- Nei poster che invitano ad arruolarsi, uomini «duri» avvinghiati a belle ragazze.
- Istruttore militare britannico sarebbe stato vittima di un «tragico incidente» in Ucraina. Ulteriori avanzate dei russi. Putin: «Accolti dai civili con gioia». La resistenza issa un vessillo a Pokrovsk.
Lo speciale contiene due articoli.
Quando l’Ucraina è stata invasa dalla Russia, nel febbraio del 2022, Europa e Stati Uniti si sono compattamente schierati con Kiev a difesa dei «valori dell’Occidente». Quali fossero, questi valori, non era chiarissimo. Ma con il senno di poi alcuni aspetti si sono disvelati: per gli americani erano semplicemente i loro interessi, tanto è vero che, falliti i tentativi di destabilizzare Mosca e senza alcuna intenzione di rischiare davvero una guerra nucleare, Washington ora non vede l’ora di archiviare il conflitto. Quanto agli europei, invece, all’inizio sembrava che immaginassero l’Ucraina come futuro baricentro liberal. Kiev, d’altra parte, rimane una delle mete preferite della borghesia annoiata del Vecchio continente, in cerca di uteri da affittare per mettere al mondo figli a pagamento. Purtroppo, però, l’ideologia gender (che poi è capitalismo in purezza) non invoglia nessuno a sacrificare la propria vita per difendere la patria. La fluidità, insomma, non si concilia benissimo con le armi. E così, proprio come avviene in Ucraina, è molto probabile che la mascolinità («tossica») tornerà di moda anche in Europa, persa nei suoi spasmi bellicisti.
A Kiev, dove è sempre più difficile trovare uomini disposti a morire al fronte, questo lo sanno. Non vendono ai loro cittadini discorsi sulla democrazia (che non c’è) né sulla superiorità morale dell’Ucraina (anch’essa discutibile, specialmente dopo gli ultimi scandali sulla corruzione): usano l’artificio più antico del mondo. Una foto di un maschio alfa seduto su una motocicletta, abbracciato da una bella donna con in mano una pistola e la scritta: «Amo la terza brigata d’assalto». Oppure un’attraente donna bionda, con lo sguardo perso in lontananza, che riflette nei suoi occhiali da sole l’immagine di un soldato in tenuta mimetica. Sono soltanto alcuni dei cartelloni pubblicitari sparsi per le città ucraine, ma il concetto è chiaro: quando si parla di guerra, ci vuole l’uomo virile.
La terza brigata d’assalto, d’altronde, non è altro che l’ex battaglione Azov: quel gruppo armato neonazista su cui i media occidentali fino a prima del febbraio 2022 facevano servizi e che poi, sempre gli stessi media, hanno provato a far passare per lettori di Emmanuel Kant.
Oggi il battaglione, confluito nell’esercito ufficiale, si avvale perfino di un dipartimento marketing. Dopo quasi quattro anni di guerra, le reclute languono e le perdite aumentano, così non resta che la pubblicità. «Il nostro obiettivo: inventare continuamente nuove buone ragioni per arruolarsi», spiega uno dei soldati che ci lavora. Per attirare nuovi soldati da addestrare puntano sulla reputazione: ideali, patriottismo, nazionalismo, fratellanza d’armi. E, come testimoniano le insegne pubblicitarie, anche quell’insondabile oggetto del desiderio che fa uscire di testa i maschi. Come avverrebbe in qualsiasi Paese in guerra, naturalmente. Ma senza dubbio ideali distanti dai «valori dell’Occidente» che abbiamo fatto difendere per procura agli ucraini, rifornendoli di soldi e di armi. A quanto pare, però, nemmeno il richiamo agli istinti è sufficiente a rimpolpare le fila dell’esausto, benché indubbiamente anche eroico, esercito di Kiev.
