
L'inchiesta dell'Ars svela i metodi dell'ex presidente di Confindustria Sicilia, di sponda con l'ex senatore democratico Beppe Lumia. Decisivo il ruolo dei media: giornalisti blanditi o bastonati per ottenere favori.C'è stato un momento storico ben preciso durante il quale in Sicilia l'Antimafia è stata usata come mezzo per la gestione del potere. E questo momento storico, che era stato raccontato da un'inchiesta giudiziaria ma che si riflette, nitido, anche nelle pagine della relazione conclusiva della Commissione antimafia della Regione siciliana, coincide con la gestione di Confindustria Sicilia da parte di un gruppo ben preciso di persone guidate da Antonello Montante, ex paladino della legalità finito agli arresti il 14 maggio del 2018: ora è imputato di corruzione, favoreggiamento, rivelazioni di segreto d'ufficio e accesso abusivo al sistema informatico. Era l'era «della persecuzione degli avversari politici», si legge nel documento, «fino al vezzo di una certa antimafia agitata come una scimitarra per tagliare teste disobbedienti e adoperata come salvacondotto per sé stessi attraverso un sillogismo furbo e malato: chi era contro di loro, era per ciò stesso complice di Cosa nostra».L'approfondimento curato dal presidente Claudio Fava descrive un grumo di potere che avrebbe svolto un ruolo di supplenza nei confronti della politica. E se la magistratura lo aveva definito «Sistema Montante», uno dei testimoni della commissione d'inchiesta lo ribattezza «Sistema Lumia». L'anima nera, stando alla ricostruzione della commissione Fava, era proprio l'ex senatore del Partito democratico Beppe Lumia. Nello Musumeci, attuale governatore, non se lo lascia tirare con le pinze. Ecco le sue parole: «Il sistema Lumia, non il sistema Montante. Montante era funzionale al sistema di potere ma non era lui il regista». Il ruolo di perno svolto da Lumia durante il governo di Rosario Crocetta viene a galla in più punti della relazione, nonostante le dichiarazioni rese ai commissari anche dal protagonista, che al contrario di Crocetta non si è sottratto all'audizione. Quei meccanismi di potere e di controllo Lumia li chiama «politica». E, parlando di sé in terza persona, aggiunge: «Escludo nel modo più totale che la presenza di Lumia nel governo della Regione fosse giocata sul piano gestionale. Il mio compito era politico, esclusivamente politico e sa, purtroppo, quando in Sicilia si ha qualche abilità politica è chiaro che le leggende metropolitane fioccano».Ma Musumeci fa una mappa del «cerchio magico». E dice: «Da un decennio decide le maggioranze di governo, i componenti della giunta regionale, persino la durata in carica di un assessore, mentre mantiene una complessa rete di relazioni interpersonali con esponenti di rilievo del mondo imprenditoriale e non solo». Qui, forse, fa riferimento ai tanti esponenti delle forze dell'ordine e dell'intelligence che erano in contatto con Montante, alcuni dei quali sono stati beccati durante soffiate e aiutini vari. «In buona sostanza», sostiene Musumeci, «Crocetta aveva il ruolo di esecutore, il mandante era Lumia e del cerchio magico faceva certamente parte Montante». Ma il neo governatore non è il solo a mettere Lumia davanti a Montante. Anche Gaetano Armao, assessore siciliano all'Economia spende qualche parola: «Non c'era questione che avesse una rilevanza finanziaria sulla quale Lumia non tentava di mettere il becco». Conferma la percezione del peso di Lumia anche l'ex assessore Nicolò Marino, che dipinge Crocetta sullo sfondo del quadro della gestione del potere: «Quando c'era qualcosa che dal suo punto di vista era meglio non discutere, Crocetta faceva finta di non sentire anche se tu gli parlavi un'ora e un minuto dopo o appena ti interrompevi, cambiava discorso».Ma nella relazione non ci sono solo «la forzature delle procedure, la sistematica violazione delle prassi istituzionali, l'asservimento della funzione pubblica al privilegio privato e l'occupazione fisica dei luoghi di governo». C'è anche l'uso della stampa, che ha «aiutato Montante nella sua ascesa nell'olimpo dell'Antimafia» e che ha contribuito «a creare e poi a nutrire la mitologia del presidente di Confindustria Sicilia». La Commissione dedica un intero capitolo a questo fenomeno.«Nel suo rapporto con l'informazione, Montante mette in campo tutte le tecniche di seduzione (o di intimidazione): blandisce, compra, promuove, assume, ascolta, gioca di volta in volta ad fare da editore, finanziatore, datore di lavoro, commensale, ospite, confidente». Ma sa anche colpire: «Minacce, pedinamenti, indagini illegali, querele a volontà. La misura è semplice: gli amici sugli altari, gli ostili sul libro nero. O in un dossier». Uno dei giornalisti più esposti, ricostruisce la Commissione, è stato certamente Attilio Bolzoni, autore insieme a Francesco Viviano dell'articolo che rivelò, nel febbraio 2015 l'esistenza di indagini a carico di Montante. La black list è lunga. C'è ad esempio Giampiero Casagni, collaboratore di una testata messinese, entrato in rotta di collisione con Montante per un articolo su ipotizzati rapporti del presidente di Confindustria con un parente di un boss locale. Ma lo sgarro di Casagni, anticipato mesi fa dalla Verità, si è fatto più pesante quando il giornalista ha proposto un servizio su quelle relazioni sospette a Giorgio Mulè, che in quel momento era direttore di Panorama. Ma Mulè, senza avvisare il giornalista siciliano, boccia il servizio e avvisa Montante. Alla Commissione dirà di aver passato l'informazione solo quando la storia era già stata pubblicata su una testata siciliana. La Sicilia riparte da qui, «affinché vicende come quelle descritte», conclude la relazione, «non abbiano mai più a ripetersi».
