2018-10-23
«La Francia è inqualificabile. Sconfina pure a Ventimiglia»
Parla monsignor Antonio Suetta il vescovo della cittadina ligure: «C'è un piano per alterare tutte le identità. Accogliere è giusto, ma senza snaturarsi. La stampa cattolica su Salvini sbaglia».Non c'è solo Gian Carlo Perego, il vescovo di Ferrara convinto che farci invadere dagli immigrati ci serva per «iniziare una nuova storia». Meno pompati dai media, altri prelati percorrono altre vie e propongono altri argomenti. È il caso di monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia e Sanremo. Uno che l'immigrazione la conosce da vicino, quindi. E che racconta come la pratica degli sconfinamenti illegali della gendarmeria in territorio italiano non riguardi solo Claviere. A Ventimiglia, dice, se ne parla da due anni.Claviere ci ha fatto dimenticare per un po' di Ventimiglia. Monsignore, lì com'è la situazione, adesso?«Attualmente la situazione è più gestibile per il decremento degli arrivi. Inoltre, da quasi due anni, è stato allestito questo campo di accoglienza della Croce rossa che, con meno arrivi, viene gestito meglio».A Ventimiglia ci sono mai stati sconfinamenti come quelli di Claviere? «Sì, ricordo fatti simili già due anni fa. Fonti qualificate mi avevano riferito di aver visto in più occasioni delle auto civetta della gendarmeria francese entrare in territorio italiano, nell'entroterra di Ventimiglia, in zona Mortola, un po' più riparato allo sguardo, e lasciare delle persone. In almeno un caso, da quel che ho sentito, avrebbero lasciato addirittura dei minori. Non saprei dire quante volte sia successo, perché è un controllo che sfugge alle mie competenze, ma ho sentito che è successo ripetutamente».Come giudica questi fatti?«Credo che sia inqualificabile, come inqualificabile è l'atteggiamento generale della Francia, sia in termini di chiusura e durezza della gendarmeria nei confronti dei migranti, sia naturalmente sotto il profilo della correttezza internazionale a livello europeo. Un atteggiamento di questo tipo grava pesantemente sulle altre nazioni e noi a Ventimiglia ne siamo testimoni».La linea della Chiesa sull'immigrazione, tuttavia, non sempre è sembrata chiara.«Farei un distinguo. L'accoglienza è un dato che corrisponde alla missione della Chiesa, che trova il suo immediato ambito di applicazione nelle situazioni di emergenza. Quando una persona, per qualsiasi ragione e venendo da qualsiasi luogo, bussa alla porta per chiedere aiuto, il primo atteggiamento è quello di soccorrerla. Poi, però, è necessario un passaggio ulteriore. Dopo aver risposto all'emergenza di una persona, io mi devo chiedere quale sia il suo vero bisogno, cosa sia possibile e cosa sia giusto fare per lei. Bisogna ampliare lo sguardo».Per scoprire cosa?«Bisogna fare una valutazione nel suo insieme del fenomeno migratorio. Credo che non sia corretto equiparare tutti i fenomeni migratori della storia. Noi viviamo un fenomeno specifico ed è di questo che dobbiamo ragionare. E constatiamo oggi il pericolo di una duplice ingiustizia». Quale?«Da una parte le nazioni che accolgono hanno il diritto e il dovere di custodire e salvaguardare la propria identità. Non credo che sia giusto ridurre e appiattire tutto ad una umanità senza radici. Dall'altra parte, e senza sottoscrivere alcuna teoria complottista, mi pare di poter dire che un piano o una visione di questo tipo effettivamente ci sia, per interessi che sono al di sopra di noi. In ultima analisi quello che condiziona tutto è una ricchezza che non corrisponde sempre a un bene reale, a un progresso oggettivo per tutti, cioè ricchezza vera fatta di lavoro vero, ma ricchezza di pochi, che come dice il Papa diventa un'economia che uccide, che divide le persone e rischia di travolgere e uccidere anche le nazioni nella loro identità e storia. Credo che questo non sia giusto e che sia irresponsabile avallare un piano del genere, così come è irresponsabile un'acquiescenza inerte».Insomma, l'immigrazione è qualcosa che fa male all'ospite e all'ospitato…«Una cosa che meriterebbe di essere ribadita è che l'altra faccia del fenomeno migratorio, quella dei Paesi di partenza, è una faccia di ingiustizia, non solo per la miseria e il dolore da cui queste persone fuggono, ma anche per l'impoverimento che si determina in capo alle famiglie e ai Paesi di origine, che aggrava le miserie di una nuova e direi peggiore colonizzazione».Chi guarda a Francesco come a un mero sostenitore dell'accoglienza indiscriminata sbaglia?«Credo di sì, anche perché puntualmente il Santo Padre è tornato a ribadire il magistero costante della Chiesa: spesso Francesco ha detto che l'accoglienza va praticata nei limiti del possibile. Credo che con questo si intenda tutta una serie di condizioni che garantiscano chi viene accolto, ma anche chi accoglie».La Chiesa parla anche per simboli. Ma perché usa solo il simbolo del ponte e mai quello del confine?«Io distinguerei frontiera e confine. Mentre la frontiera richiama il fronte e implica contrapposizione, il confine sembra l'immagine giusta per esplicitare il senso stesso del ponte. Il quale unisce due limiti che hanno la vocazione a non rimanere solo contrapposti ma a trovare forme di comunione e di scambio, rimanendo però nella loro identità. Il confine marca una differenza e nello stesso tempo mette in comunicazione due realtà diverse. Non ha senso parlare di comunicazione se non fra realtà diverse».Dalla famosa prima pagina di Famiglia cristiana contro Matteo Salvini alle vignette di Avvenire: come giudica queste espressioni politiche del mondo cattolico, che vedono nel ministro degli Interni qualcosa di simile a un diavolo, non si sa quanto metaforicamente?«Lo trovo esagerato e fuori posto. Chiunque può esprimere perplessità rispetto all'operato di un politico. Ma poiché la Chiesa riveste anche un ruolo istituzionale importante e riconosciuto, la stampa cattolica non può degenerare nei toni. La vera satira politica può anche utilizzare l'ironia, ma nei due casi richiamati l'ironia non credo ci fosse. Penso inoltre che per prima la stampa cattolica non possa e non debba utilizzare simboli religiosi per discutere questioni di altro genere e livello. Così si banalizzano quei simboli, che per noi hanno un significato importante».