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2018-05-04
L’Ue aumenta le spese militari, poi ci bastona
ANSA
Ci sono molti motivi per i quali l'Europa dei tecnocrati teme un governo a trazione Lega con Matteo Salvini presidente del Consiglio, ma ce n'è uno che sfugge ai più e che è strettamente legato al »balon d'essai» di Jean Claude Juncker sul bilancio europeo 2020/2027. Si discute adesso e approfittando del fatto che l'Italia in Europa è mal rappresentata, e in più ora non ha neanche un governo, si stanno affrettando a tagliare le fette della torta europea in modo che a noi tocchino le briciole. E la Lega che c'entra? Spieghiamolo. La riprofilatura del bilancio Ue che piace praticamente a nessuno tranne che alla Germania prevede che alle regioni del Nord Italia non andrà più neppure un euro e che l'agricoltura italiana perderà nei sette anni della nuova programmazione europea all'incirca 19 miliardi. Compensati in minima parte da un aumento dei contributi per l'immigrazione.
Juncker è convinto che all'Italia si addica lo schema di Salvatore Buzzi, il gran capo della cooperativa 29 giugno, finanziatore del Pd e alto dirigente della lega delle Coop rosse finito in manette per Mafia capitale, trafficante d'immigrati. Vogliono tenerci buoni pagando un po' di spese per l'accoglienza dei sedicenti profughi togliendo però soldi ai fondi agricoli e a quelli di coesione che servono a riequilibrare lo sviluppo tra le diverse aree dell'Europa. Ebbene nel nuovo schema di bilancio presentato da Juncker e dal commissario Gunther Oettinger che sta sempre bene attento a non scontentare frau Angela Merkel la sforbiciata più consistente è proprio sui fondi di coesione e su quelli agricoli. Attenzione: non a tutti i fondi agricoli, ma a quelli che interessano di più i Paesi mediterranei. La Polonia non perderebbe nulla nella nuova Pac, così la Germania che avrebbe un taglio percentualmente inferiore a quello dell'Italia potendo combinare gli aiuti agricoli a quelli dei fondi di perequazione. Per paradosso l'Italia è penalizzata dal fatto di avere il maggior Pil agricolo nelle regioni più ricche e la doppia sforbiciata sui contributi verdi e a quelli di coesione finisce per amplificare l'effetto delle restrizioni che tolgono soldi alle regioni agricole ricche e stanziamenti alle regioni del Sud che di più potevano attingere ai fondi di coesione.
Il taglio per i contributi agricoli dovrebbe essere di oltre il 15%, oltre il 20% quello sui fondi di coesione. Risultato: l'Italia nel settennato perderebbe circa 40 miliardi e le regioni del Nord di fatto sparirebbero dalla lista dei beneficiari europei. È di tutta evidenza che un governo italiano a trazione leghista diventerebbe assai scomodo per chi sta disegnando questo profilo di bilancio europeo (gravato anche dal venir meno dei 10 miliardi della Gran Bretagna che dopo Brexit non verserebbe ovviamente più neppure un euro nelle casse europee).
Ma a leggere bene le idee di Juncker si capisce che ce l'ha proprio con i Paesi mediterranei. La prima misura cancellata sarebbe quella relativa all'Ocm vino (gli aiuti all'export del vino), la seconda quella dei fondi per lo sviluppo rurale che sarebbero assorbiti dai fondi a vantaggio dell'ambiente. Giova ricordare che sul cosiddetto greening si giocò già nella passata Pac una partita assai delicata visto che l'Europa considerava ecologici e dunque finanziabili i pascoli del Nord, ma non gli ulivi del Mediterraneo. Una terza pesante penalizzazione alle produzioni agricole italiane verrebbe dalla rimodulazione dei Psr, i piani di sviluppo rurale, che diventerebbero non più esclusivi, ma concorrenti con i fondi di coesione. Insomma: o i soldi li prendi perché devi riequilibrare lo sviluppo con le altre economie o li prendi come sostegno all'agricoltura, ma non puoi prenderli su due assi di spesa. L'Italia dovrebbe così restituire con gli interessi l'aumento di contributi che sui Psr aveva strappato con la nuova Pac (da poco meno di 9 a 10,4 miliardi di fondi europei per i Psr che con il cofinanziamento nazionale arrivano a mobilitare oltre 20 miliardi) e che sono soldi a disposizione delle regioni, di tutte le regioni per sviluppare i territori e le produzioni agricole.
A fronte di questi tagli impressionanti però l'Europa non fa nulla per difendere le produzioni italiane. Dalle etichette che hanno dato il via libera all'italian sounding (vale 70 miliardi di euro l'imitazione del prodotto italiano, di più di tutto il nostro Pil agricolo che è di poco superiore ai 60 miliardi) smentendo la protezione dei marchi europei Dop e Igp e svelando come le promesse del ministro agricolo del Pd, Maurizio Martina, sull'etichettatura di origine fossero delle foglie di fico, al via libera all'importazione senza dazio dell'olio tunisino non più contingentato, dei pomodori del Nord Africa e del concentrato di pomodoro cinese, della frutta del Maghreb e turca, del riso cambogiano e thailandese, dei grani nordamericani. Proprio le politiche di diplomazia commerciale europee sono quelle più dannose per noi. Basti dire che l'olio tunisino importato senza più né dazi né limiti finisce per essere intermediato dagli spagnoli che lo confezionano usando marchi italiani e fanno dumping alle nostre produzioni.
Però è anche vero che l'Italia ha le sue responsabilità. Certo, la latitanza a Bruxelles non ci aiuta, ma anche il fatto che le Regioni italiane spendono appena il 58% dei contributi che ricevono autorizza l'Europa a stringere i cordoni della borsa. E a tifare contro la Lega perché le Regioni meno efficienti nell'utilizzare i soldi di Bruxelles sono proprio quelle del Sud. Un motivo in più per usare le forbici solo con l'Italia.
Carlo Cambi
Moscovici minaccia l’Italia se non fa il governo pro Ue
Ieri, la Commissione europea ha presentato le stime economiche per la primavera 2018. Per l'Italia, in verità, non ci sono novità sostanziali: sono anni che il nostro Paese si conferma fanalino di coda d'Europa quanto ai dati sulla crescita, mentre il deficit rimane stabile, l'occupazione aumenta timidamente e il debito pubblico dovrebbe scendere al di sotto del 130% del Pil entro il 2019. L'esecutivo Ue, però, ha colto l'occasione per lanciare una stoccata al nostro Paese: «L'incertezza sulle politiche», secondo la Commissione, «se prolungata, potrebbe rendere i mercati più volatili».
Pure il Commissario per gli affari economici e monetari, Pierre Moscovici, è entrato a gamba tesa sulle consultazioni italiane per la formazione del nuovo governo. Eppure, è difficile ipotizzare che la nostra situazione sia peggiorata molto rispetto alla metà di marzo, quando lo stesso Moscovici assicurava di non voler esprimere «alcuna forma di inquietudine politica» in seguito all'esito delle elezioni, smentendo così il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, secondo il quale il suo omologo europeo avrebbe considerato l'Italia una «fonte di incertezza». Nella conferenza stampa di ieri, invece, Moscovici è arrivato a lamentare che gli sforzi del nostro Paese in termini di riforme strutturali, nel 2018, «sono pari a zero», rinviando ulteriori considerazioni al pacchetto di misure che sarà presentato il 23 maggio prossimo.
