2025-10-28
Produzione chimica giù da 4 anni ma +183% import di prodotti cinesi
Francesco Buzzella: «L’anno scorso in Europa hanno chiuso impianti che fruttavano 11 milioni di tonnellate. Che oggi compriamo per lo più dall’Asia». Emanuele Orsini batte cassa in Ue: «Servono gli eurobond per sostenere l’industria».Ci hanno messo solo 25 anni, ma finalmente anche gli industriali della chimica si sono accorti che la Cina non è un simpatico panda ma un drago con le fauci spalancate. Il rischio si chiama desertificazione produttiva. Ora che le importazioni dalla Cina sono passate dal 6 al 17% - con un incremento del 183% - e che la produzione interna scende dell’1,5% dopo quattro anni di discesa continua, il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha lanciato l’allarme: «Servono gli eurobond per mettere al centro l’industria». Per la lobby degli industriali il primo problema è sempre quello di ottenere sussidi e contributi. All’assemblea di Federchimica al Teatro Lirico di Milano, si sono sentiti accenti molto preoccupati. Anche in quello che rappresenta il fiore all’occhiello dell’industria nazionale (come dimenticare il primo brevetto della plastica o Raul Gardini come profeta della bio-chimica) si sono accorti, seppure con qualche decennio di ritardo, che la globalizzazione non era un pranzo di gala e che la Ue sulla transizione green non ha capito nulla. Il presidente di Federchimica, Francesco Buzzella, ha presentato il conto: «Solo l’anno scorso in Europa hanno chiuso impianti che producevano 11 milioni di tonnellate. Tutti prodotti che ora importiamo prevalentemente dall’Asia e dalla Cina. Pechino opera in un contesto di asimmetria competitiva: dal 2021 ai primi otto mesi del 2025 la quota cinese sull’import italiano di chimica è passata dal 6 al 17%». Tradotto: ci hanno colonizzato il mercato mentre la Ue discuteva degli imballaggi biodegradabili. Buzzella non si limita a lanciare l’allarme: «In meno di 25 anni dal suo ingresso nel Wto, la Cina è diventata la seconda superpotenza economica, industriale e commerciale del mondo. Tra concorrenza sleale, protezionismo e sovracapacità produttiva sta contribuendo a desertificare interi settori industriali della Ue e non solo». Come se fosse una sorpresa. Intanto la chimica italiana si sta sciogliendo come una pastiglia nell’acqua: -11% di produzione dal 2021 al 2024, e un altro -1,5% in arrivo per il 2025. Quattro anni consecutivi di calo per un settore che vale 65 miliardi di fatturato, con oltre 2.800 imprese e 113.000 addetti. «Per evitare la desertificazione industriale bisogna intervenire presto», implora Buzzella. E come? Con più investimenti, ovviamente. Meglio se con il sostegno di stato considerato che «solo il 30% delle imprese ha pianificato investimenti significativi in Italia nei prossimi anni». In pratica: ci lamentiamo del deserto, ma nessuno vuole piantare alberi. A rincarare la dose ci pensa Emanuele Orsini, che come sempre chiede aiuto: «L’Europa dovrebbe fare una cosa semplice, degli eurobond per rimettere al centro l’industria». Visto che con Giorgetti non riesce, almeno per il momento, a spuntarla, chiede soldi a Bruxelles. Nel frattempo bisogna chiudere la guerra commerciale: «Gli Stati Uniti hanno una capacità di spesa che altri mercati non hanno. Dobbiamo continuare a puntare sugli Usa, perché mercati più piccoli come il Mercosur non hanno la stessa capacità». Tradotto: non molliamo Washington, che almeno compra ancora. Ma Orsini non si ferma e almeno su una cosa ha ragione: «Il green deal non ha portato alcun beneficio. Bisogna fare un saldo tra effetti e benefici e tirare una linea. Al centro deve essere messa la neutralità tecnologica». E giù la stoccata: «Abbiamo abbassato le emissioni per avere la Cina che ha aperto 100 centrali a carbone per darci le auto elettriche che noi non riusciamo a ricaricare perché l’energia costa troppo?». Un applauso spontaneo, forse per disperazione più che per convinzione. Sul fronte politico, Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente, si lancia in qualche promessa: «L’energy release è un meccanismo per andare incontro alle imprese fortemente energivore. All’inizio l’Europa ci ha sollevato dei dubbi, ora è diventata una best practice. Ma dobbiamo fare qualcosa di più forte per una massa più consistente di imprese». Non chiede eurobond, ma un po’ di realismo. Poi tocca a Tommaso Foti, ministro per gli Affari Europei, pronunciare la requisitoria contro Bruxelles: «Il green deal non è stato un errore ma un accidente ideologico voluto per deindustrializzare l’Europa. Bisogna smontarlo per evitare un suicidio annunciato». Insomma, un funerale con orazione politica. Morale: dopo anni di illusioni sulla «transizione verde», scopriamo che ci siamo consegnati alla Cina, che produce energia con il carbone, e ci rivende pure le batterie e i pannelli che avevamo sognato di fabbricare in casa. Gli industriali adesso gridano al pericolo, ma sono gli stessi che, fino a ieri, firmavano memorandum d’intesa con Pechino sorridendo davanti ai dragoni. E ora chiedono soldi all’Europa. Magari in yuan.
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)
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