2020-04-25
La secolare autonomia regionale dell’agnello
La nostra è la nazione che presenta il ricettario più ricco rispetto al resto d'Europa. Ci sono i tipi da latte (sino a 4-6 settimane, rosati e morbidi) e quelli dalle carni più saporite perché integrate dalle erbe al pascolo. Ma solo fino all'anno di vita: poi diventa montone.Ci eravamo lasciati dopo una transumanza tra ricordi e testimonianze a raccontare quale profondo legame ci sia tra la storia dell'uomo e le aree dei pascoli di montagna, in percorsi quasi dimenticati tra l'arco alpino e la dorsale appenninica, con l'agnello protagonista. Parlare di agnello, nel terzo millennio, rischia di trovare delle aree protette dl lettura a prescindere da parte di chi, con piena legittimità, non accetta il sacrificio di queste innocenti creature la cui fisiognomica animale è tra quelle che intenerisce di più grandi e piccini. Tuttavia va ricordato che questi annali di gola recitano La storia in tavola e quindi i passaggi a seguire non vogliono essere un'istigazione a promuovere la futura mattanza dei figli maschi di mamma pecora, ma sono semplicemente un racconto di tradizioni che, specialmente nell'italico Centro Sud, laddove l'allevamento bovino è meno diffuso, presentano un profondo legame con usi e costumi radicati da sempre. A questo va aggiunta anche un'altra considerazione e cioè che, al di là della testimonianza di quanto andremo a raccontare, i numeri dicono che circa la metà della carne d'agnello consumata ogni anno non deriva da allevamenti nostrani, ma da importazioni dall'area balcanica orientale con una qualità del prodotto non sempre all'altezza. Addentrandosi in questo gregge dalle mille risorse (lana, latte e quindi formaggi, carne e derivati) si scopre che, effettivamente, l'Italia è quella che presenta un ricettario con l'agnello protagonista superiore al resto del continente. Agnello definito tale fino ad un anno di età, dopo di che diventa montone. A sua volta troviamo l'agnello da latte (sino a quattro - sei settimane, dalla carne rosata e morbida, frutto solo dell'alimentazione lattea) e l'agnello dalle carni più saporite perché integrate dalle erbe al pascolo. Il 70% delle razze nostrane è principalmente da latte, su tutte quella sarda, tanto che da lei deriva poi la maggior parte del pecorino romano. Apprezzata per le carni la razza bergamasca. Molto duttili, sia carne che latte, la siciliana barbaresca o la toscana garfagnina bianca. I vari tagli, spalla, cosce, costolette e altro, possono essere indicati per le due principali preparazioni, ovvero arrosto o al forno, con infinite varianti regionali. È una carne per cui più l'agnello è andato al pascolo e più è necessaria un'attenta marinatura al fine di eliminare piccoli retrogusti che possono risultare poco gradevoli, cosa non necessaria se, invece, la preparazione è in umido. Vi è poi il ragù che dà lo sprint a vari gemellaggi al piatto. Con paccheri e 'nduja calabrese (che ha reso celebre Francesco Mazzei a Londra) o i più tradizionali spaghetti alla chitarra in Abruzzo, orecchiette pugliesi, malloreddus sardi. Non mancano gli insaccati, come il gigot alle erbe, un prosciutto nel Veneto, mentre in Trentino Alto Adige troviamo gli affumelli, piccoli salamini affumicati con legno di faggio. Prendiamo la valigia e cominciamo a raccogliere le ricette più curiose che storia e tradizione hanno portato sino a noi. Il buglione maremmano è uno stufato con vari tagli misti ad erbe e aromi che furoreggia tra i vacanzieri a Capalbio, con vista mare, mentre in Umbria troviamo l'agnello in porchetta che fa concorrenza alla più tradizionale preparazione suina. L'abbacchio a scottadito è uno dei più seriali peccati di gola laziali, le carni arrostite ai ferri e subito azzannate, se brevi manu c'est plus ingorde. Abbacchio che rimanda al baculus, ovvero il bastone che teneva legato l'agnellino al pascolo, per permettere alla madre di allattarlo comodamente mentre era dedita ai piaceri del pascolo. Altro grande classico la coratella, una spadellata di frattaglie con erbe e aromi che lascia