Il Commissario Ue si è rimangiato le radiose previsioni che aveva formulato in autunno, quando affermò che l'Italia era «sulla buona strada», favorita da una «ripresa vera»? Il punto è che gli eurocrati paiono essere proprio allergici ai riti democratici: a gennaio, Moscovici aveva definito il voto italiano un rischio per l'Europa. All'inizio della scorsa settimana, invece, il francese si era scagliato contro l'estrema destra, che in Italia sarebbe rappresentata da Matteo Salvini. Il contesto in cui Moscovici aveva espresso preoccupazione per l'avanzata dei «populisti» era un incontro a porte chiuse, ma le sue dichiarazioni, prontamente riportate dal Corriere della Sera, dimostrano quale sia la più grande premura di Bruxelles: tenere fuori da Palazzo Chigi le forze politiche che contestano la governance dell'eurozona, assicurandosi un altro governo di fedeli esecutori. E agitare lo spauracchio dei «mercati volatili», evocando magari la tempesta dello spread, è uno strumento funzionale allo scopo, anche a costo di apparire grotteschi, paventando disastri finanziari per un Paese che, solo fino a due mesi fa, era considerato sì malato, ma in via di guarigione.
Le carte sulle quali può puntare la Commissione europea sono diverse. Lo scenario che sul breve termine sarebbe più rassicurante, probabilmente, è un «governissimo» che includa tutte le forze politiche, annacqui i programmi più radicali e garantisca che l'Italia metta in cantiere i provvedimenti necessari a rispettare i parametri di finanza pubblica. Un'ipotesi che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, avendo registrato l'inamovibilità dei partiti e preoccupato dall'incombente aumento dell'Iva, previsto dalle clausole di salvaguardia, starebbe seriamente prendendo in considerazione.
Ma a Bruxelles potrebbero giocarsi il jolly, confidando nella tanto discussa alleanza tra Partito democratico e Movimento 5 stelle. Questa prospettiva escluderebbe i leghisti dal governo e potrebbe permettere agli eurocrati di neutralizzare definitivamente ogni rimasuglio di euroscetticismo tra i pentastellati, già in piena svolta moderata. In fondo, i grillini si sono più volte dimostrati propensi a rientrare nei ranghi, come quando tentarono l'ingresso nel gruppo dei liberali dell'Alde all'Europarlamento, o quando votarono contro Milano per il trasferimento dell'Agenzia del farmaco. Commissariare il partito populista numericamente più consistente d'Europa sarebbe un indubbio successo per Jean Claude Juncker e soci, visto che l'Unione europea, per il periodo 2021-2027, sta preparando un bilancio tutt'altro che vantaggioso per l'Italia.
Nel peggiore dei casi, un eventuale governo del centrodestra con appoggio esterno dei dem finirebbe con lo stemperare i propositi di Salvini, consentendo all'Europa di fare leva sia su Forza Italia sia sulle manciate di voti del Pd, per impedire al nostro Paese di sottrarsi troppo ai diktat di Bruxelles.
Quali che siano i veri auspici della Commissione e di Moscovici, dalle velate minacce rivolte all'Italia emerge un dato incontrovertibile: l'insofferenza dell'esecutivo europeo nei confronti della democrazia e delle geometrie della politica, che hanno i loro tempi e i loro inconvenienti. Per gli eurocrati, tutto deve procedere al ritmo dei «mercati» e delle esigenze macroeconomiche stabilite da Bce e Fondo monetario. L'ex premier Mario Monti, pupillo dell'establishment europeista, ebbe modo di spiegacelo con tutto il candore di chi si sente al di sopra del giudizio popolare: questa Europa è nata per rimanere «al riparo dai processi elettorali».
Alessandro Rico
Difesa, spese aumentate del 40% e un progetto per missioni extra Ue

LaPresse
L'Unione europea mette a punto la sua macchina da guerra. Nella bozza di budget presentata ieri dalla Commissione c'è una voce che salta all'occhio, quella relativa alle spese per la sicurezza e la difesa. Per il periodo 2021-2027 sono previsti stanziamenti per complessivi 27,5 miliardi di euro, una cifra ancora relativamente contenuta rispetto agli altri capitoli di spesa ma in forte ascesa rispetto al precedente bilancio. Le spese per la difesa aumentano infatti ben del 40%. La decisione di ampliare la dotazione per le spese militari rappresenta un ulteriore tassello nella costruzione di una forza europea di intervento comune.
Circa metà dell'importo complessivo (13 miliardi) verrà destinata al Fondo europeo per la difesa, al fine di «integrare e catalizzare la spesa nazionale nella ricerca e nello sviluppo delle capacità». Il Fondo per la difesa è stato istituito dalla Commissione nel giugno 2017 con lo scopo di «aiutare gli Stati membri ad utilizzare il denaro dei contribuenti in modo più efficiente, ridurre le duplicazioni della spesa e ottenere il miglior rapporto qualità/prezzo nella spesa sostenuta». Annunciato dal presidente Jean Claude Juncker a settembre del 2016, è stato avallato dal Consiglio europeo nel dicembre successivo. Lo stanziamento al Fondo si divide in due tranche, una da 4,1 miliardi finalizzata alla ricerca sulle nuove tecnologie come i robot e i droni. Gli altri 8,9 miliardi serviranno per la realizzazione di artiglieria pesante, dai carri armati agli elicotteri. «L'Unione europea sta intensificando il proprio contributo per la sicurezza e difesa collettiva», ha commentato la Commissione in relazione alla decisione di destinare al Fondo per la difesa buona parte del budget in questo settore.
Ma i piani di Bruxelles non si fermano qui. La Commissione ha annunciato lo stanziamento di 6,5 miliardi che andranno a finanziare il piano d'azione per la mobilità militare (Apmm), un'iniziativa presentata a fine marzo che serve a facilitare gli spostamenti delle truppe e delle risorse militari. In poche parole, l'Apmm nasce per velocizzare il trasferimento di contingenti e mezzi nel caso di incursione da parte di una potenza straniera all'interno del territorio dell'Ue ma anche per creare una maggiore sinergia in caso di missioni in Paesi esterni all'Unione. Un progetto definito anche la «Schengen militare» lanciato nell'ambito della Pesco, la struttura permanente per la cooperazione nella difesa alla quale lo scorso novembre da 23 Paesi hanno aderito tutti i paesi dell'Ue tranne la Danimarca, Malta e il Regno Unito. A dicembre l'accordo sulla mobilità è stato salutato da Juncker come un passo importante per «gettare le basi per la fondazione di una difesa comune dell'Unione Europea». Sulla carta la Pesco è complementare alla Nato, ma Washington guarda con sospetto all'iniziativa europea, preoccupata che possa intralciare le attività dell'alleanza atlantica. «Monitoriamo con attenzione le future mosse della Pesco», ha riferito l'ambasciatore americano alla Nato, Kay Bailey Hutchison, «poiché potrebbe diventare un punto di rottura della nostra forte alleanza».
