2023-03-14
Usa e Ue nicchiano. L’attività diplomatica resta nelle mani di Xi e del Vaticano
Il leader cinese Xi Jinping organizza la visita a Mosca e manda segnali pure a Kiev. Anche il Papa prepara viaggi nelle due capitali. Un report internazionale traccia il mercato degli armamenti. E si scopre che dal 2018 le tensioni con la Russia hanno portato molti Paesi occidentali a riempire gli arsenali.Lo speciale contiene due articoli. Pechino punta a rilanciare il proprio ruolo diplomatico nella crisi ucraina. Secondo quanto riferito da Reuters, il presidente cinese, Xi Jinping, ha intenzione di recarsi in visita a Mosca, per incontrare l’omologo russo, Vladimir Putin, la prossima settimana. Non solo. Il Wall Street Journal ha anticipato che, dopo il viaggio in Russia, il leader cinese punterebbe ad avere un colloquio in videoconferenza anche con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.Dopo il suo recente documento sulla crisi ucraina, il Dragone mira evidentemente a ritagliarsi l’immagine di mediatore nel conflitto in corso: un’immagine che Pechino vuole rivendersi soprattutto agli occhi dei Paesi in via di sviluppo in chiave antiamericana. Non sarà d’altronde un caso che la notizia del viaggio russo di Xi sia uscita appena pochi giorni dopo l’accordo diplomatico, mediato proprio dalla Cina, tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Ora, si registrano fondati dubbi sulla neutralità di Pechino nel conflitto ucraino: non solo non ha mai condannato l’invasione russa dell’Ucraina, ma continua a spalleggiare il Cremlino in sede Onu, mentre Washington sospetta che potrebbe addirittura fornirgli presto degli armamenti. È inoltre chiaro che il Dragone sta cercando di massimizzare il proprio tornaconto geopolitico da quanto sta accadendo, per cercare di mettere in difficoltà l’Occidente e realizzare, nel medio termine, un ordine internazionale di cui essere il perno. Tuttavia è altrettanto chiaro che Xi sta sfruttando l’irresolutezza del presidente statunitense, Joe Biden, il quale, dall’inizio dell’invasione russa, non sembra avere una strategia definita (e quindi misurabile) in termini di obiettivi sia militari sia politici: un fatto preoccupante che, non a caso, i repubblicani stanno duramente rimproverando in patria all’attuale inquilino della Casa Bianca.Nel contempo, l’iniziativa diplomatica viene portata avanti anche dalla Santa Sede. Sabato, Papa Francesco aveva espresso il desiderio di recarsi sia a Mosca sia a Kiev: un’intenzione su cui ieri è stato interpellato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. «Dobbiamo aspettare una dichiarazione del Vaticano», ha affermato su un’eventuale visita del pontefice in Russia. «In questi tempi difficili, un dialogo tra leader religiosi può dare buoni frutti e contribuire ad unificare gli sforzi della gente di buona volontà per guarire le ferite della creazione di Dio», ha inoltre scritto il patriarca di Mosca Kirill al papa. «Saremo sempre disposti a collaborare con chi si impegna per porre fine ai conflitti», ha infine affermato il cardinal segretario di Stato, Pietro Parolin. Frattanto sono iniziati a Ginevra i colloqui tra russi e funzionari delle Nazioni Unite per un’eventuale estensione dell’accordo sul grano nel Mar Nero: accordo che, in scadenza il prossimo 18 marzo, Mosca avrebbe intenzione di prorogare soltanto per sessanta giorni. Dall’altra parte, il Cremlino non ha escluso la possibilità che Putin partecipi al summit G20 di settembre a Nuova Delhi. La strada diplomatica resta comunque ancora molto stretta. Basti pensare che Putin ha ricevuto il leader ceceno Ramzan Kadyrov, dicendogli: «Vedo come i tuoi uomini stanno combattendo nella zona dell’operazione militare speciale. A loro vanno le nostre parole migliori, grazie mille da parte nostra». «I combattenti della Repubblica cecena svolgono servizio con successo nella zona dell’Operazione militare speciale, eseguiamo tutti i suoi ordini e siamo decisi a continuare fino alla fine», ha dichiarato dal canto suo Kadyrov. Lo stesso Peskov ha affermato che «finora non ci sono i prerequisiti per la transizione del processo verso un corso pacifico». In questo clima, la Russia ha messo in dubbio le recenti rivelazioni del New York Times, secondo cui a sabotare i gasdotti Nord Stream lo scorso settembre sarebbe stato un gruppo filo-ucraino. «Non è un segreto che operazioni come questa richiedono unità operative speciali adeguatamente addestrate ed equipaggiate, e gli Usa e la Gran Bretagna sicuramente le hanno», ha affermato il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolay Patrushev. «Un tale atto non è vantaggioso per il regime di Zelensky, che implora Berlino di fornire più aiuti militari», ha aggiunto. Dall’altra parte, ieri l’Ue ha prorogato di sei mesi le sanzioni contro 1.473 persone e 205 entità russe «in risposta all’aggressione militare ingiustificata e non provocata della Russia contro l’Ucraina».Continua frattanto a infuriare la battaglia per