2022-01-16
Letta sul Colle è da ridere: visto che non ha i numeri vuole uno «super partes»
Il Pd non si era mai posto il problema di un capo dello Stato apartitico. Ma ora che il Cav fa paura, mette veti al centrodestra: «Non può indicare un nome».«Non serve un capo politico divisivo, ma una figura super partes di unità». Nel bocciare la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, Enrico Letta entra di diritto nella favola di Esopo al posto della volpe che osserva l’uva. Non ci arriva, non ha i numeri e non avendo neppure un candidato suo ne pretende uno di comodo dagli altri; cerca una scala di suo gradimento per raggiungere il grappolo. A nove giorni dalla prima chiama (24 gennaio) la battaglia del Colle è cominciata.Parlando ai gruppi del Pd, il segretario sottolinea: «Non esiste alcun diritto di precedenza che il centrodestra possa vantare per indicare il presidente della Repubblica. È profondamente sbagliata anche la logica dello scoiattolo, cercare voto per voto, nelle dinamiche che il Paese sta vivendo. Quando pensiamo a Berlusconi e alla storia di questi ultimi 25 anni è difficile pensare a un capo politico più divisivo di lui». Poi lancia la proposta di un patto di legislatura per un presidente «super partes», per un governo rafforzato nei prossimi 14 mesi sino alla fine naturale del mandato e per vaghe riforme «della buona politica». Infine spiega la strategia piddina di partenza: «Se si dovesse andare alle prime tre votazioni senza un accordo dovremo decidere se votare scheda bianca o un nome condiviso con i nostri alleati. Con questa scelta il centrodestra ci ha deluso».Quello di Letta è opportunismo puro. È la conferma dell’abbandono dell’ipotesi Mario Draghi e dell’impraticabilità di un Mattarella bis. Al tempo stesso è la pretesa di ottenere un nome gradito, sapendo che nella dialettica politica dominante a sinistra non ci sono nomi super partes se non quelli battezzati con l’acquasanta del Pd. Per le elezioni di Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella il centrosinistra non è mai stato sfiorato dalla logica della condivisione: avevano i numeri dei grandi elettori (che oggi non ci sono), hanno indicato i candidati, si sono scannati su Franco Marini e Romano Prodi, hanno raccolto dal pavimento le vittime dei franchi tiratori, hanno vinto giocando da soli ed è finita lì. Sette anni fa la mossa del cavallo di Matteo Renzi di giocarsi Mattarella come un jolly costituì la fine del patto del Nazareno. Nel poker con il morto, oggi Letta finge di indignarsi perché non ha buone carte. Essendo stato sette anni a Parigi dovrebbe sapere cosa significa per un francese pretendere «le beurre, l’argent du beurre et le cul de la cremière». Il numero uno del Pd aggiunge un commento illuminante in senso freudiano: «Vogliamo eleggere un presidente o una presidente che domani, una volta svolte le elezioni del 2023, possa dare l’incarico di governo a qualunque leader di partito abbia vinto le politiche». Gesto che Mattarella non ha fatto con il centrodestra nel 2018 e nell’estate del 2019; comportamento che prima Oscar Luigi Scalfaro e poi Napolitano hanno disatteso schierandosi con la loro parte politica, come fanno i cattivi arbitri.Le richieste di Letta vengono rispedite al mittente a stretto giro da Matteo Salvini, che peraltro ha gioco facile. «Dopo decenni di nomi proposti o imposti dalla sinistra, questa volta i numeri (in Parlamento e nel Paese) offrono l’onore e l’onere di avanzare una proposta al centrodestra, quindi non accettiamo veti, esclusioni o arroganze. Se qualcuno a sinistra vuole tirare per la giacchetta il presidente Mattarella manca di rispetto soprattutto a lui, che più volte ha ribadito l’indisponibilità a un secondo mandato. Allo stesso modo il premier Draghi è impegnato ad affrontare l’emergenza sanitaria ed economica: ipotizzare per lui un altro ruolo è una mancanza di rispetto. Io lavoro per unire».Come nei gp di Formula 1, Berlusconi è in pole position. Nella coalizione non ci sono dubbi: si parte con lui, se ha i numeri arriverà sotto la bandiera a scacchi. Ma se non li ha (e le prime quattro votazioni saranno illuminanti), dovrà lasciare spazio a Marcello Pera, Maria Elisabetta Casellati, Letizia Moratti o altri underdog. Dall’entourage del Cavaliere trapela uno spiffero: se c’è un candidato per il quale Berlusconi farebbe volentieri la lepre, questi è Gianni Letta. Ma ha 86 anni come lui e gli alleati - che su Mister B convergono per rispetto -, sul suo Richelieu avrebbero parecchi dubbi. Nel frattempo il leader di Forza Italia ha incassato l’endorsement del Ppe con il capogruppo Manfred Weber: «Rispetto assoluto per lui, è stato uno spirito del tempo, leader di partito ma anche primo ministro. Ha esperienza, network, conosce i partner Ue e ha il sostegno degli amici in Europa. È stato un leader forte, con un approccio politico per qualcuno irritante. Da democratico amo i leader forti, sia di destra che di sinistra, con idee che le persone possano riconoscere e votare».Persa la sponda di Bruxelles, Letta nipote si aggrappa al carattere «divisivo» anche per fare un piacere allo zio. Ma è un atteggiamento da volpe da pellicceria perché fino a ieri Berlusconi era considerato «il volto presentabile del centrodestra», «il garante della stabilità», «un punto di equilibrio moderato». Tutte voci piddine quando, nell’ipotesi di un Giuseppe Conte ter, a sinistra pensarono al Cavaliere per favorire una «maggioranza Ursula». Ora non serve più ed è tornato il Caimano.
(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.