Non bisogna dimenticare però che il budget proposto dalla Commissione deve ancora passare il vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, e in ogni caso si parla di progetti che vedranno la luce nel prossimo decennio. Emmanuel Macron non ci sta e insiste per mettere in campo azioni concrete già nell'immediato. Per questo motivo ha messo in piedi negli scorsi mesi un progetto denominato «European intervention initiative» (iniziativa d'intervento europea) per riunire tutti quei Paesi che, al pari della Francia, intendono realizzare una difesa comune. Un'alleanza di fatto parallela alla Pesco che vede nel novero anche il Regno Unito, estromesso d'ufficio dai progetti europei a causa della Brexit. Secondo le indiscrezioni riportate da Politico, a giugno i ministri della difesa di Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio, Portogallo, Danimarca ed Estonia firmeranno una lettera di intenti per mettere nero su bianco la volontà di una pianificazione comune.
L'allungo di Macron non è semplice strategia militare, ma tradisce l'ambizione del presidente francese di guidare l'importante partita per la difesa europea. Velleità che ovviamente non piacciono a Berlino, che nel frattempo rimane a guardare in attesa di comprendere quanta strada può fare il giocattolo del presidente francese.
Antonio Grizzuti
«Leggi imposte, tasse e privilegi. Questo sistema fa solo ricatti»
Marco Zanni è un europarlamentare della Lega, dove è approdato dal M5s. Bocconiano, sostiene lo smantellamento concordato dell'eurozona.
Zanni, in Italia si parla tanto di spending review, ma nel frattempo in Europa la Commissione aumenta i fondi per le spese amministrative.
«Le spese amministrative sono scandalosamente aumentate di oltre il 20%, passando da 70 miliardi a 85 miliardi di euro, nonostante l'uscita di un Paese con tutti i suoi funzionari. A pesare per quasi 20 miliardi sono due sole voci, le scuole europee e le pensioni degli ex euroburocrati. Noi abbiamo le scuole che cadono a pezzi, mentre per i figli dei funzionari europei, sono previste agevolazioni e supporti diretti. Le pensioni poi sono un altro capitolo vergognoso: nessuno ha il coraggio di dire che coloro che impongono le varie riforme pensionistiche nei diversi Paesi, vedi legge Fornero, hanno in realtà assurdi privilegi, con corposi assegni mensili, laute indicizzazioni e a volte sono perfino pagati per non lavorare, in attesa di essere collocati in pensione».
Che idea si è fatto nel complesso della bozza di budget 2021-2027 presentata lunedì?
«A mio avviso è gravissimo il potere che assume Bruxelles, da un lato imponendo nuove tasse, attraverso le cosiddette “risorse proprie"», che altro non sono che nuovi oneri che graveranno su cittadini e imprese, dall'altro condizionando l'erogazione di fondi al principio di “rule of law" - vedi i casi di Ungheria e Polonia - e all'imposizione di riforme economiche e sociali, che distruggeranno quel poco di autonomia e potere decisionale che ci è rimasto».
Quali iniziative intendete portare avanti al Parlamento europeo in merito alle criticità evidenziate?
«Non accetteremo che Bruxelles ci imponga nuove tasse né che ci condizioni: questo quadro finanziario è pensato proprio per incrementare il potere di ricatto della Commissione europea, speriamo di essere presto al governo per bloccare tutto questo. Nel frattempo lavoreremo perché più competenze tornino in capo a Stati membri e affinché il Quadro finanziario pluriennale diventi uno strumento ridotto per dotazione e che sia focalizzato veramente solo su quelle cose dove ci siano comprovato interesse comune e reale valore aggiunto europei».
Antonio Grizzuti
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Tagli pesanti all'agricoltura. Se approvato, il bilancio presentato da Jean Claude Juncker in sette anni farà perdere all'Italia 19 miliardi e alle Regioni del Nord non andrà più un euro. Penalizzati del 20% i fondi di coesione. In cambio spiccioli per l'immigrazione.Il commissario all'Economia, Pierre Moscovici, che ci riteneva sulla buona strada, ora parla di Paese a rischio. Obiettivo: tenere lontane da Palazzo Chigi le forze contro l'eurogovernance.Previsti stanziamenti per 27,5 miliardi nel periodo 2021-2027 e una «Schengen militare» per velocizzare il trasporto di contingenti e mezzi. Ma il presidente francese Emmanuel Macron vuole iniziative d'intervento immediato.Intervista con l'eurodeputato leghista Marco Zanni: «Leggi imposte, tasse e privilegi. Questo sistema fa solo ricatti».Lo speciale contiene quattro articoli.Ci sono molti motivi per i quali l'Europa dei tecnocrati teme un governo a trazione Lega con Matteo Salvini presidente del Consiglio, ma ce n'è uno che sfugge ai più e che è strettamente legato al »balon d'essai» di Jean Claude Juncker sul bilancio europeo 2020/2027. Si discute adesso e approfittando del fatto che l'Italia in Europa è mal rappresentata, e in più ora non ha neanche un governo, si stanno affrettando a tagliare le fette della torta europea in modo che a noi tocchino le briciole. E la Lega che c'entra? Spieghiamolo. La riprofilatura del bilancio Ue che piace praticamente a nessuno tranne che alla Germania prevede che alle regioni del Nord Italia non andrà più neppure un euro e che l'agricoltura italiana perderà nei sette anni della nuova programmazione europea all'incirca 19 miliardi. Compensati in minima parte da un aumento dei contributi per l'immigrazione. Juncker è convinto che all'Italia si addica lo schema di Salvatore Buzzi, il gran capo della cooperativa 29 giugno, finanziatore del Pd e alto dirigente della lega delle Coop rosse finito in manette per Mafia capitale, trafficante d'immigrati. Vogliono tenerci buoni pagando un po' di spese per l'accoglienza dei sedicenti profughi togliendo però soldi ai fondi agricoli e a quelli di coesione che servono a riequilibrare lo sviluppo tra le diverse aree dell'Europa. Ebbene nel nuovo schema di bilancio presentato da Juncker e dal commissario Gunther Oettinger che sta sempre bene attento a non scontentare frau Angela Merkel la sforbiciata più consistente è proprio sui fondi di coesione e su quelli agricoli. Attenzione: non a tutti i fondi agricoli, ma a quelli che interessano di più i Paesi mediterranei. La Polonia non perderebbe nulla nella nuova Pac, così la Germania che avrebbe un taglio percentualmente inferiore a quello dell'Italia potendo combinare gli aiuti agricoli a quelli dei fondi di perequazione. Per paradosso l'Italia è penalizzata dal fatto di avere il maggior Pil agricolo nelle regioni più ricche e la doppia sforbiciata sui contributi verdi e a quelli di coesione finisce per amplificare l'effetto delle restrizioni che tolgono soldi alle regioni agricole ricche e stanziamenti alle regioni del Sud che di più potevano attingere ai fondi di coesione. Il taglio per i contributi agricoli dovrebbe essere di oltre il 15%, oltre il 20% quello sui fondi di coesione. Risultato: l'Italia nel settennato perderebbe circa 40 miliardi e le regioni del Nord di fatto sparirebbero dalla lista dei beneficiari europei. È di tutta evidenza che un governo italiano a trazione leghista diventerebbe assai