
L'Italia non è l'unico «malato». Da maggio a oggi Francia e Spagna hanno visto raddoppiare il peso dei rischi assicurativi contro il default, cresciuto in molti altri Paesi. E quando la Bce chiuderà l'ombrello del quantitative easing molti nodi verranno al pettine.La Turchia respira. È un fatto tecnico dopo quattro giorni di crolli della lira e di impennata dei credit default swap, le assicurazioni contro il rischio di fallimento, ma il Paese guidato da Recepp Erdogan non è in grado di lasciarsi alle spalle i problemi. Il principale dei quali si chiama Donald Trump, l'ex alleato Nato che ha deciso di innalzare una barriera di dazi contro Ankara e dare una spinta (verso il baratro) a un'economia che era già estremamente sbilanciata verso le valute estere e l'indebitamento privato conseguente. Ieri Erdogan ha annunciato: «Boicotteremo l'elettronica Usa». Dopo l'ondata di vendite globali causata dal cambio di tasso imposto dalla banca centrale del Giappone ai propri titoli di debito, la Turchia ha scosso tutti i mercati del mondo e pure quelli europei che con Ankara condividono manifatturiero e servizi. Basti pensare che le banche italiane sono esposte per poco meno di 16 miliardi di euro e molti risparmiatori tricolori hanno in portafoglio obbligazioni prezzate in lira turca. Per questo anche se lo spread tra Btp e Bund è in calo rispetto ai massimi segnati lunedì oltre quota 280, si mantiene sopra i 270 punti base, a 272, con rendimento del decennale italiano al 3,04%. Le Borse europee e Milano hanno frenato leggermente il loro tentativo di recupero, faticando a mantenersi sopra la parità: Piazza Affari in particolare risulta piatta, con gli operatori che guardano all'andamento dell'eurozona e forse attendono di muoversi dopo Ferragosto considerando che per domani è prevista una raffica di dati macroeconomici dagli Stati Uniti. «Le attuali turbolenze sullo spread tra Btp e Bund, sono legate alla crisi turca dovuta a una manovra degli Stati Uniti e a una volontà di condizionare le scelte del presidente Erdogan rispetto alla Russia e alla Cina», spiega l'economista Giulio Sapelli, il quale dice di non temere i prossimi giudizi delle agenzie di rating sulla Penisola: «Hanno compromesso la loro reputazione, nessuno ci crede più e men che meno i mercati». Nessun timore sull'asta dei Bot annuali riservata agli specialisti che lunedì è andata deserta. «È una cosa che accade spesso ad agosto», sostiene Sapelli che invece definisce «imprudente» la scelta del ministro dell'Economia di andare in Cina per vendere debito: «Tria non dovrebbe fare quella visita», visti i rapporti con gli Stati Uniti. Critico nei confronti del decreto dignità, l'economista in una intervista suggerisce a Di Maio «di fare il ministro e stare zitto invece di rilasciare interviste. Il governo deve stare tranquillo e ricordarsi che meno si parla meglio è».Ciò che appare sempre più evidente è che i mercati globali si preparano al termine del Quantitative easing di Mario Draghi e al tempo stesso immaginano che il prossimo autunno vedrà numerosi nodi giungere al pettine. Dai rapporti tra la Russia e la Cina, quelli tra Stati Uniti e Germania, senza dimenticare tutte le spaccature all'interno dell'Unione europea. Lo si evince dal rialzo complessivo di quasi tutti i credit default swap a livello globale. Si salvano la Germania, l'Olanda e il Portogallo. I nostri Cds a 5 anni sono passati da 88 punti di maggio ai 256 di ieri, la Turchia dai 194 di fine aprile agli attuali 525. Spagna e Francia hanno visto quasi raddoppiar i propri Cds: rispettivamente da 16 a 26 e da 38 a 76. Sempre nel lasso di tempo che va da maggio a ieri. I Cds sono saliti in tutti i casi con percentuali importanti. Il nostro Paese è quartultimo dopo il Venezuela, la Turchia e la Grecia. Questa posizione è da prendere in considerazione. Ancor più degli spread in fibrillazione. I mercati globali sono convinti che l'Italia sia il quarto Paese nell'inquietante classifica di quelli che non pagano i debiti. Il governo annuncia la tempesta (cosa più unica che rara) e sembra chiedere alle agenzie di rating di non affondare il coltello e declassarci all'inizio di settembre. Un downgrade ci porterebbe fuori dal cappello del bazooka di Draghi con un semestre di anticipo. Il mondo balla e il debito pubblico italiano è una zavorra. È comprensibile che Tria vada in Cina per vendere Btp. Bisogna capire che cosa Pechino ci chiederà in cambio.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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