La sensazione, dunque, è che l’aria cambierà anche da noi. Che nella politica estera abbiano un qualche peso i valori, nessuno lo crede realmente. I valori cambiano a seconda degli obiettivi. La guerra, per esempio, ora fa comodo all’Ue e a qualche suo leader per continuare a esistere. Ma al fronte ci vanno gli uomini, quelli dalla «mascolinità tossica», disposti a difendere le loro famiglie a costo della vita.
Morto soldato Uk: «Non al fronte»
Se, nel prossimo futuro, il premier britannico Keir Starmer ha promesso che invierà truppe in Ucraina per garantire la pace, guardando al presente la situazione non appare così promettente. Chi dovrebbe addestrare i soldati ucraini perde la vita senza nemmeno essere schierato sul campo: un istruttore britannico è, infatti, morto ieri in Ucraina a seguito di «un tragico incidente mentre osservava le forze ucraine testare una nuova capacità difensiva, lontano dalla linea del fronte».
Nel frattempo, gli ucraini hanno issato la bandiera gialloblù a Pokrovsk per negare la presa della città da parte dei soldati russi. La foto-simbolo ucraina è stata, però, scattata appositamente per la Bbc, in una dinamica che mette in luce la resistenza ma anche le difficoltà dell’esercito di Kiev: il comandante del reggimento d’assalto Skala, per dimostrare che la parte Nord di Pokrovsk non è sotto il controllo russo, ha chiesto a due soldati di uscire velocemente da un edificio in cui erano nascosti per sventolare la bandiera, prima di tornare subito al riparo.
Quel che è certo è che Mosca continua ad avanzare: il capo di stato maggiore dell’esercito russo, Valery Gerasimov, ha comunicato la conquista di tre centri abitati situati a Est di Pokrovsk: Rivne, Rog e Gnatovka. Parlando della presa dei territori e delle reazioni della popolazione ucraina, il presidente russo, Vladimir Putin, ha dichiarato: «I civili che non lasciano le città nella zona dell’operazione militare speciale accolgono i soldati russi con le parole “vi stavamo aspettando”». A essere presa di mira dalle forze russe è, poi, la città di Myrnohrad, sempre nel distretto di Pokrovsk: «Il presidente ha ordinato la sconfitta delle forze ucraine a Myrnohrad», ha annunciato Gerasimov, aggiungendo che già «il 30% degli edifici nella zona» è controllato dai russi. Tra l’altro, il militare ha dato ordini per proseguire l’avanzata verso la regione di Dnipropetrovsk, con l’obiettivo di creare una zona di sicurezza per le regioni annesse di Kherson, Donetsk, Luhansk e Zaporizhzhia. In quest’ultimo oblast, l’attenzione di Mosca si concentra su Huliaipole. A rivelarlo è il portavoce ucraino delle Forze di difesa del Sud, Vladyslav Voloshyn, che ha ammesso: «Il nemico sta cercando principalmente di isolare Huliaipole dalle vie logistiche e di accerchiarla da Est e Nord-Est».
Oltre ai combattimenti sul campo, i raid russi hanno bersagliato le infrastrutture energetiche ucraine, lasciando metà degli abitanti di Kiev di nuovo senza elettricità. Per far fronte all’emergenza, oggi è previsto un calendario di interruzioni di corrente programmate in tutto il Paese. E l’amministratore delegato di Naftogaz, Sergiy Koretsky, ha già lanciato un avvertimento al popolo ucraino: «Sarà sicuramente l’inverno più duro». Ha, infatti, spiegato all’Afp che «la distruzione e le perdite della produzione di gas ucraine sono significative. E il ripristino della produzione richiederà molto tempo».
Dall’altra parte, mentre Mosca ha intercettato e abbattuto 121 droni di Kiev, Putin, consegnando le medaglie d’oro ai militari che si sono distinti sul campo, ha rispolverato «l’inseparabilità della storia millenaria» della Russia dal suo destino. Ammettendo «un momento difficile», il leader del Cremlino ha sentenziato che «il Paese è ancora una volta convinto di quanto siano forti le tradizioni della gloria militare».