scomodo per chi sta disegnando questo profilo di bilancio europeo (gravato anche dal venir meno dei 10 miliardi della Gran Bretagna che dopo Brexit non verserebbe ovviamente più neppure un euro nelle casse europee). Ma a leggere bene le idee di Juncker si capisce che ce l'ha proprio con i Paesi mediterranei. La prima misura cancellata sarebbe quella relativa all'Ocm vino (gli aiuti all'export del vino), la seconda quella dei fondi per lo sviluppo rurale che sarebbero assorbiti dai fondi a vantaggio dell'ambiente. Giova ricordare che sul cosiddetto greening si giocò già nella passata Pac una partita assai delicata visto che l'Europa considerava ecologici e dunque finanziabili i pascoli del Nord, ma non gli ulivi del Mediterraneo. Una terza pesante penalizzazione alle produzioni agricole italiane verrebbe dalla rimodulazione dei Psr, i piani di sviluppo rurale, che diventerebbero non più esclusivi, ma concorrenti con i fondi di coesione. Insomma: o i soldi li prendi perché devi riequilibrare lo sviluppo con le altre economie o li prendi come sostegno all'agricoltura, ma non puoi prenderli su due assi di spesa. L'Italia dovrebbe così restituire con gli interessi l'aumento di contributi che sui Psr aveva strappato con la nuova Pac (da poco meno di 9 a 10,4 miliardi di fondi europei per i Psr che con il cofinanziamento nazionale arrivano a mobilitare oltre 20 miliardi) e che sono soldi a disposizione delle regioni, di tutte le regioni per sviluppare i territori e le produzioni agricole. A fronte di questi tagli impressionanti però l'Europa non fa nulla per difendere le produzioni italiane. Dalle etichette che hanno dato il via libera all'italian sounding (vale 70 miliardi di euro l'imitazione del prodotto italiano, di più di tutto il nostro Pil agricolo che è di poco superiore ai 60 miliardi) smentendo la protezione dei marchi europei Dop e Igp e svelando come le promesse del ministro agricolo del Pd, Maurizio Martina, sull'etichettatura di origine fossero delle foglie di fico, al via libera all'importazione senza dazio dell'olio tunisino non più contingentato, dei pomodori del Nord Africa e del concentrato di pomodoro cinese, della frutta del Maghreb e turca, del riso cambogiano e thailandese, dei grani nordamericani. Proprio le politiche di diplomazia commerciale europee sono quelle più dannose per noi. Basti dire che l'olio tunisino importato senza più né dazi né limiti finisce per essere intermediato dagli spagnoli che lo confezionano usando marchi italiani e fanno dumping alle nostre produzioni.Però è anche vero che l'Italia ha le sue responsabilità. Certo, la latitanza a Bruxelles non ci aiuta, ma anche il fatto che le Regioni italiane spendono appena il 58% dei contributi che ricevono autorizza l'Europa a stringere i cordoni della borsa. E a tifare contro la Lega perché le Regioni meno efficienti nell'utilizzare i soldi di Bruxelles sono proprio quelle del Sud. Un motivo in più per usare le forbici solo con l'Italia.Carlo Cambi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/leuropa-falcia-la-nostra-agricoltura-2565608943.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="moscovici-minaccia-litalia-se-non-fa-il-governo-pro-ue" data-post-id="2565608943" data-published-at="1765244866" data-use-pagination="False"> Moscovici minaccia l’Italia se non fa il governo pro Ue Ieri, la Commissione europea ha presentato le stime economiche per la primavera 2018. Per l'Italia, in verità, non ci sono novità sostanziali: sono anni che il nostro Paese si conferma fanalino di coda d'Europa quanto ai dati sulla crescita, mentre il deficit rimane stabile, l'occupazione aumenta timidamente e il debito pubblico dovrebbe scendere al di sotto del 130% del Pil entro il 2019. L'esecutivo Ue, però, ha colto l'occasione per lanciare una stoccata al nostro Paese: «L'incertezza sulle politiche», secondo la Commissione, «se prolungata, potrebbe rendere i mercati più volatili». Pure il Commissario per gli affari economici e monetari, Pierre Moscovici, è entrato a gamba tesa sulle consultazioni italiane per la formazione del nuovo governo. Eppure, è difficile ipotizzare che la nostra situazione sia peggiorata molto rispetto alla metà di marzo, quando lo stesso Moscovici assicurava di non voler esprimere «alcuna forma di inquietudine politica» in seguito all'esito delle elezioni, smentendo così il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, secondo il quale il suo omologo europeo avrebbe considerato l'Italia una «fonte di incertezza». Nella conferenza stampa di ieri, invece, Moscovici è arrivato a lamentare che gli sforzi del nostro Paese in termini di riforme strutturali, nel 2018, «sono pari a zero», rinviando ulteriori considerazioni al pacchetto di misure che sarà presentato il 23 maggio prossimo. Il Commissario Ue si è rimangiato le radiose previsioni che aveva formulato in autunno, quando affermò che l'Italia era «sulla buona strada», favorita da una «ripresa vera»? Il punto è che gli eurocrati paiono essere proprio allergici ai riti democratici: a gennaio, Moscovici aveva definito il voto italiano un rischio per l'Europa. All'inizio della scorsa settimana, invece, il francese si era scagliato contro l'estrema destra, che in Italia sarebbe rappresentata da Matteo Salvini. Il contesto in cui Moscovici aveva espresso preoccupazione per l'avanzata dei «populisti» era un incontro a porte chiuse, ma le sue dichiarazioni, prontamente riportate dal Corriere della Sera, dimostrano quale sia la più grande premura di Bruxelles: tenere fuori da Palazzo Chigi le forze politiche che contestano la governance dell'eurozona, assicurandosi un altro governo di fedeli esecutori. E agitare lo spauracchio dei «mercati volatili», evocando magari la tempesta dello spread, è uno strumento funzionale allo scopo, anche a costo di apparire grotteschi, paventando disastri finanziari per un Paese che, solo fino a due mesi fa, era considerato sì malato, ma in via di guarigione. Le carte sulle quali può puntare la Commissione europea sono diverse. Lo scenario che sul breve termine sarebbe più rassicurante, probabilmente, è un «governissimo» che includa tutte le forze politiche, annacqui i programmi più radicali e garantisca che l'Italia metta in cantiere i provvedimenti necessari a rispettare i parametri di finanza pubblica. Un'ipotesi che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, avendo registrato l'inamovibilità dei partiti e preoccupato dall'incombente aumento dell'Iva, previsto dalle clausole di salvaguardia, starebbe seriamente prendendo in considerazione. Ma a Bruxelles potrebbero giocarsi il jolly, confidando nella tanto discussa alleanza tra Partito democratico e Movimento 5 stelle. Questa prospettiva escluderebbe i leghisti dal governo e potrebbe permettere agli eurocrati di neutralizzare definitivamente ogni rimasuglio di euroscetticismo tra i pentastellati, già in piena svolta moderata. In fondo, i grillini si sono più volte dimostrati propensi a rientrare nei ranghi, come quando tentarono l'ingresso nel gruppo dei liberali dell'Alde all'Europarlamento, o quando votarono contro Milano per il trasferimento dell'Agenzia del