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2025-06-06
La Germania si rifà la mega armata. Diktat americano sui soldi alla Nato
Esercito tedesco
Dopo il Regno Unito, tocca alla Germania. Ieri, Londra ha ribadito che investirà per migliorare la «letalità» e la «prontezza» del suo esercito. Poi, a margine della ministeriale Nato di Bruxelles, il titolare della Difesa tedesco ha annunciato che Berlino recluterà «50-60.000 soldati», al fine di soddisfare i nuovi obiettivi di capacità dell’Alleanza atlantica. Anche se, almeno per adesso, non occorrerà il ripristino della leva, di cui pure si era parlato mesi fa.
Dal momento che è la maggiore economia europea, ha aggiunto Boris Pistorius, il Paese «fornirà il secondo pacchetto di capacità più consistente all’interno della Nato, ad esempio attraverso la costituzione e il completo equipaggiamento di nuove unità a livello di brigata e il pieno equipaggiamento delle proprie brigate da combattimento». Una gara al riarmo resa possibile dalla riforma costituzionale approvata dal Bundestag, che ha rappresentato, a parere dell’esponente socialdemocratico, «un cambio di paradigma», sbloccando 1.000 miliardi di investimenti pubblici. Mossa elogiata da Donald Trump, che ha ricevuto il cancelliere Friedrich Merz nello Studio ovale, con cui ha discusso anche della presenza di truppe Usa sul suolo tedesco. Se Uk e Germania, oggi, non avessero in comune l’avversario russo, sembrerebbe di essere tornati ai prodromi della prima guerra mondiale.
Con franchezza, il ministro teutonico ha sottolineato l’importanza politica di identificare nemico esterno. Secondo Pistorius, nelle dichiarazioni conclusive del summit dell’Aja, che inizierà il 24 giugno, si dovrà affermare che Mosca è la principale minaccia per la Nato: «Altrimenti, sarebbe difficile anche per noi spiegare» ai cittadini perché le spese militari debbano aumentare. E perché la Germania, da nazione smobilitata, debba ridiventare una potenza marziale. Il premier ungherese, Viktor Orbán, ha lanciato un’accusa pesante all’Ue: intende scagliare «un attacco preventivo» ai danni della Russia.
Il vertice belga di ieri si è aperto nel segno delle pretese americane in merito agli impegni finanziari dei membri della coalizione. Il capo del Pentagono, Pete Hegseth, è stato esplicito: «Gli Stati Uniti sono orgogliosi di essere qui al fianco dei nostri alleati, ma il nostro messaggio continuerà a essere chiaro: deterrenza e pace attraverso la forza. Ma non può trattarsi di fare affidamento» soltanto su Washington. «Non può e non deve esserci una dipendenza dall’America in un modo con molte minacce». L’uomo di Trump ritiene che, in Olanda verrà formalizzato l’obbligo, in capo agli Stati Nato, di portare le spese per la Difesa al 5% del Pil. In molti, ha riconosciuto Hegseth, già «superano ampiamente il 2%», però, in generale, «è tempo per l’Europa di fare di più». Lo scopo di tutto ciò, ha osservato il segretario generale dell’organizzazione, Mark Rutte, è riequilibrare i contributi del Vecchio continente, del Canada e degli Usa.
I baltici sono entusiasti; per l’Italia è un problema. Nel 2024 e nel 2025, il rapporto tra somme erogate per acquisti di mezzi militari e Prodotto interno lordo si attesterebbe all’1,3%. Distante persino dal minimo sindacale del 2, al quale, ad esempio, Madrid si atterrà quest’anno. I target Nato sono onerosi: un incremento del 30% delle capacità belliche rispetto al tetto stabilito nel 2021, che, in ogni caso, è stato realizzato solo al 60-80%. Dunque, l’aumento effettivo oscillerà tra il 50 e l’80%. Rutte ha definito «storica» l’intesa.
Il nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha subito fatto qualche precisazione sui desiderata del Pentagono: «Il tema sul tavolo del leader» all’Aja, ha dichiarato, seguito a ruota dallo stesso Rutte, «sarà quello di un 3,5%» del Pil da destinare alla Difesa e di un ulteriore 1,5% per capacità parallele, da sviluppare entro un termine che Roma e Londra vorrebbero spostare dal 2032 al 2035. Sarà necessario acquisire più personale e il ministero sta già «elaborando un piano». Crosetto, qui più diplomatico di Pistorius, ha voluto sottolineare che non considera la Russia «una nazione nemica», ma che è preoccupato dal suo riarmo: vanta numeri «mai visti dalla fine della guerra fredda» e «siccome la Russia non programma mai nulla per caso, mi chiedo a cosa servono».