Joseph Shaw è un filosofo cattolico britannico, presidente della Latin Mass Society, realtà nata per tramandare la liturgia della messa tradizionale (pre Vaticano II) in Inghilterra e Galles.
Dottor Shaw, nel Regno Unito alcune persone sono state arrestate per aver pregato fuori dalle cliniche abortive. Crede che stiate diventando un Paese anticristiano?
«Senza dubbio negli ultimi decenni c’è stato un tentativo concertato di escludere le espressioni del cristianesimo dalla sfera pubblica. Un esempio è l’attacco alla vita dei non nati, ma anche il tentativo di soffocare qualsiasi risposta cristiana a tale fenomeno. Questi arresti quasi mai sono legalmente giustificati: in genere le persone vengono rilasciate senza accuse. La polizia va oltre la legge, anche se la stessa legge è già piuttosto draconiana e ingiusta. In realtà, preferiscono evitare che questi temi emergano in un’aula giudiziaria pubblica, e questo è interessante. Ovviamente non si tratta di singoli agenti: la polizia è guidata da varie istituzioni, che forniscono linee guida e altro. Ora siamo nel pieno di un dibattito in Parlamento sull’eutanasia. I sostenitori dicono esplicitamente: “L’opposizione viene tutta dai cristiani, quindi dovrebbe essere ignorata”, come se i cristiani non avessero diritto di parola nel processo democratico. In tutto il Paese c’è la percezione che il cristianesimo sia qualcosa di negativo, da spazzare via. Certo, è solo una parte dell’opinione pubblica, non la maggioranza. Ma è qualcosa che si nota nella classe politica, non universalmente, tra gli attori importanti».
In altri casi alcune persone sono state perseguite per dei post sui social network con l’accusa di diffondere odio. Esiste un problema più ampio di libertà di espressione?
«È collegato, ma non esattamente la stessa cosa. Anche qui si tratta di politiche della polizia, stabilite da varie istituzioni nazionali spesso non direttamente sotto il controllo del governo. Spesso, anzi, è piuttosto imbarazzante per l’esecutivo. Come per le persone che pregano fuori dalle cliniche abortive, la grande maggioranza di questi individui non viene perseguita perché non ci sono prove sufficienti: la polizia fa loro visita e li scheda nei registri. È successo di recente al comico Graham Linehan e a molti altri. Sembra un enorme spreco di tempo, basato sul presupposto che se qualcuno presenta una denuncia legata a una presunta legislazione sull’odio, la polizia debba indagare. Chiunque può sostenere che qualcuno abbia rivolto un commento razzista, sessista o similari. E senza esaminare le prove per vedere se siano minimamente ragionevoli, la polizia deve interrogare questa persona, magari nel cuore della notte, magari arrestandola davanti ai figli. Ed è assurdo, perché queste stesse forze di polizia, se dici che ti hanno rubato la bicicletta o svaligiato casa, ti rispondono: “Non abbiamo risorse per venire a parlarti. Ecco il numero da dare alla tua assicurazione per dimostrare che hai denunciato”».
Perché per una cosa trovano il tempo e per l’altra no?
«Penso che vada oltre una semplice preferenza ideologica e che siano genuinamente spaventati dal fatto che il Paese possa precipitare in qualcosa di brutto. La polizia, qui e forse ovunque, vuole evitare la violenza. E non è sbagliato che abbia questa priorità. Ma se diventa la priorità assoluta, si finisce per fare cose molto strane. Continuano a dire alle persone: “Non vogliamo violenza, quindi disperdetevi. Pensiamo che questa sia una situazione potenzialmente pericolosa, quindi andate via, non esercitate il vostro diritto di protesta. Non esercitate il vostro diritto alla libertà di parola”. Non è del tutto irragionevole, ma al momento sembrano molto preoccupati da quella che descrivono come violenza di estrema destra. La polizia ha raggiunto alcune persone per aver criticato membri eletti del Partito laburista. Una donna è stata interrogata perché su Facebook aveva criticato il suo Consiglio comunale. L’idea è che la polizia debba tenere un coperchio su tutto. Ogni giorno sentiamo di reati commessi da immigrati, recenti o di seconda generazione, o musulmani. C’è stato un grande sforzo per sopprimere queste notizie, ma con i social ora è molto più difficile. Penso siano preoccupati che qualcosa esploda e, non potendo fermare i migranti o gli estremisti musulmani, fermano la reazione della gente comune».