farmaco. Commissariare il partito populista numericamente più consistente d'Europa sarebbe un indubbio successo per Jean Claude Juncker e soci, visto che l'Unione europea, per il periodo 2021-2027, sta preparando un bilancio tutt'altro che vantaggioso per l'Italia. Nel peggiore dei casi, un eventuale governo del centrodestra con appoggio esterno dei dem finirebbe con lo stemperare i propositi di Salvini, consentendo all'Europa di fare leva sia su Forza Italia sia sulle manciate di voti del Pd, per impedire al nostro Paese di sottrarsi troppo ai diktat di Bruxelles. Quali che siano i veri auspici della Commissione e di Moscovici, dalle velate minacce rivolte all'Italia emerge un dato incontrovertibile: l'insofferenza dell'esecutivo europeo nei confronti della democrazia e delle geometrie della politica, che hanno i loro tempi e i loro inconvenienti. Per gli eurocrati, tutto deve procedere al ritmo dei «mercati» e delle esigenze macroeconomiche stabilite da Bce e Fondo monetario. L'ex premier Mario Monti, pupillo dell'establishment europeista, ebbe modo di spiegacelo con tutto il candore di chi si sente al di sopra del giudizio popolare: questa Europa è nata per rimanere «al riparo dai processi elettorali». Alessandro Rico <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/leuropa-falcia-la-nostra-agricoltura-2565608943.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="difesa-spese-aumentate-del-40-e-un-progetto-per-missioni-extra-ue" data-post-id="2565608943" data-published-at="1765244866" data-use-pagination="False"> Difesa, spese aumentate del 40% e un progetto per missioni extra Ue LaPresse L'Unione europea mette a punto la sua macchina da guerra. Nella bozza di budget presentata ieri dalla Commissione c'è una voce che salta all'occhio, quella relativa alle spese per la sicurezza e la difesa. Per il periodo 2021-2027 sono previsti stanziamenti per complessivi 27,5 miliardi di euro, una cifra ancora relativamente contenuta rispetto agli altri capitoli di spesa ma in forte ascesa rispetto al precedente bilancio. Le spese per la difesa aumentano infatti ben del 40%. La decisione di ampliare la dotazione per le spese militari rappresenta un ulteriore tassello nella costruzione di una forza europea di intervento comune. Circa metà dell'importo complessivo (13 miliardi) verrà destinata al Fondo europeo per la difesa, al fine di «integrare e catalizzare la spesa nazionale nella ricerca e nello sviluppo delle capacità». Il Fondo per la difesa è stato istituito dalla Commissione nel giugno 2017 con lo scopo di «aiutare gli Stati membri ad utilizzare il denaro dei contribuenti in modo più efficiente, ridurre le duplicazioni della spesa e ottenere il miglior rapporto qualità/prezzo nella spesa sostenuta». Annunciato dal presidente Jean Claude Juncker a settembre del 2016, è stato avallato dal Consiglio europeo nel dicembre successivo. Lo stanziamento al Fondo si divide in due tranche, una da 4,1 miliardi finalizzata alla ricerca sulle nuove tecnologie come i robot e i droni. Gli altri 8,9 miliardi serviranno per la realizzazione di artiglieria pesante, dai carri armati agli elicotteri. «L'Unione europea sta intensificando il proprio contributo per la sicurezza e difesa collettiva», ha commentato la Commissione in relazione alla decisione di destinare al Fondo per la difesa buona parte del budget in questo settore. Ma i piani di Bruxelles non si fermano qui. La Commissione ha annunciato lo stanziamento di 6,5 miliardi che andranno a finanziare il piano d'azione per la mobilità militare (Apmm), un'iniziativa presentata a fine marzo che serve a facilitare gli spostamenti delle truppe e delle risorse militari. In poche parole, l'Apmm nasce per velocizzare il trasferimento di contingenti e mezzi nel caso di incursione da parte di una potenza straniera all'interno del territorio dell'Ue ma anche per creare una maggiore sinergia in caso di missioni in Paesi esterni all'Unione. Un progetto definito anche la «Schengen militare» lanciato nell'ambito della Pesco, la struttura permanente per la cooperazione nella difesa alla quale lo scorso novembre da 23 Paesi hanno aderito tutti i paesi dell'Ue tranne la Danimarca, Malta e il Regno Unito. A dicembre l'accordo sulla mobilità è stato salutato da Juncker come un passo importante per «gettare le basi per la fondazione di una difesa comune dell'Unione Europea». Sulla carta la Pesco è complementare alla Nato, ma Washington guarda con sospetto all'iniziativa europea, preoccupata che possa intralciare le attività dell'alleanza atlantica. «Monitoriamo con attenzione le future mosse della Pesco», ha riferito l'ambasciatore americano alla Nato, Kay Bailey Hutchison, «poiché potrebbe diventare un punto di rottura della nostra forte alleanza». Non bisogna dimenticare però che il budget proposto dalla Commissione deve ancora passare il vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, e in ogni caso si parla di progetti che vedranno la luce nel prossimo decennio. Emmanuel Macron non ci sta e insiste per mettere in campo azioni concrete già nell'immediato. Per questo motivo ha messo in piedi negli scorsi mesi un progetto denominato «European intervention initiative» (iniziativa d'intervento europea) per riunire tutti quei Paesi che, al pari della Francia, intendono realizzare una difesa comune. Un'alleanza di fatto parallela alla Pesco che vede nel novero anche il Regno Unito, estromesso d'ufficio dai progetti europei a causa della Brexit. Secondo le indiscrezioni riportate da Politico, a giugno i ministri della difesa di Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio, Portogallo, Danimarca ed Estonia firmeranno una lettera di intenti per mettere nero su bianco la volontà di una pianificazione comune. L'allungo di Macron non è semplice strategia militare, ma tradisce l'ambizione del presidente francese di guidare l'importante partita per la difesa europea. Velleità che ovviamente non piacciono a Berlino, che nel frattempo rimane a guardare in attesa di comprendere quanta strada può fare il giocattolo del presidente francese. Antonio Grizzuti <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/leuropa-falcia-la-nostra-agricoltura-2565608943.