2019-05-19
«Krajewski non cerchi escamotage. Non si invoca il Vangelo alla leggera»
La professoressa di diritto canonico e diritto ecclesiastico Geraldina Boni inquadra la vicenda dell'elemosiniere del Papa. «Crede di essere un obiettore di coscienza, ma non si capisce a quale superiore giustizia divina obbedisca».Il caso del cardinale Konrad Krajewski, l'elemosiniere pontificio che ha tolto i sigilli al contatore e ridato corrente elettrica allo stabile romano da anni occupato abusivamente, pone ancora molte domande. La Verità ha incontrato la professoressa Geraldina Boni, ordinario di diritto canonico e di diritto ecclesiastico all'università di Bologna.Professoressa, come possiamo collocare dal punto di vista del diritto l'atto del porporato «elettricista»? «Risulta dai mezzi di stampa come sia stato presentato un esposto in Procura che probabilmente porterà all'apertura di un fascicolo per danneggiamento e furto di energia, nonché violazione di norme sulla sicurezza, con l'esposizione dei condomini ad eventuali pericoli: quanto alle fattispecie di reato e alla perseguibilità non sono una penalista e mi rimetto a ciò che altri più competenti hanno già osservato. Come noto, per l'articolo 3.1 del codice penale italiano la nostra legge penale “obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale". Tutto sta a vedere se si possa profilare un'eccezione per il cardinale».Infatti, si parla di immunità diplomatica che lo metterebbe al riparo.«A godere di immunità diplomatica, che può comportare tra l'altro - in base al diritto internazionale, consuetudinario e convenzionale - l'esenzione dalla giurisdizione penale e civile, sono gli agenti diplomatici e gli inviati dei governi esteri (articolo 12.2 del trattato lateranense) quando agiscono lecitamente in qualità di organi dello Stato cui l'attività va imputata: non mi sembra si tratti del caso del cardinale elemosiniere».Per quale motivo?«Configurare l'atto di rompere i sigilli e “riaccendere la luce" come un atto tipicamente compiuto nell'adempimento della propria funzione pubblica mi pare, francamente, più che azzardato. Non ritorno su obiezioni che molti hanno eccepito al riguardo, se non altro fondate sui caratteri costitutivi di un atto di carità autentico. Non mi pare neppure che si possa invocare l'articolo 10.3 dello stesso trattato (pur giuridicamente posto su altro piano), secondo cui “gli ecclesiastici che, per ragione di ufficio, partecipano fuori della Città del Vaticano all'emanazione degli atti della Santa Sede, non sono soggetti per cagione di essi a nessun impedimento, investigazione o molestia da parte delle autorità italiane": arduo, infatti, ricondurre l'infrazione di una legge italiana su suolo del pari italiano a “ragioni di ufficio". Peraltro, dal rivestire la dignità cardinalizia in sé non dovrebbero discendere conseguenze interdittive o limitative della giurisdizione italiana: l'azione penale dello Stato si esercita appieno».Cosa può accadere allora?«Si può prevedere che l'autorità giudiziaria darà tempestiva comunicazione di ogni iniziativa, probabilmente per via diplomatica attraverso il ministero degli Affari esteri, alla Segreteria di Stato vaticana laddove sia implicato l'alto prelato».Ma l'elemosiniere gode anche di cittadinanza vaticana.«L'indirizzo di Krajewski nell'Annuario pontificio risulta essere “00120 Città del Vaticano": ma se anche fosse vero, come emerso, che il cardinale polacco risiede a Borgo Pio, cioè a Roma, secondo il tenore dell'articolo 21.1 del trattato (e dell'articolo 1 della legge vaticana sulla cittadinanza) esso gode della cittadinanza vaticana. Abbiamo già visto che essere cittadini stranieri non preclude la punizione penale se il fatto è commesso in Italia. Nell'ipotesi però che il cardinale riparasse nella Città del Vaticano evidentemente dovrebbe richiedersi l'estradizione».Ma l'elemosiniere ha anche un ulteriore peculiarità, quella di dipendere direttamente dal Papa.