Pensa che il progressivo aumento della presenza islamica c’entri qualcosa? Crede rappresenti una minaccia alla vostra identità?
«Solo pochissime delle persone che applicano queste misure, la polizia e i pubblici ministeri, sono musulmani. La grande maggioranza è cristiana o quantomeno di eredità cristiana. Quello che i musulmani vogliono fare, ovviamente, varia a seconda della loro corrente islamica. Ma la domanda più grande è: che cosa sta cercando di fare o di impedire l’establishment politico? C’è una paura genuina che le cose esplodano e che precipitiamo in una guerra civile. Capisco perfettamente che chiunque governi un Paese non voglia che ciò accada, perché sarebbe molto spiacevole. Ci sarebbero morti. È abbastanza ragionevole, anche se si potrebbe obiettare che la politica sta peggiorando le cose. Ma c’è anche dell’altro, e va avanti da decenni. I musulmani e altre minoranze religiose sono stati usati come pretesto per sopprimere l’espressione pubblica del cristianesimo. Tradizionalmente, a Natale si addobbavano i nostri centri con varie decorazioni. Questo è diminuito molto nel tempo, perché i Consigli più di sinistra e i commentatori liberal dicono: “Non possiamo più farlo, ora siamo una società multiculturale”. A volte i giornali si prendono la briga di chiedere a un musulmano che cosa ne pensi, tipo all’imam della moschea locale. E la risposta è sempre: “Non vediamo quale sia il problema. Non lo stanno facendo perché gliel’abbiamo chiesto noi. Stanno usando noi come scusa per sopprimere l’espressione pubblica della religione”. I musulmani non vogliono una società in cui nessuno possa parlare di religione: non è questa la loro concezione. Ora, potremmo non voler vivere in una società musulmana, ma essa non corrisponde alla visione secolare delle persone che attualmente sono al potere».
Negli Usa, la vittoria di Trump pare aver frenato il delirio woke-progressista. Nel Regno Unito, i conservatori sono stati al potere fino a un anno e mezzo fa, ma le cose non sono andate bene. Nutre qualche speranza verso il nuovo partito di Nigel Farage?
«Ho letto di recente un commento sui social media che dice: “La gente ha votato laburista per punire i conservatori, e voterà per Nigel Farage per punire i laburisti”. Il problema è: se Nigel Farage non riuscirà a risolvere i vari problemi, che sono estremamente difficili da affrontare, dove andranno le persone dopo? Potrebbero semplicemente decidere che la democrazia non funziona. Lui non ha esperienza di governo. Pochissimi dei suoi parlamentari sanno che cosa significhi governare il Paese. Quindi non guardo al futuro con grande ottimismo. Ovviamente nutro molta simpatia per le persone stufe dei principali partiti attuali, ma è un fatto che, se guardi alle forze politiche emergenti in Europa, spesso il loro primo tentativo di governare non è andato granché bene».
Qual è la situazione dei cattolici nel Regno Unito?
«Alcuni anni fa, il numero di cattolici praticanti ha superato quello degli anglicani. Ma coloro che si identificano come anglicani sono ancora di più. E non c’è da sentirci troppo soddisfatti come cattolici, perché il numero di persone che vanno nelle chiese cattoliche è crollato drasticamente dai decenni successivi agli anni Sessanta. Non è vero che sia in corso una sorta di meravigliosa rinascita. Forse si è mosso qualcosa dopo il Covid, ma abbiamo comunque meno praticanti del 2019. Ci sono alcune tendenze contrarie, come le comunità legate alla messa tradizionale, ma sono molto piccole. Non del tutto insignificante è il numero di sacerdoti appena ordinati o di persone in seminario che hanno una disposizione positiva verso la messa tradizionale. Sembra chiaro che, col tempo, la maggioranza dei membri più giovani del clero celebrerà il rito antico, o almeno sarà favorevole. Ma temo che la Chiesa istituzionale e la gerarchia cattolica non abbiano risposto in modo adeguato alla sfida. Stanno semplicemente andando avanti come prima, e non funziona».