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="leggi-imposte-tasse-e-privilegi-questo-sistema-fa-solo-ricatti" data-post-id="2565608943" data-published-at="1765244866" data-use-pagination="False"> «Leggi imposte, tasse e privilegi. Questo sistema fa solo ricatti» Marco Zanni è un europarlamentare della Lega, dove è approdato dal M5s. Bocconiano, sostiene lo smantellamento concordato dell'eurozona. Zanni, in Italia si parla tanto di spending review, ma nel frattempo in Europa la Commissione aumenta i fondi per le spese amministrative. «Le spese amministrative sono scandalosamente aumentate di oltre il 20%, passando da 70 miliardi a 85 miliardi di euro, nonostante l'uscita di un Paese con tutti i suoi funzionari. A pesare per quasi 20 miliardi sono due sole voci, le scuole europee e le pensioni degli ex euroburocrati. Noi abbiamo le scuole che cadono a pezzi, mentre per i figli dei funzionari europei, sono previste agevolazioni e supporti diretti. Le pensioni poi sono un altro capitolo vergognoso: nessuno ha il coraggio di dire che coloro che impongono le varie riforme pensionistiche nei diversi Paesi, vedi legge Fornero, hanno in realtà assurdi privilegi, con corposi assegni mensili, laute indicizzazioni e a volte sono perfino pagati per non lavorare, in attesa di essere collocati in pensione». Che idea si è fatto nel complesso della bozza di budget 2021-2027 presentata lunedì? «A mio avviso è gravissimo il potere che assume Bruxelles, da un lato imponendo nuove tasse, attraverso le cosiddette “risorse proprie"», che altro non sono che nuovi oneri che graveranno su cittadini e imprese, dall'altro condizionando l'erogazione di fondi al principio di “rule of law" - vedi i casi di Ungheria e Polonia - e all'imposizione di riforme economiche e sociali, che distruggeranno quel poco di autonomia e potere decisionale che ci è rimasto». Quali iniziative intendete portare avanti al Parlamento europeo in merito alle criticità evidenziate? «Non accetteremo che Bruxelles ci imponga nuove tasse né che ci condizioni: questo quadro finanziario è pensato proprio per incrementare il potere di ricatto della Commissione europea, speriamo di essere presto al governo per bloccare tutto questo. Nel frattempo lavoreremo perché più competenze tornino in capo a Stati membri e affinché il Quadro finanziario pluriennale diventi uno strumento ridotto per dotazione e che sia focalizzato veramente solo su quelle cose dove ci siano comprovato interesse comune e reale valore aggiunto europei». Antonio Grizzuti
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Essi, infatti, incidevano il tronco della Manilkara chicle e raccoglievano la sostanza che ne colava, per poi bollirla fino al raggiungimento della consistenza giusta per appallottolarla in pezzetti da masticare. La parola chicle è il nome in lingua nahuatl della pianta da cui i Maya estraevano la gomma, la Manikara chicle, appunto, che è una pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Sapotaceae diffuse nei Paesi dell’America centrale e in Colombia, un bell’albero sempreverde dalla grande chioma che arriva fino a 40 metri di altezza, presente dalla messicana Veracruz fin le coste atlantiche della Colombia. L’albero della Manikara chicle cresce nelle foreste, fino a 1.100 metri sul livello del mare, pensate, e non solo i Maya ne masticavano le palline, ma, in un certo senso, anche noi. Il nome che comunemente si dà in Piemonte alla gomma da masticare, cicles, deriva proprio dal nome di questa pianta, arrivato da noi attraverso una marca di gomme da masticare americana negli anni appena successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Da cicles deriva anche cicca, altro modo di chiamare colloquialmente il chewing gum. E proprio dalla corteccia della Manikara chicle e da altre piante congeneri nasce questo lattice che in passato si usava come unica materia prima gommosa (e naturale) per preparare le gomme da masticare. Le tesi sul passaggio dalla gomma naturale masticata dai Maya a quella di produzione occidentale sono varie. Secondo alcuni, la gomma da masticare occidentale nasce per riciclare quantitativi di quel lattice dei Maya esportato negli Usa, però senza successo. Nel 1845, il generale messicano Santa Ana, in fuga a New York dopo un colpo di Stato che lo aveva esautorato dal potere, propone all’imprenditore Thomas Adams una partita di chicle, che però non supera il processo di vulcanizzazione e non va bene per l’uso industriale. Così Adams pensa di aggiungere sciroppo di zucchero e un aroma (ovvero sassofrasso o liquirizia) e nel 1866 lancia il bon bon da ciancicare sul mercato alimentare, col nome di Adams - New York Chewing gum. Chewing gum significa letteralmente gomma masticante, cioè masticabile, ossia da masticare. La gomma da masticare si fa strada nel cuore e soprattutto nelle bocche degli americani: nel 1885 l’imprenditore di Cleveland William J. White sostituisce lo sciroppo di zucchero con lo sciroppo di glucosio, più performante nella miscelazione con altri ingredienti, e aromatizza con quello che poi diventerà l’archetipo assoluto della gomma da masticare, anche perché rinfresca l’alito, la menta piperita. Nel 1893 William Wrigley crea due nuove gomme da masticare, la Spearmint e Juicy fruit. Secondo altre tesi, prima di Thomas Adams il primo a commerciare una gomma da masticare, ottenuta però dalla linfa di abete rosso, fu John B. Curtis, che nel 1848 produsse la State of Maine Pure Spruce Gum, una ricetta segreta che oltretutto non brevettò mai. La gomma da masticare arriva in Europa, coi soldati americani, durante la Prima Guerra Mondiale, in Francia. Da noi, arriva con la Liberazione che pone fine alla Seconda Guerra Mondiale. Per un po’ di tempo gli italiani masticano americano. Poi, il dolcificio Perfetti di Lainate, nato infatti nel 1946, inizia a produrre chewing gum italiano con il nome, giustamente americano, Brooklyn. Il formato non è sferico ma a lastrina, lo slogan noto a tutti, «la gomma del ponte», sottinteso di Brooklyn, insomma la gomma americana.
Oggi più che mai, ma ben prima di oggi, più o meno a partire dagli anni Sessanta, il chewing gum abbandona la sua fattezza totalmente naturale e diventa sintetico, del tutto o in gran parte sintetico. È un po’ il destino di tutto: nel caso della gomma da masticare il motivo è che in questo modo la produzione costa meno e poi la sinteticizzazione della materia prima sopperisce alla rarefazione degli alberi di sapodilla. Il chicle sintetico è fatto con polimeri sintetici, in particolare gomma butadiene-stirene e acetato di polivinile. Di solito, giusto il 15-20% circa della gomma usata è ancora fatta di lattice di sapodilla (oppure di jelutong, l’albero da lattice Dyera costulata diffuso nelle foreste del Sudest asiatico). A questa base gommosa si aggiungono aromi, edulcoranti e additivi, come lo xantano, che rendono il chewing- gum odierno più elastico del suo antenato Maya. E infatti ciancichiamo a tutto andare, la stima di consumo mondiale è di circa 350 miliardi di gomme da masticare all’anno, circa 30 milioni in Italia.
D’altronde, c’è un chewing gum per ogni occasione. I chewing gum in commercio oggi sono divisibili in quattro gruppi: con lo zucchero, senza lo zucchero, chewing gum rivestiti e chewing gum medicati. Nei primi abbiamo quasi l’80% di peso in zuccheri, come saccarosio e sciroppo di glucosio. Il chewing gum senza zucchero contiene polioli naturali come sorbitolo, xilitolo, eritritolo, dolcificanti naturali a basso contenuto calorico, basso rischio cariogenico e e basso indice glicemico, oppure dolcificanti sintetici ad alta intensità come l’aspartame, il sucralosio, l’acesulfame K. Le gomme da masticare rivestite sono quelle col ripieno e quelle medicate sono, invece, addizionate di sostanze nutritive o composti farmaceutici, per promuovere funzioni specifiche del nostro organismo e prevenire alcuni disturbi, come le gomme antinausea per il mal d’auto e le gomme alla nicotina per la disintossicazione dal fumo. Queste ultime, naturalmente, non devono essere usate in circostanze diverse da quelle per cui nascono.
