2018-06-24
La tavolata è un fallimento. Ai migranti convocati interessa solo una cosa: «Qui mangiamo gratis»
Il pranzo solidale della sinistra milanese è una passerella delle coop. Molti immigrati ignorano persino perché siano lì. E se glielo chiedi dicono: «Non paghiamo il cibo». Per digerire il picnic c'è la solita ricetta dello scrittore Roberto Saviano, attaccare la Lega e il suo segretario: «Avete rubato 50 milioni allo Stato». Pure Giuseppe Sala sale in cattedra: «Sono l'anti Salvini del Nord». E apre la città ai rifugiati.Lo speciale contiene due articoli.Parco Sempione, centro di Milano. Ore 12.30. Egiziani, cinesi, bangladesi, giapponesi, tailandesi, etiopi. L'effetto è quello delle auto in coda al casello di un'autostrada. Tutti in fila sotto il sole per accedere a «Ricetta Milano», la manifestazione organizzata ieri dal Comune e da Kamba, un'associazione che promuove iniziative per richiedenti asilo. L'evento è recintato con il tipico nastro bianco e rosso a delimitare lo spazio dove è stata allestita la tavolata di circa 2,6 chilometri che si sviluppa da piazza del Cannone lungo alcuni viali del parco. Tra i controlli di zaini e borse da parte delle forze dell'ordine e tutte le carte da compilare per accedere, già alle 13 (dopo poco dall'inizio della manifestazione) c'è gente che - senza fare troppa fatica - alza il nastro e entra bypassando la sicurezza. Ogni associazione presente ha un posto preassegnato. Secondo la cartella stampa diffusa da Palazzo Marino, alla manifestazione avrebbero dovuto prendere parte 150 associazioni oltre a tutte le persone presenti che si sono aggiunte. Superato l'ingresso che da Piazza Castello porta al parco, c'è una lunga tavolata di cinesi, la comunità di certo più numerosa a Milano e tra le meglio integrate nel tessuto sociale cittadino. Poco a che vedere con i richiedenti asilo, è senza dubbio la più presente a «Ricetta Milano».Alle 13 circa arriva il sindaco Beppe Sala, speranzoso di trovare nuova linfa elettorale. Una calca costituita perlopiù da giornalisti e curiosi gli si mette intorno. I cinesi nemmeno si girano e continuano a distribuire il cibo che avevano portato da casa. Zuppe, involtini, succhi, salsa di soia e non solo. Gli chiediamo perché non stiano mangiando il cibo offerto dagli sponsor dell'evento (Eataly, Spontini, Ferrarelle e Alce Nero quelli che avrebbero fornito il cibo). Silenzio. Nessuno risponde. Nessuno parla italiano. Poi uno seduto un po' più lontano, con un italiano decisamente stentato, dice «cibo buono, cibo buono», indicando delle polpette portate da casa. Al che, con l'intenzione di capire quanto sappiano della manifestazione, domandiamo perché siano venuti. Due signore si girano, si guardano e ridono. Nessuno risponde.Oltrepassata la parte più affollata, quella vicino all'ingresso di Piazza Castello, ci incamminiamo sulla sinistra, dove la tavolata continuava. Tra cibo gratis (portato perlopiù dalla associazioni) e una bella giornata estiva ci aspettiamo che gli 8.000 posti a tavola previsti siano strapieni di gente. Invece no. La «Ricetta Milano» proposta da Sala sembra invece non aver incontrato i gusti di molte associazioni (di migranti, ma non solo) che hanno preferito non esserci. Così all'occhio saltano le tavolate di legno con le gambe di ferro pieghevoli debitamente allestite con tovagliette, bicchieri, piatti di carta e forchette marchiate da Palazzo Marino, ma intonse. Alle 13.30, in piena ora di pranzo, sono vuote. Continuiamo il nostro cammino e incontriamo un gruppo di donne di lingua araba. Ci avviciniamo. Proviamo a capire perché siano qui. Mi rispondono, «capo, capo», indicando due signore italiane, membri della associazione con cui sono venute al parco Sempione. Le due italiane ci spiegano che sono venute con l'idea di condividere i cibi delle diverse culture presenti, ma che l'organizzazione glielo ha vietato per questioni igieniche. «Solo il cibo degli sponsor può essere condiviso», ci spiegano. Ma come? Quasi 3 chilometri di tavola per condividere «sapori, colori e profumi dei cibi della città aperta», come recita il comunicato stampa, e poi non è possibile condividere le pietanze? «Non lo dica a nessuno, ma noi lo facciamo lo stesso», dicono ieri all'ombra di un albero del parco.