro), non potendo ritenersi applicabile, una volta enunciato, solo al «partner» di sesso femminile, comporta la necessaria, paradossale conseguenza che, in caso di rapporto sessuale tra maschio e femmina, entrambi in stato di ubriachezza, ciascuno dei due dovrebbe rispondere di violenza sessuale presunta nei confronti dell’altro dal momento che, per legge, lo stato di ubriachezza non esclude l’imputabilità.Sulla stessa linea si collocano altre pronunce secondo le quali si risponde di violenza sessuale (e il colpevole è pressoché necessariamente il «partner» di sesso maschile) anche quando si prosegue in un rapporto al quale l’altro «partner» abbia, inizialmente, prestato il proprio valido consenso ma lo abbia poi, nel corso del rapporto medesimo, per una qualsiasi ragione, ritirato. Se si vuole, però, a questo punto, andare all’origine remota del descritto fenomeno non è difficile vedere che, sotto parvenza di una giusta stigmatizzazione di ogni forma di gratuita violenza in danno delle donne, esso risponde anche e soprattutto a un diverso e inconfessato obiettivo: quello, cioè, di deprimere la naturale tendenza del maschio a cercare la propria gratificazione nel rapporto con l’altro sesso, anche in vista di quelle finalità riproduttive della cui realizzazione, tradizionalmente, il maschio andava poi orgoglioso. Finalità considerate, invece, altamente nocive dai movimenti ecologisti (ai quali non a caso aderiscono, di norma, quelli femministi), ossessionati come sono dal presunto pericolo della sovrapopolazione del globo e convinti, non pochi di essi, che la specie umana sia il «cancro del pianeta» per cui, alla fin fine, meglio sarebbe che sparisse del tutto. Non è senza significato, del resto, che al fenomeno in questione si accompagni non la sola accettazione ma la quasi esaltazione dell’omosessualità (che è prevalentemente maschile), come pure la ormai facile e generalizzata accessibilità a ogni forma di pornografia. Quest’ultima, in particolare, viene così a rappresentare, per un gran numero di maschi, un facile surrogato al normale appagamento dell’istinto sessuale la cui ricerca, oltre che più impegnativa, non è neppure scevra di pericoli.Tra questi, se la ricerca risulta appena appena connotata da una qualche insistenza nei confronti della persona oggetto d’interesse, va annoverato anche quello di una denuncia penale per il reato di «stalking», che da qualche anno figura tra quelli previsti dal codice penale; denuncia che magari sarà poi giudicata infondata, ma dalla quale deriveranno comunque, nel frattempo, fastidi, spese e patemi d’animo che è sempre meglio cercare di evitare. Non c’è, quindi, da stupirsi se tra i numerosi maschi resi in tal modo insicuri di sé e talora gravati da assurdi sensi di colpa per il solo fatto di ricercare un rapporto con una persona dell’altro sesso qualcuno, a fronte della prospettiva di perdere un tale rapporto dopo aver creduto di averlo, nonostante tutto, trovato, reagisca con violenza anche estrema nei confronti del «partner» dal quale si sente abbandonato e tradito. Il che non rappresenta, naturalmente, né una giustificazione né un’attenuazione della responsabilità ma offre soltanto una spiegazione della quale, se si volesse veramente ottenere un qualche utile risultato, sarebbe forse bene tener conto piuttosto che continuare a prendersela con l’innocuo fantasma dell’ormai defunto «patriarcato» al quale, perciò, si attaglierebbe soltanto il parce sepulto di virgiliana memoria.
Simona Marchini (Getty Images)