Ma masticare gomme fa bene o fa male? Se guardiamo all’antenato della gomma da masticare, sicuramente masticare materie di estrazione naturale, in primo luogo resine, è una prassi umana radicata e volta ad uno scopo innanzitutto curativo. Pensate che nel sito neolitico di Kiriekki, in Finlandia, i ricercatori hanno di recente rinvenuto un pezzo di resina risalente al terzo millennio prima di Cristo, ricavato da corteccia di betulla, con segni di denti ben visibili. Anche i greci del V secolo a.C. usavano masticare resine di lentisco. I nostri antenati masticavano resine per estrarne i fenoli, che hanno proprietà antinfiammatorie. Non masticavano solo resine: i malesi masticavano noci di betel, etiopi e yemeniti il qat del Corno d’Africa, i Maya, appunto, palline di chicle. Oggi, continuiamo a masticare. Dopo cioccolatini e caramelle, il chewing gum è il terzo piccolo boccone dolce preferito al mondo, naturalmente non si ingoia e l’apporto calorico è certamente inferiore a quello di cioccolatini e caramelle, quindi molti masticano il terzo, anziché mangiare i primi due per stare a dieta.
Masticare il chewing gum può avere aspetti positivi. Se dopo un pasto o uno snack non abbiamo modo di lavare i denti con spazzolino e dentifricio, rischiamo che la diminuzione del valore del PH della placca conseguente al pasto intacchi smalto e dentina aumentando il rischio di carie. Per alzarlo, allora, e riportarlo a livelli di normalità si può masticare chewing gum senza zucchero, in questo modo stimoliamo la produzione di saliva, la cui aumentata quantità nel cavo orale ha l’effetto di riportare il PH della placca dentaria a un valore normale, debellando il rischio carie. Particolarmente adatto pare essere il chewing gum senza zucchero con xilitolo, del quale è stata appurata la capacità di inibire la crescita dei batteri che, lasciati invece liberi, possono demineralizzare lo smalto e la dentina, favorendo la nascita della carie. La produzione extra di saliva aiuta questo effetto preventivo della carie del chewing gum con xilitolo, perché la saliva contiene enzimi ed anticorpi che hanno un effetto antibatterico naturale. La saliva ha anche l’effetto di rimineralizzare e quindi rafforzare lo smalto dentario. Masticare il chewing gum dopo un pasto fuori casa poi ha un effetto detergente sui denti. Masticare il chewing gum ha un effetto rinfrescante sull’alito, tuttavia questo non si può considerare un intervento curativo a lungo termine nel caso si soffra di alitosi stabile, che va indagata e curata alla radice. Idem la pulizia dei denti, non si può certamente considerare la masticazione del chewing gum equivalente a lavare i denti con lo spazzolino e poi a passare il filo interdentale. La masticazione del chewing gum non dovrebbe superare i 15-20 minuti e massimo per 3 chewing gum al giorno. Se si esagera, invece, si rischia di creare problemi all’articolazione della mascella e ai muscoli della bocca e delle guance. Inoltre, essendo le gomme da masticare contemporanee estremamente adesive rispetto a quella di sola origine naturale, si rischia di tirare via otturazioni dentali, se se ne hanno, e creare problemi ad altre presenze nella bocca come ponti, protesi e apparecchi (soprattutto in quest’ultimo caso, non si deve masticare la gomma). Sembra poi che masticare chewing gum aiuti la concentrazione.
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Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti (Ansa)
Non è certo un grosso problema: è sufficiente reidratare il paziente e si risolve nel giro di un paio di giorni al massimo. La tragedia è che questo ha allertato il «lupo». Per una indigestione da funghi, la famiglia è stata attenzionata dai servizi sociali.
Levare un bambino alla sua famiglia, staccarlo da sua madre, è un danno di gravità mille. Il cortisolo alle stelle, la fede nel mondo distrutta. Lo stress è talmente atroce che abbatte il sistema immunitario. Un bambino si può levare solo quando sta subendo un danno di gravità duemila. Come si fa a non sbagliarsi? Basta usare il buon senso, la logica e ascoltare i bambini.
Eleonora è morta il 7 gennaio 2005 a Bari. Aveva 16 mesi. Era nata sana come un pesciolino. È morta di stenti, di fame e sete, ma sicuramente avranno avuto un peso le botte, le ecchimosi, le escoriazioni suppurate, le due vecchie fratture a un braccio mai curate, la completa mancanza di sole, e soprattutto le devastanti piaghe da decubito per i pannolini non cambiati. Era legata al passeggino e il passeggino era messo davanti a un muro. Ha vissuto nel dolore e nel terrore: la paura continua dei colpi da parte della madre e del suo convivente (le tiravano addosso di tutto, se piangeva) o anche dei due fratellini a cui era stata regalata come una specie di giocattolo da tormentare. L’ha uccisa la paura che la notte calasse senza nemmeno il mezzo biberon che le davano ogni due giorni. La notte è calata per più di una volta consecutiva senza il mezzo biberon, ed Eleonora è morta di disidratazione. Le assistenti sociali, allertate da vicini perplessi, erano arrivate alla sua porta, per ben quattro volte, avevano fatto toc toc come il lupo davanti alla porta dei tre porcellini, nessuno aveva aperto e il discorso è stato considerato chiuso.
Le assistenti sociali sono persone educate, estremamente rispettose, davanti alle porte chiuse si fermano. I due fratellini di Eleonora sono stati ricoverati in ospedale. Quando hanno loro chiesto se volessero stare con mamma o con la dottoressa, hanno risposto che volevano stare con la dottoressa. I bambini abusati lo capiscono che fuori casa stanno meglio e lo verbalizzano. Un bambino, dopo aver dichiarato innumerevoli volte che la madre era violenta con lui, che lo terrorizzava, che non voleva andare con lei, è stato consegnato alla donna che lo ha sgozzato. Si sono fidati di un qualche esperto, uno psichiatra, un’altra assistente sociale, un giudice che per una qualche teoria letta su un libro ha ritenuto di avere la capacità di stabilire che quella madre non fosse pericolosa, e che il bambino che ne aveva paura fosse uno sciocchino.
Sono le stesse assistenti sociali che, dopo aver tolto un bambino a sua madre con le motivazioni più creative, stanno con le labbra strette e l’orologio in mano a controllare che non si sgarri dai 60 minuti che un giudice, che non ha mai visto quel bambino in vita sua, ha stabilito per la visita due volte al mese. L’assistente sociale sottolinea alla madre che il bambino il giorno del colloquio con lei è agitato, disperato e intrattabile, mentre di solito è sempre «buonissimo». Buonissimo vuol dire apatico e rassegnato, in inglese si usa il termine «functional freezing», congelamento delle emozioni per evitare di essere schiantato dal dolore. Il congelamento deve essere totale perché il bambino possa essere svuotato di qualsiasi emotività e ridotto a cosa. Se il bimbo ha un fratello, viene separato da lui. Sparisce la nonna da cui andava tutti i pomeriggi e che gli faceva i biscotti, spariscono gli amici. A volte sono andati a prenderlo poliziotti armati. Più il trauma è atroce, più potente è il congelamento emotivo che rende il bambino malleabile.