Occhio a quell’1,5% cui ha accennato il ministro: è lì che ci si potrebbe ricavare un margine di manovra, per evitare le «scelte dolorose» evocate ieri, in un’intervista sulla Stampa, dal commissario Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis. Il quale ha ricordato che è possibile attivare le clausole di salvaguardia per la sospensione del Patto di stabilità e ha sollecitato un dirottamento dei fondi del Pnrr al settore militare. Crosetto ha ripetuto che, sui vincoli di bilancio, non è stata ancora presa una decisione. Il vicepremier Antonio Tajani, che ha rinfacciato agli Usa la contraddizione tra il chiedere più investimenti e l’imporre dazi, ha invece rispolverato una soluzione ingegnosa: far rientrare nel 5% imposto dalla Casa Bianca anche spese affini. Tipo quella per il Ponte sullo stretto di Messina, «fondamentale per garantire la sicurezza».
Intanto, sul business del riarmo si sta tuffando la Turchia, la quale preme sull’Europa affinché acquisti i suoi prodotti. Il levantino perde il pelo, ma non il fiuto per gli affari.
«Ho chiesto a Putin di non reagire»
Resta incandescente il clima tra Russia e Ucraina all’indomani dei colloqui telefonici del presidente russo Vladimir Putin con l’omologo Donald Trump e con papa Leone XIV.
Il tycoon, in occasione dell’incontro con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, ha reso noto che non crede che verrà firmato un accordo tra le due parti in guerra, promettendo che, nel caso in cui non venga raggiunta una tregua, sarà «durissimo» con Mosca. Pur non essendoci una scadenza ufficiale per imporre le sanzioni alla Russia, il presidente americano ha specificato: «Quando mi renderò conto che saremo impantanati, sarò durissimo».
Mosca è sempre intenzionata a rispondere ai recenti attacchi ucraini contro i bombardieri russi, con il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha ribadito che la rappresaglia avverrà «quando e come le forze armate riterranno opportuno». Non è altro che la conferma di come siano caduti quindi nel vuoto gli appelli portati avanti sia da Trump che dal pontefice: il primo ha invitato Mosca a desistere pur riconoscendo che Putin «è stato colpito duro e risponderà colpendo duro», mentre il secondo ha esortato il presidente russo a mostrare «un gesto che favorisca la pace».
Oltre alla minaccia di una rappresaglia, la Russia sta agendo anche su altri due fronti. Da una parte ha richiesto «una forte condanna» da parte della comunità internazionale contro Kiev. Dall’altra, ha emesso un mandato d’arresto contro l’ucraino Artyom Timofeyev: il proprietario dei cinque camion usati per attaccare le quattro basi aeree russe. Ma ci tiene anche a ridimensionare la beffa subita: il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha precisato che gli aerei russi «non sono stati distrutti ma danneggiati», dunque «saranno riparati». Per quel raid, l’ambasciatore russo a Londra evoca un coinvolgimento inglese.
Nel mezzo delle operazioni militari e delle annunciate ritorsioni, secondo la Russia i colloqui tra le due parti in conflitto non devono però subire rallentamenti. Peskov ha infatti confermato che i contatti «a livello operativo» tra Kiev e Mosca non devono subire una battuta d’arresto.
Il portavoce del Cremlino ha anche fornito più dettagli sui colloqui telefonici che Putin ha avuto con il Papa e con Trump mercoledì. Riguardo al primo, ha spiegato che il presidente russo «ha espresso un’elevata valutazione del contributo del Vaticano alla risoluzione di diverse questioni umanitarie», mentre con il secondo la conversazione è stata «costruttiva e necessaria».
Chi intravede un ruolo guida del Vaticano nelle trattative per la tregua è l’Ucraina. L’ambasciatore gialloblù presso la Santa Sede, Andrii Yurash, su X, ha osservato come il Vaticano sia «il luogo veramente più logico e appropriato per i negoziati per raggiungere la pace».
Intanto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, su X, continua a chiedere a gran voce «azioni dagli Stati Uniti, l’Europa e tutti coloro che nel mondo possono aiutare».
