2023-03-14
Con l’Italia rimasta senza posti letto Speranza & C. respingevano sanitari
Roberto Speranza (Imagoeconomica)
Clamorosi ritardi nel censire personale e strutture. Pierpaolo Sileri: «Io incalzavo da gennaio però nessuno rispose». Intanto i burocrati del dicastero rimbalzavano le offerte di intervento dei medici con titoli presi all’estero.Mentre le Regioni supplicavano direttive, un messaggio di Walter Ricciardi svela le balle raccontate a Bruxelles.Lo speciale contiene due articoli.Lo abbiamo ripetuto fino allo sfinimento: se l’Italia avesse attivato il piano pandemico sarebbe arrivata più preparata alla pandemia. E non perché avrebbe chiuso di più o prima, ma perché avrebbe avuto una differente disponibilità di uomini e mezzi. Che fosse possibile (e doveroso) prepararsi in maniera diversa ed efficiente lo dimostrano al di là di ogni dubbio le carte dell’indagine di Bergamo sulla gestione dell’emergenza. A fornirci dettagli fondamentali sono le dichiarazioni rilasciate agli inquirenti da Pierpaolo Sileri, già viceministro e poi sottosegretario alla Salute.Interrogato dai magistrati, Sileri spiega: «Subito dopo il caso di Codogno, il 26 febbraio 2020, ho chiesto i dati delle polmoniti di novembre, dicembre 2019 e gennaio 2020 nonché quelli degli anni precedenti. Solo il 5 marzo e dopo diversi solleciti fatti mi è stato comunicato dal professor Ruocco (Giuseppe Ruocco, alto dirigente ministeriale, ndr) che non c’erano dati per tutto l’anno precedente per un problema, se ricordo bene, di sistema». Già questo particolare è abbastanza impressionante. Ma quanto segue lo è ancora di più. Agli inquirenti bergamaschi, Sileri disegna un quadro della situazione piuttosto inquietante: «Al mio primo rientro da Wuhan», racconta, «io avevo sollecitato l’acquisto di materiale, in particolare di ventilatori, e l’ampliamento di personale […]. Al rientro dal secondo viaggio in Cina io ho richiesto immediatamente e con insistenza personale e materiale e ciò ho continuato a chiedere con insistenza fino al 5 marzo 2020. […] Dal 17 febbraio 2020 si è fatta sempre più pressante la mia richiesta di aumentare personale sanitario e terapie intensive; quello stesso giorno ho dato a Urbani (Andrea Urbani, già direttore generale della Programmazione del ministero, ndr) il numero di cellulare di Zangrillo dicendogli di mettersi in contatto con lui che aveva creato la rete Ecmo. Non mi risulta che l’abbiano mai sentito nelle settimane successive».Dichiarazioni simili Sileri le rilascia ora alla Verità, spiegando che «già della fine di gennaio cominciai a insistere per l’aumento del personale e per l’acquisto delle apparecchiature necessarie, ma non ebbi mai risposta». Che l’ex viceministro Sileri non stia dicendo il falso per coprirsi le spalle risulta dalle conversazioni intercorse - contenute nelle carte bergamasche - fra lui e il ministro Roberto Speranza. Il 28 febbraio 2020, Sileri scrive un lungo messaggio al ministro della Salute: «Oltre ai device dobbiamo provvedere come dicevo oggi alla formazione del personale infermieristico per le Niv poiché le subintensive sebbene possibili in reparto avranno bisogno di personale dedicato che attualmente non riuscirebbe a gestire pazienti di questo tipo se non in pochissimi reparti ed in numero minimo», dice Sileri nel testo. «Questa osservazione nasce dall’esperienza vissuta di pazienti critici che non trovando posto in rianimazione o essendo meno critici venivano gestiti in reparto peraltro di alta chirurgia. Il personale infermieristico per quanto bravo può avere serie difficoltà e se non lo formiamo da subito ovunque avremo problemi».Il contenuto è chiaro: servono più medici e infermieri formati, servono apparecchiature da tenere nei reparti in previsione dell’arrivo