Bakhmut. «In meno di una settimana, a partire dal 6 marzo, siamo riusciti a uccidere più di 1.100 soldati nemici nel solo settore di Bakhmut», ha dichiarato Zelensky, mentre le forze armate ucraine hanno fatto sapere che le truppe di Mosca «attaccano da più direzioni». «Più siamo vicini al centro della città, più violenti sono i combattimenti», ha affermato, dal canto suo, il capo del Wagner Group, Yevgeny Prigozhin. Sono invece due le persone rimaste ferite a seguito di bombardamenti russi nell’oblast di Kharkiv. Dall’altra parte, una cinquantina di soldati ucraini hanno terminato un addestramento di quattro settimane in Spagna, per imparare a usare i tank Leopard 2. Resta nel frattempo tesa la situazione in Moldavia. «Al momento non esiste un pericolo militare imminente contro la Moldavia, ma ci sono altri tipi di pericoli che incidono sulla sicurezza del Paese: la guerra ibrida», ha affermato il ministro della Difesa del Paese, Anatolie Nosatii. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lattivita-diplomatica-xi-e-vaticano-2659593535.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="leuropa-si-e-armata-prima-del-2022" data-post-id="2659593535" data-published-at="1678794173" data-use-pagination="False"> L’Europa si è armata prima del 2022 L’istituto di ricerca Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), ha pubblicato il rapporto annuale sul mercato delle armi, un documento che dimostra quanto le esigenze della Difesa dei vari Paesi, soprattutto di quelli europei, siano cambiate prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Secondo i ricercatori Pieter Wezeman, Justine Gadon e Siemon Wezeman, il mercato mondiale delle armi tra il 2018 e il 2022 è stato inferiore a quello del periodo 2013-2018, con una contrazione vicina al 5%. I maggiori esportatori dell’ultimo quinquennio sono stati gli Usa, la Russia, Francia, Cina e Germania, che insieme hanno fornito il 76% del totale. A impressionare sono i contratti firmati con Parigi, aumentati del 44% tra il 2013 e il 2022 a scapito delle vendite russe, calate del 35%. I maggiori clienti del periodo 2018-2022 sono stati India, Arabia Saudita, Qatar, Australia e Cina, che sommate hanno ricevuto il 36% delle armi del mondo. La principale regione destinataria di armi è stata quella compresa tra Asia e Oceania (41% dell’import mondiale), seguita dal Medio Oriente (31%), dall’Europa (16%), le Americhe (5,8%) e l’Africa (5%). «Anche se i trasferimenti di armi sono diminuiti a livello globale, quelli verso l’Europa sono aumentati dal 2018 a causa delle tensioni tra la Russia e gli altri stati europei», ha affermato Pieter Wezeman, «ma la competizione continua ovunque: le importazioni in Asia orientale sono aumentate e verso il Medioriente rimangono elevate». Il dato europeo svela quale risveglio sia avvenuto a proposito del reale stato di prontezza degli equipaggiamenti dal 2018, un aggiornamento che le guerre in Iraq e Afghanistan non avevano richiesto poiché non c’era l’esigenza di dotarsi di carri armati e di sistemi antiaerei. Non a caso la ricerca dell’Ispri segnala che le importazioni di armi da parte europea avvenute nel periodo 2018-2022 sono state il 47% in più rispetto al periodo 2013-2017. Un aumento più significativo se messo in relazione con le nazioni Nato, che insieme hanno aumentato gli acquisti del 65%. L’Ucraina oggi è giocoforza la terza nazione al mondo per importazioni e nel periodo di riferimento 2018-2022 era al 14° posto. La quota degli Usa nelle esportazioni globali di armi è passata dal 33% al 40%, mentre quella della Russia è scesa dal 22% al 16%. A ridurre il mercato delle esportazioni militari russe è stata soprattutto l’India, che ha tagliato del 37% quanto acquistava da Putin, il quale ha cercato di compensare esportando verso Cina (+39%) ed Egitto (+44%). Wezeman puntualizza: «È probabile che l’invasione dell’Ucraina limiterà ulteriormente le esportazioni russe perché Mosca deve dare la priorità alla fornitura delle proprie forze armate e perché la domanda estera rimarrà bassa a causa della crescente pressione da parte degli Usa e dei suoi alleati affinché non ne vengano comprate». L’India ha comprato il 30% delle esportazioni francesi del periodo 2018-22. Tra i primi sette esportatori di armi dopo Usa, Russia e Francia, cinque Paesi hanno ora registrato un calo: Cina (-23%), Germania (-35%), Regno Unito (-35%), Spagna (- 4,4%) e Israele (-15%), mentre due hanno registrato forti incrementi: l’Italia (+45%), e il governo era quello precedente, ma globalmente diamo un modesto 3,8% che ci mette al sesto posto, e la Corea del Sud (+74%). I primi tra importatori del periodo 2018-22 erano Arabia Saudita, Qatar ed Egitto. L’Arabia Saudita è stata il secondo più grande importatore nel periodo 2018-22 ricevendo il 9,6% di tutte le vendite, mentre il Qatar ha segnato +311% di importazioni tra il 2013 e il 2022, diventando terzo importatore mondiale.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)