il palato pieno di nostalgia in chi l'ha provata. Mano a mano che si scende lungo la penisola le tentazioni a infrangere i fioretti della dieta vegetariana diventano sempre più letali. Nella terra della transumanza, l'Abruzzo, ecco l'agnello cacio e uova, che viaggia ancora meglio con una spruzzata di limone e diventa «all'angolana» nel Pescarese. Fa il paio con la versione con piselli e uova, a Napoli e dintorni, laddove il turbo glielo può dare una manciata di pecorino. In terre borboniche le frattaglie agnellose vanno a mille, a partire dal marro delle Murge, involtini compressi e speziati, serviti con patate e lampascioni per cui vi potete poi aggirare per i trulli in attesa del bis. E che dire dei lucani gnummarieddi, tipici delle zone rurali quando, un tempo peraltro neanche molto lontano, a mezzadri e padroni erano riservate le carni pregiate del pascolo e i contadini, nelle masserie, dovevano accontentarsi delle umili frattaglie avvolte nell'intestino dell'animale, passate e rosolate sulla griglia, per non dire suffuchete, dalle parti di Locorotondo, cotte nel camino su di una pignatta alla brace e «soffocate» da cipolle, pecorino, peperoncino. Così come, sulle coste calabresi degli aranci troviamo la tiana, un capace contenitore che, dopo la cottura con mollica, cipolle e pecorino, veniva messa al centro della tavola nel segno di una convivialità condivisa. Passato lo stretto l'agnello, in Sicilia, è re indiscusso. Innumerevoli le sue armi di seduzione. Si va dalle stigghiole, preparate dallo stigghiularu, la star degli street fooder palermitani, budellini aromatizzati con prezzemolo e cipolla serviti su di uno spiedino da mordere al volo, come i turciniuna ragusani, involtini cotti in padella che vanno in lambada calorica con il caciocavallo, per finire in gloria con l'mpanata pasquale, una specie di focaccia arricchita con cipolla e piselli. Tuttavia la regione capitale è la Sardegna con specialità che ci devi andare apposta per gustarle in tutto il loro splendore come, ad esempio, la fregola, palline di grano lavorate a mano e tostate al forno (una specie di cous cous alla sarda), che con la carne d'agnello sono in simbiosi da sempre. Una storia a sé i piedini, must della cucina sassarese. Nati per necessità. Un tempo i lavoranti delle concerie li buttavano nelle tremme (le discariche) come vuoti a perdere. Ci fu chi non solo li recuperò ma, dopo adeguato trattamento, disossati e bolliti, li ha resi degni di miglior sepoltura gastrica abbinati a pomodoro, peperoncino e quant'altro dispensa poteva offrire. La discesa negli inferi di gola peccaminosa oramai è degna del miglior Jules Verne. Sa cordula è una treccia di intestini racchiusa in sa nappa, ovvero l'omento che richiede una manualità paziente ma che premia poi i fortunati che se la possono pappare, arrostita o cucinata in pentola con piselli, e che dire di sa trattalia uno spiedo che, solo a vederlo, è pura opera d'arte (anche golosa). Ideale il legno d'ulivo, che regala un profumo straordinario, servito sulla scivedda, una zuppiera dove alla base le fette di pane assorbono il meglio degli umori che si andranno a liberare, il tutto abbellito da profumi di mirto che, a confronto, non c'è Chanel che tenga. E poi ancora la panada, il gioiello goloso di Assemini, nel cagliaritano, una sorta di pizza sarda che, un tempo, era cibo dei pastori. Una scultura edibile con la pasta modellata, sa considura, da mani virtuose che la rendono accogliente custodia di carne d'agnello lavorata con uva passa e verdure di stagione. Svuotata del suo contenuto, viene immolata pure essa a far companatico finale, nello spirito che non si butta via nulla. Roberto Pilli, medico e presidente della comunità mondiale della longevità, l'ha definita «una riuscita sintesi tra gusto e salute». Proiettati nella modernità svariate le preparazioni che vedono l'agnello protagonista, a partire dal lamburgher di Luigi Taglienti ma, in osservanza a quanto detto in apertura, e che cioè avremmo ricordato solo i codici di storia e tradizione, ci fermiamo qui rispettosi.