Ansa
Il ministero dell’Istruzione cassa uno dei rilievi con cui il Tribunale dei minorenni ha allontanato i tre figli dai genitori: «Fanno educazione domiciliare, sono in regola». Nordio, intanto, dà il via agli accertamenti.
Se c’è un colpevole già accertato nella vicenda della «famiglia del bosco», che ha visto i tre figli di Catherine Birmingham e Nathan Trevallion affidati dal Tribunale dei minori dell’Aquila a una struttura, è al massimo l’ingenuità dei genitori, che hanno affrontato le contestazioni da parte dei servizi sociali prima e del tribunale poi. Forse pensando che la loro buona fede bastasse a chiarire i fatti, senza affidarsi al supporto di un professionista che indicasse loro quale documentazione produrre. Del resto, in procedimenti come quello in cui sono stati coinvolti non è obbligatorio avere il sostegno di un legale e risulta che il sindaco del loro Comune, Palmoli in provincia di Chieti, li avesse rassicurati sul fatto che tutto si sarebbe risolto velocemente e senza traumi. Ma i fatti sono andati molto diversamente.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Ridotti i paragrafi del primo documento, il resto dovrebbe essere discusso direttamente da Volodymyr Zelensky con il presidente americano Il nodo più intricato riguarda le regioni da cedere. Forse ci sarà un incontro in settimana. E l’ultimatum per giovedì potrebbe slittare.
È un ottimismo alla Giovanni Trapattoni, quello espresso ieri da Donald Trump sul processo diplomatico ucraino. «È davvero possibile che si stiano facendo grandi progressi nei colloqui di pace tra Russia e Ucraina? Non credeteci finché non li vedete, ma potrebbe succedere qualcosa di buono», ha dichiarato il presidente americano su Truth, seguendo evidentemente la logica del «non dire gatto, se non ce l’hai nel sacco». Una presa di posizione, quella dell’inquilino della Casa Bianca, arrivata dopo i recentissimi colloqui, tenutisi a Ginevra, tra il segretario di Stato americano, Marco Rubio, e la delegazione ucraina: colloqui che hanno portato a una nuova versione, definita da Washington «aggiornata e perfezionata», del piano di pace statunitense. «I rappresentanti ucraini hanno dichiarato che, sulla base delle revisioni e dei chiarimenti presentati oggi (l’altro ieri, ndr), ritengono che l’attuale bozza rifletta i loro interessi nazionali e fornisca meccanismi credibili e applicabili per salvaguardare la sicurezza dell’Ucraina sia nel breve che nel lungo termine», si legge in una dichiarazione congiunta tra Washington e Kiev, pubblicata nella serata di domenica.
Elisabetta Piccolotti (Ansa)
Sulla «famiglia nel bosco» non ci risparmiano neppure la sagra dell’ipocrisia. La deputata di Avs Elisabetta Piccolotti, coniugata Fratoianni, e l’ex presidente delle Camere penali e oggi a capo del comitato per il Sì al referendum sulla giustizia, avvocato Giandomenico Caiazza, aprendo bocca, non richiesti, sulla dolorosissima vicenda di Nathan Trevallion, di sua moglie Catherine Birmingahn e dei loro tre figli che il Tribunale dei minori dell’Aquila ha loro tolto dicono: «Non mi piace la superficialità con cui si parla dei bambini del bosco», lei; e: «In un caso come questo dovremmo metterci al riparo da speculazioni politiche e guerre ideologiche preventive», lui.