È chiaro che il veto del Comune serve a evitare eventuali vertenze legali in caso di intossicazione alimentare. «Peccato», continuano le signore, «forse per il troppo sole o per i controlli eccessivi molte persone non sono venute».A questo punto si fanno le 14 circa. Ai tavoli che nessuno ha utilizzato si uniscono quelli lasciati dai commensali che hanno pranzato e poi si sono alzati. Il disordine e lo sporco non mancano, ma qualcuno tra i 500 volontari è già all'opera per rimettere in ordine. Poco più in là scorgiamo un gruppi di ragazzi di colore che indossano una maglietta arancione. Si capisce che qualcuno gliel'ha data per l'evento e che loro non sanno molto della manifestazione cui stanno partecipando. Dal colletto della maglietta di uno di loro, si nota chiaramente che sotto quella arancione ne hanno un'altra. C'è persino uno che se l'è tolta per il troppo caldo e la usa per asciugarsi il sudore.Gli chiediamo perché hanno partecipato. Uno dei ragazzi risponde a fatica in italiano, «perché il mangiare è gratuito». A questo punto chiediamo se sono qui con una associazione. Un altro risponde, «bene», lasciando intuire che l'italiano va affinato ancora un po'. Alla fine uno dei quattro ragazzi risponde «Acuarinto», riferendosi a un'associazione no profit fondata ad Agrigento ma operante in tutta Italia. Poi aggiunge, «da tre giorni», facendo intendere di non avere proprio ben chiaro il motivo per cui sono al Sempione. Per inciso, nel tardo pomeriggio di ieri sono uscite delle foto che ritraevano Sala insieme a un gruppo di ragazzi con indosso le magliette della medesima associazione, come simbolo di integrazione.Alla fine, dunque, i primi a dire no alla ricetta milanese del sindaco Sala sono stati proprio i migranti con le loro associazioni. E anche quelli presenti non parevano mossi da un grande spirito di condivisione, quanto più dalla prospettiva di un pasto gratuito. Sia chiaro, però, portato da casa. Gianluca Baldini<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-tavolata-e-un-fallimento-ai-migranti-convocati-interessa-solo-una-cosa-qui-mangiamo-gratis-2580654126.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="saviano-indica-al-pd-come-evaporare-ripartiamo-da-rom-gay-e-profughi" data-post-id="2580654126" data-published-at="1758018205" data-use-pagination="False"> Saviano indica al Pd come evaporare: «Ripartiamo da rom, gay e profughi» Dai girotondi alle grigliate. Passano gli anni, ma la sinistra non va oltre l'opposizione da campeggio. «Amiamo la diversità e ci costruiamo sopra il futuro». Attorno a un involtino primavera e a una ciotola di cous-cous il sindaco di Milano, Beppe Sala, prova a ricompattare i compagni per far fronte alla nuova stagione politica piena di insidie populiste. E lo fa strumentalizzando la legittima richiesta di maggior sicurezza da parte (anche) dei suoi concittadini, mettendosi contro la maggioranza del Paese che diffida dei clandestini (solo il 18% considera positivo il loro impatto sociale, fonte Ipsos). «L'accoglienza è irrinunciabile per noi, l'accoglienza non si tocca», azzarda alzando la voce per scaldare una folla più attratta dai piatti multietnici che dalla solita minestra progressista. Il picnic radical chic si chiama «Insieme senza muri», è sponsorizzato da chi ha nostalgia di quello di Berlino e va in scena al parco Sempione di Milano, dove la Soprintendenza ha vietato le altalene per i bambini, ma giustamente non ha niente da dire davanti allo spettacolo della tavolata di due chilometri con i migranti della città. Alcuni, neppure tanti (circa 5.000) radunati dalle associazioni che fanno capo all'assessore Pierfrancesco Majorino, titolare dei Servizi sociali e del bacino di voti decisivo per l'elezione del borgomastro. L'allarme democratico al profumo di salamella è un riflesso condizionato di 25 anni fa, quando