Ma nell’appoggio a Kiev, a livello militare, ci sarebbe un ulteriore passo indietro da parte della Casa Bianca. Secondo il Wall street journal, Washington avrebbe deciso di dirottare la propria tecnologia anti drone dall’Ucraina all’aeronautica militare statunitense stanziata in Medio Oriente. Inoltre, sebbene «gli alleati hanno promesso oltre 20 miliardi di euro» per il 2025 a Kiev, come annunciato dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, pare ci siano delle divergenze tra l’Europa e l’Ucraina sulle ricchezze russe congelate. Stando a quanto riportato da Reuters, diversi funzionari del governo ucraino hanno criticato la decisione della società belga Euroclear di sequestrare miliardi di euro di beni russi per risarcire gli investitori occidentali in Russia. La mossa indebolirebbe la posizione europea, creando «una percezione di incoerenza».
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Il ministro Boris Pistorius: «Reclutiamo 60.000 uomini. Si dica che Mosca è la principale minaccia o non riusciremo a giustificare il riarmo». Il capo del Pentagono preme per il 5% del Pil in spese militari. L’Italia: «Entro il 2035».Donald Trump svela di aver provato a contenere lo zar, ma ammette: «Colpirà in modo pesante, tra lui e Kiev niente accordi. Senza tregua sarò durissimo con la Russia».Lo speciale contiene due articoliDopo il Regno Unito, tocca alla Germania. Ieri, Londra ha ribadito che investirà per migliorare la «letalità» e la «prontezza» del suo esercito. Poi, a margine della ministeriale Nato di Bruxelles, il titolare della Difesa tedesco ha annunciato che Berlino recluterà «50-60.000 soldati», al fine di soddisfare i nuovi obiettivi di capacità dell’Alleanza atlantica. Anche se, almeno per adesso, non occorrerà il ripristino della leva, di cui pure si era parlato mesi fa.Dal momento che è la maggiore economia europea, ha aggiunto Boris Pistorius, il Paese «fornirà il secondo pacchetto di capacità più consistente all’interno della Nato, ad esempio attraverso la costituzione e il completo equipaggiamento di nuove unità a livello di brigata e il pieno equipaggiamento delle proprie brigate da combattimento». Una gara al riarmo resa possibile dalla riforma costituzionale approvata dal Bundestag, che ha rappresentato, a parere dell’esponente socialdemocratico, «un cambio di paradigma», sbloccando 1.000 miliardi di investimenti pubblici. Mossa elogiata da Donald Trump, che ha ricevuto il cancelliere Friedrich Merz nello Studio ovale, con cui ha discusso anche della presenza di truppe Usa sul suolo tedesco. Se Uk e Germania, oggi, non avessero in comune l’avversario russo, sembrerebbe di essere tornati ai prodromi della prima guerra mondiale.Con franchezza, il ministro teutonico ha sottolineato l’importanza politica di identificare nemico esterno. Secondo Pistorius, nelle dichiarazioni conclusive del summit dell’Aja, che inizierà il 24 giugno, si dovrà affermare che Mosca è la principale minaccia per la Nato: «Altrimenti, sarebbe difficile anche per noi spiegare» ai cittadini perché le spese militari debbano aumentare. E perché la Germania, da nazione smobilitata, debba ridiventare una potenza marziale. Il premier ungherese, Viktor Orbán, ha lanciato un’accusa pesante all’Ue: intende scagliare «un attacco preventivo» ai danni della Russia. Il vertice belga di ieri si è aperto nel segno delle pretese americane in merito agli impegni finanziari dei membri della coalizione. Il capo del Pentagono, Pete Hegseth, è stato esplicito: «Gli Stati Uniti sono orgogliosi di essere qui al fianco dei nostri alleati, ma il nostro messaggio continuerà a essere chiaro: deterrenza e pace attraverso la forza. Ma non può trattarsi di fare affidamento» soltanto su Washington. «Non può e non deve esserci una dipendenza dall’America in un modo con molte minacce». L’uomo di Trump ritiene che, in Olanda verrà formalizzato l’obbligo, in capo agli Stati Nato, di portare le spese per la Difesa al 5% del Pil. In molti, ha riconosciuto Hegseth, già «superano ampiamente il 2%», però, in generale, «è tempo per l’Europa di fare di più». Lo scopo di tutto ciò, ha osservato il segretario generale dell’organizzazione, Mark Rutte, è riequilibrare i contributi del Vecchio continente, del Canada e degli Usa.I baltici sono entusiasti; per l’Italia è