
La Bibbia condanna il comportamento omoerotico. La Conferenza episcopale, andando in direzione contraria, rischia di rendere il cristianesimo un credo opinabile e malleabile.Riconosciamolo: è evidente. L’omosessualità è sempre più presente all’interno della chiesa, o almeno della Conferenza episcopale italiana. Un fiume di misericordia appiccicaticcia come la melassa si colora di falso arcobaleno e arriva sino sugli altari. Oggi la Cei dedicherà la sua energia all’accoglienza della comunità Lgbt. Un documento sinodale è in fase di approvazione. La nuova chiesa 2.0 ama appassionatamente lo «Spin Time», un locale che non paga né affitto né utenze (gliele paghiamo noi contribuenti). Non rubare forse è fuori moda, come sicuramente fuori moda è Non commettere atti impuri. Allo Spin Time è cominciato il Giubileo dei movimenti popolari. Il cardinale vicario di Roma Baldassarre Reina ha apprezzato moltissimo questo posto sospettato di atti non purissimi. Verrà pronunciata molto, forse, la parola «omosessuale». Il termine, coniato da pochi decenni, si contrappone a «eterosessuale». Le due parole creano l’illusione di una simmetria naturale della sessualità. Ma la sessualità in senso proprio pertiene alla vita, e ha due funzioni: far nascere bambini e tenere insieme due diversi, uomo e donna. Non tutte le volte che un uomo una donna si congiungono creano una vita nuova, ma ogni creatura umana nasce dalla congiunzione di un uomo e di una donna. Se vogliamo usare termini scientificamente corretti sarebbe meglio usare il termine «comportamento omoerotico»: un comportamento, non una «struttura genetica». Per i credenti, il termine corretto è sodomia, un comportamento condannato da Dio. La Bibbia ha parole dure per chi pratica la sodomia. Esiste una forma di pensiero debole, anche ecclesiale, che distingue due divinità diverse: il Dio della Bibbia, estremamente severo, e il Dio del cristianesimo, morbido e paffuto. La Cei rischia di contribuire a rendere il cristianesimo una religione opinabile, malleabile e gay friendly. Immagino che alla base di tutto questo ci sia un enorme fiume di benevolenza. Forse è opportuno chiarire a tutti coloro che non lo sanno, ecclesiastici inclusi a quanto pare, che Gesù Cristo mette i suoi passi uno dopo l’altro sulla terra di Galilea, Giudea e Samaria, dichiarandosi sempre figlio del Padre, generato non creato della sua stessa sostanza. Il padre è pur sempre il Signore degli Eserciti, e Colui che ha distrutto Sodoma. Il punto fondamentale è che l’ira di Dio non è solo una componente della sua giustizia ma è la componente ancora più importante della sua misericordia. Diverse volte nei Vangeli Gesù nomina la distruzione di Sodoma, citandola come atto di giustizia. Dio causa la morte degli abitanti di Sodoma e Gomorra. Causa anche la morte dei primogeniti degli egiziani (innocenti figli di malvagi), la morte del figlio di Davide e Betsabea (innocente figlio della colpa) e l’episodio più terrificante è la morte dei familiari di Giobbe. Cominciamo da Sodoma, anzi cominciamo dal concetto di morte. La morte è terribile e atroce per noi: ne siamo sconvolti, terrorizzati. Questo fa parte dell’istinto di sopravvivenza, senza il quale metteremmo a rischio la nostra vita con estrema leggerezza, e nessuno supererebbe l’adolescenza. Nel linguaggio biblico, quando Dio causa direttamente la morte di qualcuno, come a Sodoma, come per i primogeniti di Re Davide e degli egiziani, come per i parenti di Giobbe, sempre, lo fa per dare loro la salvezza. A Sodoma e Gomorra vivevano nel peccato, erano corrotti e spargevano corruzione, in quanto davano scandalo, una corruzione che arrivava anche ai bambini. Anche Cristo ricorda che è meglio una macina al collo. Dio quindi decide di richiamarli a sé. Se morissero quietamente nel sonno, se Dio li levasse di torno semplicemente, le loro anime sarebbero perse, ma Dio non può dare la morte senza salvare perché altrimenti violerebbe la loro possibilità di salvarsi attraverso il pentimento. La morte spinge dunque, in questa lettura teologica, verso di Lui, cioè verso la salvezza. La distruzione di Sodoma, per quanto suoni stridente alle orecchie contemporanee, è misericordia. Dio ha donato a Davide e a Betsabea, come ai genitori egiziani la bellezza dell’alba e del tramonto, le onde del mare, la magnificenza della sessualità e del diventare genitori. Loro hanno disobbedito e lui li punisce prendendo i loro bambini per tenerli con sé nella sua luce. Per i genitori di questi bambini è ovviamente un terribile punizione. Per i bambini è la felicità eterna, esattamente come per i familiari di Giobbe: la sua è la storia più difficile da capire perché qui gli uccisi (in realtà i richiamati da Dio nella sua luce) sono addirittura i figli del suo fedele servo. Dove è il senso di tutto questo che ci può apparire ingiustificabilmente crudele? Giobbe ha fede. Vuol dire fidarsi: Giobbe si fida. Quando i suoi figli sono nati, lui ha chiesto quello che tutti credenti chiedono alla nascita di un figlio come prima cosa: non la salute, la ricchezza, ma la salvezza della loro anima, saperli nella luce e nella beatitudine per l’eternità. Il resto sono piccolezze inutili, in fondo. La severità di Dio ha salvato le anime degli abitanti di Sodoma perché fa parte della sua misericordia, la melassa di certi vescovi arcobalenati pare quasi lasciarli volutamente nell’errore, nel peccato, lontani da Dio. Gesù ama i gay, per loro come per tutti è morto in Croce, ma perché questa evidenza deve cancellare tutto il resto?
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