Di recente papa Leone XIV ha pregato con re Carlo III. Al punto che alcuni hanno pensato a un possibile riavvicinamento tra le due confessioni. Anche lei lo crede?
«No, non lo credo minimamente. È un’idea bellissima, ma purtroppo non è assolutamente in programma. Quello che abbiamo sono relazioni amichevoli. E penso che, sotto molti aspetti, sia meglio che avere relazioni ostili. Ma c’è una grande differenza tra relazioni amichevoli e qualsiasi riconciliazione dottrinale. Molti anglicani non sono estremi, non respingono la Chiesa di Roma come una sorta di terribile Anticristo. La rispettano, pur non essendo sempre d’accordo. Ma di tanto in tanto la Chiesa anglicana come istituzione rende molto chiaro che non nutre quel tipo di rispetto per la Chiesa cattolica. Di recente lo ha fatto con i preti e i vescovi donna. Negli anni Trenta ha accettato la contraccezione. E quello che ha da dire sull’aborto è disperatamente vago e contraddittorio. La Chiesa anglicana si sta allontanando sempre di più, sotto molti aspetti, dall’insegnamento cattolico ortodosso. Allo stesso tempo, però, l’anglicanesimo è una parte rilevante di ciò che rende l’Inghilterra cristiana. Alcune persone pensano che dovremmo sbarazzarcene, separarlo dallo Stato, e che non dovremmo pregare all’inizio delle sessioni del Parlamento o avere vescovi nella Camera dei Lord. Io credo che eliminare tutte queste cose renderebbe l’Inghilterra un Paese molto meno cristiano. E non sarebbe a vantaggio della Chiesa cattolica. Non sarebbe a vantaggio di nessuno. Sarebbe una calamità».
La messa tradizionale in latino ha conosciuto un’apertura sotto papa Benedetto XVI, poi è stata fortemente osteggiata da Francesco. Secondo lei, attira ancora nuovi fedeli? E crede che con papa Leone si tornerà a una maggiore apertura?
«Penso che la risposta alla seconda domanda sia sì, perché penso che la risposta alla prima domanda sia sì. Ritengo che papa Leone sia abbastanza aperto mentalmente da vedere che sarebbe sciocco sopprimere qualcosa che sta andando bene. Se stessimo morendo non sarebbe così importante, ma non è così. Ci sono molte vocazioni. Ci sono comunità religiose che stanno crescendo molto rapidamente. A meno che uno non sia ideologicamente convinto che sia una cosa cattiva e che stia portando la Chiesa nella direzione sbagliata, non avrebbe senso schiacciarle. Come ogni movimento, ha elementi deprecabili. Ma non si può condannare la messa tradizionale in sé per le opinioni degli estremisti, più di quanto si possa condannare il Novus ordo per le opinioni di persone che credono, non so, nell’ordinazione delle donne, nel divorzio o nella contraccezione. La stragrande maggioranza delle persone che frequentano la messa tradizionale e dei sacerdoti che la celebrano sono fedeli al Papa e sono piuttosto sani di mente. Quindi non ha senso. Quello che è successo sotto papa Francesco non è facile da spiegare, ma a lungo termine la Chiesa non farà qualcosa che è semplicemente folle. Stiamo compiendo una restaurazione, non di una chiesa fisica, anche se pure questo accade, ma della liturgia. Solo per renderla disponibile, non per impedire a tutti gli altri di andare alla messa post conciliare. E non c’è davvero nessun argomento contro questo».