un problema. Nel 2024 e nel 2025, il rapporto tra somme erogate per acquisti di mezzi militari e Prodotto interno lordo si attesterebbe all’1,3%. Distante persino dal minimo sindacale del 2, al quale, ad esempio, Madrid si atterrà quest’anno. I target Nato sono onerosi: un incremento del 30% delle capacità belliche rispetto al tetto stabilito nel 2021, che, in ogni caso, è stato realizzato solo al 60-80%. Dunque, l’aumento effettivo oscillerà tra il 50 e l’80%. Rutte ha definito «storica» l’intesa. Il nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha subito fatto qualche precisazione sui desiderata del Pentagono: «Il tema sul tavolo del leader» all’Aja, ha dichiarato, seguito a ruota dallo stesso Rutte, «sarà quello di un 3,5%» del Pil da destinare alla Difesa e di un ulteriore 1,5% per capacità parallele, da sviluppare entro un termine che Roma e Londra vorrebbero spostare dal 2032 al 2035. Sarà necessario acquisire più personale e il ministero sta già «elaborando un piano». Crosetto, qui più diplomatico di Pistorius, ha voluto sottolineare che non considera la Russia «una nazione nemica», ma che è preoccupato dal suo riarmo: vanta numeri «mai visti dalla fine della guerra fredda» e «siccome la Russia non programma mai nulla per caso, mi chiedo a cosa servono». Occhio a quell’1,5% cui ha accennato il ministro: è lì che ci si potrebbe ricavare un margine di manovra, per evitare le «scelte dolorose» evocate ieri, in un’intervista sulla Stampa, dal commissario Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis. Il quale ha ricordato che è possibile attivare le clausole di salvaguardia per la sospensione del Patto di stabilità e ha sollecitato un dirottamento dei fondi del Pnrr al settore militare. Crosetto ha ripetuto che, sui vincoli di bilancio, non è stata ancora presa una decisione. Il vicepremier Antonio Tajani, che ha rinfacciato agli Usa la contraddizione tra il chiedere più investimenti e l’imporre dazi, ha invece rispolverato una soluzione ingegnosa: far rientrare nel 5% imposto dalla Casa Bianca anche spese affini. Tipo quella per il Ponte sullo stretto di Messina, «fondamentale per garantire la sicurezza». Intanto, sul business del riarmo si sta tuffando la Turchia, la quale preme sull’Europa affinché acquisti i suoi prodotti. Il levantino perde il pelo, ma non il fiuto per gli affari.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-germania-si-riarma-2672321729.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ho-chiesto-a-putin-di-non-reagire" data-post-id="2672321729" data-published-at="1749210403" data-use-pagination="False"> «Ho chiesto a Putin di non reagire» Resta incandescente il clima tra Russia e Ucraina all’indomani dei colloqui telefonici del presidente russo Vladimir Putin con l’omologo Donald Trump e con papa Leone XIV. Il tycoon, in occasione dell’incontro con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, ha reso noto che non crede che verrà firmato un accordo tra le due parti in guerra, promettendo che, nel caso in cui non venga raggiunta una tregua, sarà «durissimo» con Mosca. Pur non essendoci una scadenza ufficiale per imporre le sanzioni alla Russia, il presidente americano ha specificato: «Quando mi renderò conto che saremo impantanati, sarò durissimo». Mosca è sempre intenzionata a rispondere ai recenti attacchi ucraini contro i bombardieri russi, con il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha ribadito che la rappresaglia avverrà «quando e come le forze armate riterranno opportuno». Non è altro che la conferma di come siano caduti quindi nel vuoto gli appelli portati avanti sia da Trump che dal pontefice: il primo ha invitato Mosca a desistere pur riconoscendo che Putin «è stato colpito duro e risponderà colpendo duro», mentre il secondo ha esortato il presidente russo a mostrare «un gesto che favorisca la pace». Oltre alla minaccia di una rappresaglia, la Russia sta agendo anche su altri due fronti. Da una parte ha richiesto «una forte condanna» da parte della comunità internazionale contro Kiev. Dall’altra, ha emesso un mandato d’arresto contro l’ucraino Artyom Timofeyev: il proprietario dei cinque camion usati per attaccare le quattro basi aeree russe. Ma ci tiene anche a ridimensionare la beffa subita: il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha precisato che gli aerei russi «non sono stati distrutti ma danneggiati», dunque «saranno riparati». Per quel raid, l’ambasciatore russo a Londra evoca un coinvolgimento inglese. Nel mezzo delle operazioni militari e delle annunciate ritorsioni, secondo la Russia i colloqui tra le due parti in conflitto non devono però subire rallentamenti. Peskov ha infatti confermato che i contatti «a livello operativo» tra Kiev e Mosca non devono subire una battuta d’arresto. Il portavoce del Cremlino ha anche fornito più dettagli sui colloqui telefonici che Putin ha avuto con il Papa e con Trump mercoledì. Riguardo al primo, ha spiegato che il presidente russo «ha espresso un’elevata valutazione del contributo del Vaticano alla risoluzione di diverse questioni umanitarie», mentre con il secondo la conversazione è stata «costruttiva e necessaria». Chi intravede un ruolo guida del Vaticano nelle trattative per la tregua è l’Ucraina. L’ambasciatore gialloblù presso la Santa Sede, Andrii Yurash, su X, ha osservato come il Vaticano sia «il luogo veramente più logico e appropriato per i negoziati per raggiungere la pace». Intanto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, su X, continua a chiedere a gran voce «azioni dagli Stati Uniti, l’Europa e tutti coloro che nel mondo possono aiutare». Ma nell’appoggio a Kiev, a livello militare, ci sarebbe un ulteriore passo indietro da parte della Casa Bianca. Secondo il Wall street journal, Washington avrebbe deciso di dirottare la propria tecnologia anti drone dall’Ucraina all’aeronautica militare statunitense stanziata in Medio Oriente. Inoltre, sebbene «gli alleati hanno promesso oltre 20 miliardi di euro» per il 2025 a Kiev, come annunciato dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, pare ci siano delle divergenze tra l’Europa e l’Ucraina sulle ricchezze russe congelate. Stando a quanto riportato da Reuters, diversi funzionari del governo ucraino hanno criticato la decisione della società belga Euroclear di sequestrare miliardi di euro di beni russi per risarcire gli investitori occidentali in Russia. La mossa indebolirebbe la posizione europea, creando «una percezione di incoerenza».
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Meloni ha poi lanciato un altro attacco all’opposizione a proposito di Abu Mazen, presidente della Palestina: «La sua bella presenza qui ad Atreju fa giustizia delle accuse vergognose di complicità in genocidio che una sinistra imbarazzante ci ha rivolto per mesi». E ancora contro la sinistra: «La buona notizia è che ogni volta che loro parlano male di qualcosa va benissimo. Cioè parlano male di Atreju ed è l’edizione migliore di sempre, parlano male del governo, il governo sale nei sondaggi, hanno tentato di boicottare una casa editrice, è diventata famosissima. Cioè si portano da soli una sfiga che manco quando capita la carta della Pagoda al Mercante in fiera, visto che siamo in clima natalizio. E allora grazie a tutti quelli che hanno fatto le macumbe». L’altra stilettata ironica a proposito del premio dell’Unesco che riconosce la cucina italiana come bene immateriale dell’umanità: «A sinistra non è andato bene manco questo. Loro non sono riusciti a gioire per un riconoscimento che non è al governo ma alle nostre mamme e nonne, alle nostre filiere, alla nostra tradizione, alla nostra identità. Hanno rosicato così tanto che è una settimana che mangiano tutti dal kebabbaro. Veramente roba da matti». Ricordando l’unità della coalizione, Meloni ha sottolineato che questa destra «non è un incidente della storia» rivendicando le iniziative adottate in tre anni di esecutivo. Il premier ha poi toccato i temi di attualità e a proposito dell’equità fiscale rivendicata dall’opposizione ha scandito: «Non accettiamo lezioni da chi fa il comunista con il ceto medio e il turbo capitalista a favore dei potenti. Oggi il Pd si indigna perché gli Elkann vogliono vendere il gruppo Gedi e non ci sarebbero garanzie per i lavoratori però quando chiudevano gli stabilimenti di Stellantis ed erano gli operai a perdere il posto di lavoro, tutti muti. Anche Landini sul tema fischiettava». Non sono mancati i riferimenti ai temi caldi del centrodestra: immigrazione, riforma della giustizia, guerra in Ucraina ed Ue con il disimpegno di Trump e il Green Deal.