La prima notte che il bambino passa in «casa famiglia», vezzoso termine con cui si chiamano gli orfanotrofi statali dove portano i bambini tolti alle famiglie, piange tutta la notte: se è piccolo può arrivare alla disidratazione. Poi si «rasserena», diventa buono. La rassegnazione si paga in malattie. Ci sono processi che dimostrano che è vero che nei campi rom si vendono bambini ladri e bambine prostitute, periodicamente qualche bambino rom muore bruciato vivo nella roulotte che ha preso fuoco, eppure nessuno interviene. I rom non vogliono essere disturbati e le assistenti sociali sono persone rispettose delle civiltà altrui, per questo non intervengono nelle famiglie musulmane che infibulano la figlia di due anni o danno la figlia tredicenne in sposa al cugino mai visto prima. Ma è su tre nomi: Forteto, Bibbiano, Bassa Modenese, che il sistema ha mostrato la sua struttura violentemente patologica. Non metto in dubbio che tra le assistenti sociali esistano persone di buon senso e non malevole, ma un sistema che ha prodotto Bibbiano, il Forteto e la Bassa Modenese è strutturalmente privo di buonsenso e soprattutto malevolo, e deve essere ristrutturato o abolito. Gli assistenti sociali e i giudici hanno un potere totale. Non rispondono degli errori. La facoltà da cui escono gli assistenti sociali, dopo aver dato alcuni esami e superato una tesi, in nulla garantisce buon senso e benevolenza, anzi: è il contrario. Si tratta di una delle facoltà politicamente strutturate, il 99% dei docenti e degli iscritti sono di sinistra. Le assistenti sociali sono il braccio armato della politica della sinistra mondiale: odio per il cristianesimo, odio per la famiglia, amore sviscerato per tutte le tematiche Lgbt. Tra i minuscoli esami con cui le assistenti sociali formano la loro capacità di giudicare il bene e il male, di distruggere famiglie, di annientare la psiche ma anche il corpo dei bambini che hanno la sciagura di attirare la loro attenzione, quindi non Eleonora e non i bambini rom, le incredibili idiozie raccolte sotto il nome di «studi gender» sono considerate una lodevole intuizione scientifica. Le assistenti sociali sono convinte che un uomo possa essere una donna, che un bambino affidato a due maschi che l’hanno comprato non possa che stare benissimo, e che in fondo la famiglia «tradizionale» sia un modello da superare. La terza situazione problematica è la mancanza di un controllo sui controllori. Chi stabilisce che la psiche dell’assistente sociale e del giudice che possono distruggere la vita di altri sia in equilibrio? Si tratta di persone che hanno semplicemente superato degli esami e un concorso. Chi stabilisce che nella sua mente l’assistente sociale, che controlla con le labbra strette che la madre non possa stare con i suoi figli più del numero di minuti stabiliti da lei o da un giudice, non abbia tendenze di aggressività maligna o non le abbia sviluppate facendo questo lavoro?
Sono stati fatti terribili esperimenti, dove persone prese a caso venivano messe nel ruolo del carceriere, dove qualcun altro a caso faceva il carcerato: era una recita. Ma molti hanno sviluppato linee di aggressività maligna. Dove si ha potere sugli altri, è estremamente facile che si sviluppino linee di aggressività maligna, linee di piacere nell’infliggere ad altri dolore attraverso la propria autorità. Ripeto la domanda: chi controlla i controllori? Nel frattempo, se avete bambini in casa, evitate i funghi. Le zucchine costano anche meno.
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Soldati di guardia vicino al confine tra Thailandia e Cambogia (Getty Images)
L’ennesimo scontro sta imponendo nuove evacuazioni di massa su entrambi i lati del confine. Il governo della Thailandia ha ordinato a più di 380.000 suoi cittadini di abbandonare subito le aree ad alto rischio, con decine di migliaia che hanno già raggiunto i rifugi allestiti dal governo.
La Cambogia ha spostato circa 1200 famiglie, portandole all’interno del paese e lontane dalla zona dove si combatte. Hun Manet, primo ministro della Cambogia ha pubblicamente accusato la Thailandia, di essersi inventata un incidente fra i militari per tornare ad attaccare la Cambogia, negando che ci sia stato qualsiasi tipo di atto provocatorio da parte dell’esercito di Phnom Penh. Il governo di Bangkok ha invece additato la Cambogia come la nazione che non vuole rispettare l’accordo avendo continuato a minare il confine comune. «Il ministero della Difesa thailandese.ha autorizzato nuove operazioni militari a fronte dell’escalation - ha dichiarato il portavoce dell’esercito Winthai Suvaree - i raid hanno preso di mira infrastrutture militari cambogiane in rappresaglia all’attacco avvenuto in precedenza. il nostro unico obiettivo sono le posizioni di supporto della Cambogia nell’area del passo di Chong An Ma, un’area che doveva essere smilitarizzata».
I combattimenti della scorsa estate in pochi giorni avevano provocato 45 morti ed oltre 250.000 sfollati da entrambe le parti. Alla fine dell’estate a Kuala Lumpur Malesia, Cina e anche Stati Uniti avevano mediato un primo cessate il fuoco che però non era mai stato realmente applicato. A ottobre il presidente statunitense Donald Trump si era impegnato in prima persona co-firmando una dichiarazione congiunta tra le due nazioni e promuovendo allo stesso tempo una serie di nuovi accordi commerciali con Bangkok e Phnom Penh, nel caso avessero accettato un prolungamento del cessate il fuoco. Questo accordo sembrava poter durare, ma meno di un mese fa la Thailandia ha deciso di sospenderlo unilateralmente, accusando la Cambogia di aver minato una zona in territorio thailandese e l’esplosione di una mina aveva anche ferito alcuni soldati. Il primo ministro cambogiano ha ribadito il suo impegno nei confronti dell'accordo, che prevedeva il rilascio di 18 prigionieri cambogiani detenuti in Thailandia da diversi mesi e non ancora liberati. Il problema rimane il posizionamento del confine e la contestazione di alcune aree e templi che si trovano in territorio cambogiano, ma che sono rivendicati da Bangkok.
Le aree contese ospitano diversi templi di grande interesse storico e culturale, tra cui il Preah Vihear. La Corte Internazionale di Giustizia ne ha concesso la sovranità esclusiva a Phnom Penh, ma Bangkok si rifiuta di riconoscere l'autorità della Corte in materia territoriale. In realtà la questione è molto più profondo e da molti anni fra i due paesi del sud-est asiatico la tensione rimane altissima. Entrambe le nazioni sono caratterizzate da un acceso nazionalismo che diventa determinante soprattutto fra le popolazioni che vivono lungo gli oltre 800 chilometri di confine. L’amministrazione statunitense si è detta pronta a riportare i due contendenti al tavolo delle trattative, ma intanto l’aviazione thailandese sta continuando a martellare il territorio cambogiano.
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Ecco #DimmiLaVerità dell'8 dicembre 2025. La "dj" ufficiale di Atreju, la deputata di Fdi Grazia Di Maggio, ci parla della festa nazionale del partito di Giorgia Meloni.