«A oggi l'elemosineria pontificia, secondo l'articolo 193 dell'ancora vigente Costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana, “svolge a nome del Santo Padre il servizio di assistenza verso i poveri e dipende direttamente da lui". Dunque il soggetto che è preposto a essa (annoverabile forse tra gli “enti centrali della Chiesa esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano" per l'articolo 11 del trattato: ma non è il caso che ci inoltriamo in questa disputa), anche in virtù del particolare legame di dipendenza e di collaborazione col Sommo Pontefice, che, va ricordato, è al contempo sovrano dello Stato della Città del Vaticano, potrebbe in teoria qualificarsi come “ministro" di un ordinamento esterno a quello nazionale. E potrebbe altresì ipotizzarsi, come qualche prelato - incautamente - ha ventilato, che l'arcivescovo elettricista polacco nel compiere l'atto de quo abbia agito in nome e rappresentanza, ovvero su mandato del successore di Pietro regnante: anzi qualche giornalista ha dato per scontata tale superiore “investitura". Ho già espresso e ribadisco la mia perplessità a che possa ritenersi tale illecito come riferibile all'ufficio della Santa Sede anziché alla persona fisica che lo ha commesso: a riprova si segnala che il cardinale ha ripetutamente sottolineato che, togliendo i piombi dal contatore, aveva agito di propria iniziativa e non quale “organo costituzionale della Chiesa"».In linea di principio quindi il cardinale potrebbe evitare il processo.«Io confido che non ricorrerà mai a immunità diplomatiche o per “atti di governo", né si avvarrà mai di eventuali trattamenti di favore riconosciuti, laddove anche ve ne fossero e a lui venissero accordati. E neppure, tanto meno, troverà riparo entro le mura leonine. Questo, infatti, sarebbe in contrasto con il suo gesto e le giustificazioni che ne ha fornito». A questo punto posso chiedere qual è la sua opinione sul fatto?«Stando alle dichiarazioni del monsignore, egli ha preferito obbedire alla legge di Dio piuttosto che alla legge degli uomini». È una legge evangelica, no?«Poiché credo e spero che vescovi della Chiesa cattolica non siano soliti richiamare a cuor leggero a propria discolpa principi neotestamentari di questa portata, è evidente che nella visione del cardinale egli ha sollevato un caso di obiezione di coscienza. Un istituto che nel cristianesimo ha trovato un campo fertilissimo di applicazione, un modo spesso eroico di riaffermare la legge di Dio contro leggi inique». D'accordo, ma nel caso specifico?«Se il cardinale si vede come un novello obiettore di coscienza che difende la legittimità contro la legalità, la sua testimonianza deve possedere almeno due connotazioni che, sole, la rendono credibile. Deve anzitutto esporsi di persona, la responsabilità e il sacrificio sono personali: per questo, come anticipato, non utilizzerà privilegi o escamotage, non si sottrarrà al processo italiano. E così la sua testimonianza diverrà pubblica ed esemplare, potendo finalmente spiegare quale sia la legge di Dio che la legge umana ha violato. L'opposizione dell'obiettore è azione consapevole che veicola un valore radicato sulla giustizia divina che egli deve enunciare con chiarezza sì che la mancanza di equità sia eliminata».E quale sarebbe questo valore nel caso del contatore?«Temo fortemente che su questa necessaria e non facoltativa dimostrazione si aprano, per il simpatico cardinale, insormontabili difficoltà. Perché - anche constatato che non era realisticamente a rischio la vita di nessuno -, pur con tutta la benevolenza e con tutta la fantasia, di vera legge giusta con portata universale da restaurarsi contro l'arbitrio del legislatore umano non si riesce proprio a scorgere traccia».