2025-10-28
Cari vescovi, vi conviene pentirvi e non andare al gay pride
Il pentimento è un concetto chiave della dottrina cattolica. Chi ha commesso un peccato con un atto di contrizione può ripudiarlo e chiedere perdono, impegnandosi di fronte a Dio a non farlo più. Il sacramento della penitenza nel caso del documento sinodale chiamato «Lievito di pace e di speranza» è dunque vivamente consigliato come atto riparatorio di una tesi che getta in confusione i fedeli, ingenerando il sospetto che la Conferenza tesi che getta in confusione i fedeli, ingenerando il sospetto che la Conferenza episcopale italiana sia ormai qualche cosa di molto simile al Pd o, peggio, ad Avs, la sigla radicale della coppia Bonelli-Fratoianni. Passi il sostegno a Luca Casarini, le cui scorribande in mare sono state sostenute da alcune diocesi a colpi di ricchi finanziamenti. In fondo, l’ex antagonista che nel passato si scontrava con le forze dell’ordine, si occupa di migranti e dunque i vescovi li si può capire. Gesù insegnava a dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi e alloggiare i forestieri. Dunque, perfino un ex mangiapreti come Casarini, che poi con i preti tipo il cardinal Matteo Zuppi ha finito per mangiarci insieme, può andare bene. Però, l’invito a parroci e curati a salire sul carro del gay pride con la dottrina cattolica ha poco a che vedere. Anzi, la teoria gender propagandata dal movimento Lgbt che ora, a quanto pare, il Comitato del sinodo italiano vorrebbe abbracciare, sembra proprio il contrario di ciò che la Chiesa insegna da circa 2.000 anni, ovvero che l’unica unione possibile riconosciuta è quella tra un uomo e una donna. Poi, per amor di Dio, nessuno intende discriminare gay e lesbiche, i quali, siccome non siamo in Iran ma in uno Stato laico, sono liberi di fare ciò che vogliono (tranne magari comprare figli facendoli partorire a povere donne in difficoltà). Però, da qui a sposarne le tesi, sostenendo «che le chiese locali, superando l’atteggiamento discriminatorio a volte diffuso negli ambienti ecclesiali e nella società», devono «impegnarsi a promuovere il riconoscimento e l’accompagnamento delle persone omoaffettive e transgender, così come dei loro genitori, che già appartengono alla comunità cristiana», ce ne vuole. Va bene il rispetto delle persone, nessuno deve essere offeso e discriminato, ma «promuovere il riconoscimento e l’accompagnamento (dove, sul carro del gay pride? ndr)» è altra cosa rispetto alle opere di misericordia di cui sopra. Per di più c’è una seconda parte del documento approvato a larghissima maggioranza da vescovi e laici (672 su 826 votanti) che in materia risulta ancor più esplicito. Infatti, nel testo si sollecita la Cei a sostenere «con la preghiera e la riflessione le Giornate promosse dalla società civile per contrastare ogni forma di violenza e manifestare prossimità verso chi è ferito e discriminato». Il documento, frutto di quattro anni di cammino sinodale, a questo punto fa esplicito riferimento alle giornate contro la violenza e la discriminazione di genere, la pedofilia, il bullismo, il femminicidio, l’omofobia e transfobia. Insomma, la Chiesa deve pregare (e i preti magari anche dire messa e intrattenere i fedeli con un’apposita omelia) per la buona riuscita delle giornate Lgbt. In nome della lotta all’omofobia e alla transfobia. Un impegno che sembra la fotocopia di quello che da anni professa Alessandro Zan, europarlamentare in quota pd (prima in Sel con Nichi Vendola) e già organizzatore del gay pride oltre che promotore del famoso Kiss2Pacs, bacio collettivo in piazza a favore delle unioni civili. Ma, soprattutto, è una dichiarazione di apertura che lascia perplesso il gregge dei fedeli, che da tempo si sta assottigliando e di questo passo, con la confusione fra il messaggio di Dio e quello di Zan, rischia di smarrire altre pecorelle, che sul carro non hanno intenzione di salireA dire il vero qualche vescovo, da quando è cominciata a girare la notizia dell’adesione della Cei alle processioni gay, ha cominciato a manifestare dei dubbi, ritenendo che ci sia spinti troppo avanti. Di qui i primi distinguo, anche perché rispetto a papa Francesco, da quando c’è Leone XIV su questi temi in Vaticano si registra qualche cambiamento. Monsignor Erio Castellucci, vicepresidente Cei, la cui diocesi ha sostenuto le traversate marittime di Casarini, dice che si tratta di un equivoco e che il documento non è altro che un invito ad accogliere tutti, senza lasciare per strada nessuno. E comunque da qui al prossimo maggio, dice, i vescovi dovranno recepire e dare una forma graduale. «Ci sono più di 100 punti e vanno messi in fila, facendo delle proposte attuative concrete. A maggio», spiega Castellucci, «potrebbero uscire delle linee guida, ad esempio sulla formazione e l’accompagnamento delle situazioni più complesse...». In pratica, c’è tempo per un pentimento. In fondo la contrizione fa parte della dottrina cattolica.
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