di un forte flusso di malati da curare. Il giorno seguente, Sileri insiste: invita a svolgere un censimento dei medici disponibili e suggerisce di richiamare anche gli specialisti pensionati. Poi commenta nervoso: «La cosa che mi fa incazzare è che lo avevo detto a Ruocco settimane fa».Non si tratta, attenzione, di una fissazione di Sileri, ma di azioni che erano previste dal piano pandemico del 2006 che il ministero avrebbe dovuto attivare e non ha mai attivato. Il censimento dei medici disponibili, le eventuali nuove assunzioni e l’acquisto di materiali in previsione di una emergenza pandemica erano tra i primi provvedimenti da attuare. Ma ancora alla fine di febbraio del 2020 non era stato fatto nulla, anche se l’Oms aveva comunicato l’esistenza di polmoniti anomale in Cina già il 5 gennaio 2020. L’aspetto più sconcertante della vicenda è che qualche deludente risultato comincerà a vedersi soltanto alcuni giorni dopo le insistenze via chat di Sileri.Come scrivono gli investigatori bergamaschi bisogna aspettare il 24 febbraio del 2020 perché «il funzionario ministeriale Giuseppe Viggiani invii a Ruocco “sia l’elenco dei reparti di malattie infettive degli ospedali 2.271 pubblici, equiparati ai pubblici e delle case di cura private, accreditate e non, sia il numero di ventilatori polmonari presenti nelle strutture di ricovero per singola struttura”. Si evidenzia che sia l’elenco dei posti letto in terapia intensiva, sia l’elenco dei ventilatori polmonari, che la “Distribuzione regionale dei posti letto di degenza ordinaria per le discipline afferenti all’area della terapia intensiva” sono aggiornati all’anno 2018». Capito? Alla fine di febbraio arriva un elenco dei posti in terapia intensiva, ma è aggiornato a due anno prima. Niente male.Scrivono gli investigatori: «Non da meno appare il fatto che il ministero aveva un’errata mappatura dei posti letto, compresi quelli in terapia intensiva. Infatti, il 9 febbraio 2020, rispondendo all’invito dell’Iss di un meeting, la dott.ssa Flavia Petrini, dell’Università di Chieti, informava Brusaferro che “stiamo cercando di elaborare una verifica più reale rispetto a quella resa disponibile dal ministero della mappatura dei posti letto di terapia intensiva. Quella attinente al 2018 pubblicata, contiene infatti sia Unità non esistenti in alcuni Istituti di cura, che posti letto in numero diverso sulle Unità rilevate”».Di ritardo in ritardo, si arriva addirittura al 4 marzo del 2020. «Anche in questo caso non si può non segnalare il ritardo del ministero della Salute nella gestione dell’emergenza», scrivono gli inquirenti di Bergamo. «Solo il 4.3.2020, infatti, approntava una prima stima dei costi per l’acquisto di attrezzature ospedaliere, allorquando ormai in Lombardia vi erano già 1.820 casi, 73 deceduti e 209 persone in terapia intensiva».Ecco, questa era la situazione degli acquisti. Quella riguardante i medici disponibili, forse, era persino peggiore. L’assistenza ai malati in corsia si reggeva sul sacrificio di «eroi» e «angeli» della pandemia. Gli organici, tuttavia, erano strutturalmente insufficienti. Eppure, il governo di allora, alla faccia del «siamo prontissimi» di Giuseppe Conte, non si premura di mettere in atto le misure che avrebbero potuto tamponare le falle. Sempre Sileri segnala, ad esempio, che si sarebbero potuti coinvolgere più attivamente gli ambulatoriali: spesso, costoro vengono impiegati per sole «20 ore a settimana», che vista la situazione drammatica, «potevano essere portate a 38». Cioè, al tetto massimo effettivo che la legge prevede per quell’incarico. Poi, c’è la questione dei professionisti stranieri. Con il decreto Cura Italia, pubblicato il 17 marzo 2020, l’esecutivo decide di consentire, fino a fine 2022, «l’esercizio