Il video del Cts pubblicato dalla Verità, risalente al giorno prima della morte di Camilla Canepa, avvenuta il 10 giugno 2021, sarà acquisito dalla Commissione Covid. Lo ha annunciato il presidente Marco Lisei (Fdi) in una nota, evidenziando come tale filmato rappresenti «senza dubbio un elemento di interesse e valutazione per la commissione che presiedo e per i suoi commissari». «Pertanto», continua, «procederemo all’acquisizione di questo e di ogni altro eventuale video disponibile relativo alle riunioni in questione. La commissione sta procedendo con le audizioni e le desecretazioni, presto mettendo insieme tutto il materiale saremo in grado di avere un quadro definitivo. Questo documento video conferma le parole di Ippolito, Urbani e Dionisio, ossia che fosse la politica a prendere le decisioni; l’intervento dell’ex ministro della Salute Speranza mi pare vada letto in questo senso».
Intervento in cui Roberto Speranza, di fronte al comitato tecnico scientifico, pare più interessato alla credibilità e alla coerenza delle sue comunicazioni che alla reale sicurezza delle sostanze che venivano iniettate nei corpi dei cittadini. Chi ha governato il Paese durante la stagione pandemica è stato spesso accusato, anche da questo giornale, di «navigare a vista», ma perché pubblicamente, intanto, ostentava certezze, tanto da imporre obblighi. Tolte le primissime fasi, in cui l’assenza di un piano pandemico (o, meglio, la presenza di un piano pandemico datato e ignorato) ha determinato una certa inerzia nel reagire, con tutte le conseguenze del caso, è piuttosto naturale che, con sostanze preparate in fretta e furia, si navigasse a vista. Il problema, piuttosto, è stato non ammetterlo.
Il ministro si preoccupava di non sprecare il «patrimonio» di «una campagna di vaccinazione che sta avendo un risultato straordinario» e di non spegnere il «vero e proprio entusiasmo» sui vaccini dettato dall’«arrivo delle vacanze» e dalla «voglia di libertà». «Sono per un approccio molto molto prudente», affermava, «cioè prima di ritoccare cose dobbiamo essere, uno, convintissimi al 100% che sia la scelta giusta e, due, dobbiamo essere convinti che la scelta che facciamo non è più rimettibile in discussione». E se poi fossero emerse evidenze di un pericolo non preventivato? Nel frattempo, il giorno dopo moriva la giovane Camilla a causa del vaccino Astrazeneca ricevuto circa due settimane prima.
Lo spiega anche Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Covid, in un’altra nota: «In piena campagna vaccinale, mentre iniziavano a presentarsi le prime circostanze di sospetti effetti avversi, Roberto Speranza, di fronte ai dubbi del Cts, tirò dritto. L’allora ministro della Salute si diceva “spaventato” di “rimettere mano alla materia” dato il rischio di ostacolare l’adesione massiccia degli italiani alla campagna vaccinale. È quanto emerso da un video di una riunione del Cts […] pubblicato sul sito de La Verità». «Speranza», prosegue, «ha sempre ribadito che fosse la scienza a dettare le sue scelte in piena pandemia, ma da questo video emerge chiaramente come fosse la sua politica a voler piegare le ragioni della scienza».
I dem provano a difendersi attaccando. Per la senatrice Ylenia Zambito, capogruppo Pd in commissione Covid, «tutto è ammesso, purché l’inquisizione colpisca». Mentre per Francesco Boccia la commissione presieduta di Lisei «è diventata un goffo e smaccato strumento di attacco politico all’opposizione di oggi».
Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fdi, anche lei membro della Commissione Covid, denuncia invece il meccanismo perverso di scaricare sulla scienza, ammantandole di oggettività, scelte evidentemente politiche: «Perché Speranza non si assume le sue responsabilità politiche anziché scaricarle altrove?», domanda commentando il filmato. «Bene ha fatto La Verità a pubblicare sul proprio sito il video della riunione in oggetto. È importante che resista un giornalismo con la schiena dritta. La censura di queste voci coraggiose, che pure qualcuno ha evocato nei giorni scorsi, non appartiene alla nostra civiltà».