si presentò sulla scena Silvio Berlusconi. La politica declina e balbetta? L'esule Matteo Renzi, l'autoreggente Maurizio Martina e il querulo Carlo Calenda non incidono? Ecco la società civile, vale a dire il consueto campionario di attivisti e intellettuali di complemento, a occupare allegramente la scena. Allora i leader erano Nanni Moretti e l'immaginifico Pancho Pardi con i loro girotondi, adesso il primato è ancora incerto: da una parte c'è Sala che apre i discorsi, dall'altra c'è Roberto Saviano che li chiude. In mezzo la supereuropeista Emma Bonino che voleva regolarizzare mezzo milione di clandestini per decreto e Oliviero Toscani che si è offerto di fare la fotografia al nuovo Terzo Stato in movimento verso Capalbio. Oscar Farinetti si è già sfilato, ma ha lasciato il marchio di Eataly sulla manifestazione perché non si sa mai. L'arcivescovo Mario Delpini benedice la tavola e i commensali, lui sì dentro il proprio ruolo morale: «Benedetta sei tu Milano per la folla sterminata che si dedica a far del bene nel volontariato, per le tue chiese, per la pluralità delle confessioni e delle religioni che cercano di essere assieme, perché sei capace di dar da mangiare a tutti quelli che arrivano, perché dai voce a chi non ha voce e vieni in soccorso a chi non ha soccorso». Quando arriva il momento di Sala, l'uditorio dei fedelissimi lo ascolta come se fosse il Mahatma Gandhi. «Non possiamo accontentarci di sentirci diversi, questo è il momento di allontanare da noi senso di superiorità morale», ammonisce il sindaco per poi enfatizzare la superiorità morale del club dentro un campionario di luoghi comuni. «Noi che crediamo in una Milano civile e aperta, che guarda al passato e ne è consapevole, che vive il presente e pensa al suo futuro. Le paure ci sono, tutti le hanno, anche io. Milano però le paure le gestisce, non le butta addosso agli altri. Milano non ha paura della diversità, ma ci costruisce sopra il futuro, lo facciamo da 26 secoli: questa magnifica città è arrivata dove è arrivata integrando e mettendo assieme le qualità di tutti noi. Non saremo mai accondiscendenti verso un atteggiamento che sta dilagando da Donald Trump all'Europa». Poi si dedica a Matteo Salvini: «Il mio atteggiamento non sarà quello di demonizzare il ministro dell'Interno, ma batterlo con le idee. Noi abbiamo il dovere di farlo, siamo i figli di Ariberto da Intimiano, di Pietro Verri, di Cesare Beccaria, di Filippo Turati, di Carlo Maria Martini. Sono l'anti Salvini di Milano». Ben più di pancia Roberto Saviano, candidato numero uno all'elezione di re della tavolata, arrivato agguerritissimo dall'attico di Manhattan. Il suo obiettivo è semplice, mandare a casa Salvini. «Censire i rom? Dirlo con quei toni, senza approfondire mai, vuol dire lasciare intendere il gioco della stella. Anche sui migranti: aiutarli a casa loro significa lontano da me, fuori dagli occhi». Lo scrittore aveva chiamato a raccolta il pubblico su Facebook così: «Gay, migranti, rom: siamo una comunità di minoranze. Siamo argine alla prepotenza di questi giorni creando uno spazio umano». Poi parla della sua scorta come se qualcuno avesse voluto toglierla: «È terribile che un ministro parli pubblicamente di protezione, sono temi delicatissimi». Saviano poi si aggrappa alle fake news, avrebbe bisogno di un ghost writer più solido. Per l'applauso finale si affida al suo cavallo di battaglia preferito, i soldi scomparsi della Lega. «Dovrebbero ricordare a Salvini i 50 milioni rubati allo Stato italiano. Perché non creiamo un Restitution day?». I migranti sono dietro le spalle, non se li fila più nessuno. E quando comincia a suonare la Treves Blues Band significa che siamo ai titoli di coda. Il picnic del cuore è finito, la sinistra Ztl può tornare soddisfatta negli attici del centro con la porta blindata e l'allarme. «Insieme senza muri». Ma per migliaia di immigrati la ricetta Milano è anche insieme senza tetto, senza lavoro. E soprattutto senza speranza. Giorgio Gandola
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)