temporaneo» dell’attività a chi avesse studiato all’estero, conseguendo una qualifica «regolata da specifiche direttive dell’Unione europea». Anche in assenza di un’equiparazione del titolo nel nostro Paese. «Ho contribuito a suggerire la stesura di quell’articolo 13, grazie alle interlocuzioni con Sileri», ci spiega però il dottor Fuad Aodi, presidente dell’Associazione medici di origine straniera in Italia. «Il testo è rimasto lettera morta». Che agli allarmi sui nosocomi al collasso non corrispondesse la solerzia del dicastero, lo conferma una conversazione tra due funzionari, Alessandra D’Alberto e Francesco Maraglino, agli atti della Procura bergamasca. Il primo aprile 2020, la prima informa il collega che «stanno arrivando su docspa (piattaforma per la gestione digitale dei documenti, ndr) numerose richieste di infermieri, anche italiani, che si sono diplomati alla (sic) estero e che vogliono mettersi a disposizione ma hanno titoli non riconosciuto (sic). La prof le sta girando tutte a noi. Che dobbiamo fare?». Maraglino si stizzisce: «Rifiutarle», è la sua risposta laconica. Perché? «Non di nostra competenza». Di più: «Ma come viene loro in mente di girarcele». Gli ospedali scoppiavano, ma in lungotevere Ripa si ragionava per cavilli. In una fase in cui per gli italiani, con la scusa dell’emergenza, ogni garanzia è stata fatta saltare.Dunque, non solo i giallorossi, che reggono il timone della barca quando infuria la tempesta del secolo, non s’avvedono che potrebbero coinvolgere gli ambulatoriali. Non solo agiscono in clamoroso ritardo (il 17 marzo) sullo sblocco del servizio dei professionisti formatisi all’estero. Salvo rare eccezioni - le missioni internazionali dei cubani a Crema e in Piemonte, la sfilata dei cinesi tra lo Spallanzani e la Lombardia, la visita dei probabili «spioni» russi - il provvedimento del Cura Italia resta sulla carta. Quando la patata bollente arriva ai boiardi, questi se ne lavano pure le mani, benché una parte dei laureati che si offrono di contribuire siano italiani. E non finisce qui. In quei giorni, non vengono reclutati nemmeno i professionisti con cittadinanza straniera, che già lavorano regolarmente qui nel settore privato, ma non possono esercitare nel Servizio sanitario nazionale. Parliamo di almeno il 65% dei 77.500 tra medici e infermieri censiti dall’Amsi. «Sileri ci ha ascoltato», prosegue ancora Aodi, «mentre Speranza ha sempre ignorato le nostre richieste. Noi volevamo anche che fossero facilitate le procedure per il riconoscimento dei titoli di studio. La sinistra strumentalizza il tema dell’integrazione: l’ex ministro non ci ha mai risposto». Evidentemente, gli bastavano gli «eroi» e gli «angeli» che schiumavano nei reparti, con turni massacranti e spesso penuria di tute e mascherine. Anziché nel piano pandemico, qualcuno confidava nel miracolo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/italia-senza-posti-letto-speranza-2659590490.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mancava-tutto-ma-il-ministro-si-vantava-in-ue" data-post-id="2659590490" data-published-at="1678736097" data-use-pagination="False"> Mancava tutto, ma il ministro si vantava in Ue Il 6 marzo 2020 l’Italia è alla vigilia del primo lockdown. Sarebbe scattato da lì a tre giorni. L’argine innalzato da medici e ospedali contro la prima ondata della pandemia iniziava a collassare. A Bruxelles, quel giorno (lo stesso in cui il funzionario del dicastero Francesco Maraglino intima a una collega di rifiutare l’offerta di professionisti formatisi all’estero e che volevano lottare contro il virus nei nosocomi italiani), si tiene una riunione dei ministri della Salute dei Paesi dell’Ue, convocata soltanto due giorni prima, in cui c’è un unico punto all’ordine del giorno: «Covid-19. Scambio di opinioni». «I ministri hanno fatto il punto della situazione. Hanno proceduto a uno scambio di opinioni sulle migliori modalità per garantire una risposta coordinata all’attuale epidemia di Covid-19 nell’Ue», si legge nei resoconti ufficiali del meeting. E ancora: «I ministri hanno convenuto che è importante fissare misure coerenti di contenimento, compresi orientamenti basati su dati fattuali per quanto riguarda gli spostamenti da e per le zone a rischio. I ministri hanno sottolineato la necessità di monitorare a livello europeo la disponibilità nell’Ue di attrezzature mediche e di farmaci allo scopo di garantire la produzione, lo stoccaggio, la disponibilità e l’uso razionale dei dispositivi di protezione nell’Unione». Alla riunione era presente l’allora ministro della Salute italiano, Roberto Speranza. E come c’è arrivato, Speranza, a quell’appuntamento? Leggendo un documento che, alle 10.53 di quella mattina, Walter Ricciardi, consigliere di Speranza, invia a Silvio Brusaferro. È un passaggio importante, quello ricostruito nelle carte dell’inchiesta della Procura di Bergamo, che svela il clima al limite della millanteria che si respirava, in quei giorni drammatici, nel Conte 2. Il contesto è presto riassunto dalle carte: diverse Regioni «sollecitano urgente riscontro alle richieste» di utilizzare «i medici di medicina generale per effettuare visite domiciliari, adeguatamente protetti con dpi» per «ridurre l’utilizzo dei pronto soccorso degli ospedali» e vogliono sapere «la durata del periodo di quarantena per gli operatori sanitari entrati in contatto con positivi». Ricciardi, dunque, invia a Brusaferro il «Promemoria per il ministro», ossia il discorso che, da lì a poche ore, avrebbe letto Speranza davanti ai colleghi europei. «L’Italia intende porre a disposizione di tutti i Paesi dell’Unione l’esperienza tecnica, scientifica, organizzativa, comunicativa acquisite in queste settimane in un contesto epidemiologico e assistenziale di rilevante complessità», racconta Speranza a Bruxelles. Di scientifico, in Italia in quel periodo, c’era poco. Di organizzativo, ancora meno visto il livello di caos generato dalle continue evoluzioni, o dall’immobilismo dei provvedimenti governativi. Di esperienza tecnica ce n’era poca da poter prestare, visto il livello di difficoltà nel reperire personale medico e infermieristico. E, a livello comunicativo, l’Italia non poteva dar lezioni ad alcuno, stante le conferenze stampa notturne di Giuseppe Conte e la farraginosità dei messaggi. Proprio sul tema di medici e infermieri negli ospedali, le carte dell’inchiesta riportano un messaggio che, sempre il 6 marzo, la funzionaria dell’Oms, Benedetta Allegranzi, invia a Giuseppe Ruocco, allora segretario generale del ministero della Salute: «L’Oms è interessata ad acquisire informazioni a proposito delle decisione e dei piani che l’Italia sta sviluppando per la rapida riorganizzazione del sistema sanitario. Vorremmo imparare dalla vostra esperienza e ispirarci alle vostre idee». A Bruxelles, dopo aver ribadito ai colleghi europei che l’Italia aveva scelto «la strada della massima trasparenza, continueremo con decisione su questa strada», Speranza, indossati i panni del condottiero, traccia napoleonicamente la strada per il futuro: «C’è la necessità che siano elaborati dei piani ben definiti anche per gli scenari futuri, anche attraverso linee guida sugli aspetti diagnostici, clinici e, più in generale, di gestione dei pazienti per evitare che le scelte più complesse e delicate debbano essere effettuate troppo rapidamente e in carenza di informazioni importanti». Praticamente, la linea tenuta dal suo ministero nei due anni e mezzo successivi.
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)