Sul palco anche i due vicepremier. «La mia non vuole essere solo una presenza formale, ma una presenza per riconfermare un impegno che tutti noi abbiamo preso nel 1994» ha detto il leader di Fi Antonio Tajani. «Ma gli accordi di alleanze fatte soprattutto di lealtà e impegno, devono essere rinnovati ogni giorno. La ragione di esistere di questa coalizione è fare l’interesse di ciascuno dei 60 milioni di cittadini italiani. E lo possiamo fare garantendo, grazie all’unità di questa coalizione, stabilità politica a questo Paese». Per il leader leghista Matteo Salvini “c’è innanzitutto l’orgoglio di esserci dopo tanti anni. Ci provano in tutti i modi a far litigare me e Giorgia. Ma amici giornalisti, mettetevi l’anima in pace: non ci riuscirete mai». Poi il ministro dei Trasporti ha assicurato che farà «di tutto» per avviare i lavori per il Ponte sullo Stretto, ha rilanciato sull’innalzamento del tetto del contante e sull’impegno anti maranza e infine ricordato come il governo stia facendo un buon lavoro nella tassazione delle banche.
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C'è un'invenzione che si deve agli aviatori, anzi, a un minuto personaggio brasiliano stanco di dover cercare l'orologio nel suo taschino mentre pilotava l'aeroplano.
Getty Images
Se a causa degli scandali, il supporto alla resistenza ucraina mostra vistose crepe, con più della metà degli italiani che non è intenzionata a sostenere militarmente le truppe che cercano di respingere l’armata russa, non è che i soldati che da quasi quattro anni combattono sembrano poi pensarla in modo molto diverso. Sul Corriere della Sera ieri è stata pubblicata un’immagine in cui si vedono militari in divisa sfatti dalla fatica. Tuttavia, a colpire non è la stanchezza dei soldati, ma la loro età. Si capisce chiaramente che non si tratta di giovani bensì di anziani, considerando che comunque l’età media dei militari è superiore ai 40 anni. Uomini esausti, ma soprattutto anagraficamente lontani da un’immagine di agilità e forza. Intendiamoci, a volte gli anni portano esperienza e competenza, soprattutto al fronte, dove serve sangue freddo per non rischiare la pelle. Ma non è questo il punto: non si tratta di pensionare i militari più vecchi, ma di reclutare i giovani e questo è un problema che la fotografia pubblicata sul quotidiano di via Solferino ben rappresenta. Il giornale, infatti, ci informa che 235.000 militari non si sono presentati ai loro reparti e quasi 54.000 sono già stati ufficialmente dichiarati disertori. In pratica, un soldato su quattro del milione mobilitato pare non avere alcuna intenzione di imbracciare un fucile. Per quanto le guerre moderne si combattano con l’Intelligenza artificiale, con i satelliti e i droni, poi alla fine la differenza la fanno sempre gli uomini. A Pokrovsk, la città che da un anno resiste agli assalti delle truppe russe, impedendo agli uomini di Putin di dilagare nel Donbass, se non ci fossero reparti coraggiosi che continuano a respingere gli invasori, Mosca avrebbe già visto sventolare la sua bandiera sui tetti delle poche costruzioni rimaste in piedi dopo mesi di bombardamenti devastanti.
Il tema delle diserzioni, della fuga all’estero di centinaia di migliaia di giovani che non vogliono morire sotto le bombe, è tale che in Polonia e Germania, ma anche in altri Paesi confinanti, si sta facendo pressione per impedire l’arrivo di ulteriori fuggiaschi. Se si guarda al numero di chi non ha intenzione di combattere si capisce perché è necessario raggiungere una tregua. Quanto ancora potrà resistere l’Ucraina in queste condizioni? A marzo comincerà il quinto anno di guerra. Un conflitto che rischia di non avere precedenti, per numero di morti e per la devastazione. E soprattutto uno scontro che minaccia di trascinare in un buco nero l’intera Europa, che invece di cogliere il pericolo sembra scommettere ancora sulle armi piuttosto che sulla tregua. C’è chi continua a invocare una pace giusta, ma la pace giusta appartiene alle aspirazioni, non alla realtà.
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