Roberto Speranza (Ansa)
Derubricare un reato non cancella le responsabilità di tecnici e politici. Perciò deve partire la commissione d’inchiesta.
In vista delle elezioni europee, l'ex ministro ha riscoperto la sua vena di scrittore, aggiornando il libro che aveva scritto durante la pandemia per celebrare la sconfitta contro il virus, ma che era stato costretto a ritirare dalle librerie a causa di una nuova ondata di Covid.
Il rimaneggiamento del testo non aggiunge nulla di nuovo alle tesi banali dell’ex ministro della Salute; tuttavia, offre all’esponente del Pd l’occasione per girare l’Italia e fare un po’ di campagna in vista del voto. L’uomo che per quattro anni ha avuto in mano la sorte degli italiani, imponendo una serie di misure che oltre a rivelarsi inutili si sono dimostrate dannose (vigile attesa, lockdown e green pass per primi), infatti si dipinge agli occhi di chi corre ad ascoltarlo come una specie di salvatore della patria. Ma tace quando davanti si trova persone che, avendo subito gli effetti avversi dei vaccini, chiedono di essere ascoltate. Speranza al contrario, non ha alcuna intenzione di stare a sentire chi è ridotto sulla sedia a rotelle e reclama giustizia. Per lui la narrazione deve andare in un senso solo, ed egli deve apparire agli occhi dell’opinione pubblica come una specie di luminare, che nonostante la scarsa esperienza politica e la nessunissima competenza in materia di salute, ha fatto uscire il Paese dall’emergenza.
Dunque, visto che chi porta sul proprio corpo le conseguenze di quel periodo non intende mollare e insiste a chiedere ascolto, è sceso in campo l’ufficio stampa dell’ex ministro, nella persona di alcuni giornalisti, i quali si sono dati da fare per dipingere chi chiede spiegazioni come pericolosi no vax. Già questo dimostra quanto sia infondato l’appello a salvare il soldato Speranza: se chi lo segue nei suoi giri per l’Italia lamenta le conseguenze del vaccino, non può essere un no vax. Lo dice la logica: se ti sei vaccinato non puoi essere uno che ha rifiutato di fornire il braccio alla patria. Semmai puoi essere un sì vax pentito, ovvero una persona che seguendo i consigli di Speranza e compagni si è sottoposta a iniezione e ora non sa che fare e non sa a chi rivolgersi.
Ma oltre alla logica, ci sono i fatti che smentiscono la tesi dell’ex ministro braccato, come qualcuno lo ha definito. In questo Paese tutti hanno diritto di manifestare e se si vuole si può contestare anche il Papa (come ricorderete, è successo anche questo e tra le fila di chi protestava c’era pure un illustre fisico come Giorgio Parisi, premiato poi con il Nobel), ma l’ex ministro no, non può essere messo in discussione. La sua verità - ma preferisco dire le balle con cui ha coperto e copre i propri errori - non può essere contestata, perché le brigate del conformismo nazionale che operano in alcune redazioni hanno steso attorno a Speranza un cordone sanitario.
Però sarà bene che prima di emettere sentenze in difesa dell’esponente del Pd, cronisti e opinionisti si leggano con attenzione una ordinanza vera, ossia quella del Tribunale dei ministri in cui, pur prosciogliendo l’ex ministro da ogni accusa, si riportano le dichiarazioni in cui egli stesso riconosce di aver sottovalutato gli effetti avversi dei vaccini e di aver taciuto dinnanzi alle segnalazioni di possibili miocarditi come conseguenza dell’iniezione. Ma si assolve dando la colpa ai tecnici sui quali, dopo aver scritto un libro in prima persona attribuendosi meriti e responsabilità, getta la croce, dicendo che toccava a loro bloccare le iniezioni qualora avessero avuto perplessità sull’efficacia e sulla sicurezza del siero.
Lo hanno spiegato bene Mario Giordano, Francesco Borgonovo e Alessandro Rico. Speranza ha poco da fare la vittima e di lamentare inesistenti aggressioni (quelle le fanno di regola i compagni dei centri sociali a cui lui per una vita ha strizzato l’occhio). Altro che presentare libri senza contraddittorio, accusando di linciaggio chiunque non lo applauda. Se non ha nulla da nascondere, se ha la certezza di avere fatto ciò che era necessario, accetti un confronto con quelle persone che hanno avuto la vita rovinata e chiedono giustizia. Non sono né mitomani né pazzi e per questo meritano rispetto. Per quanto ci riguarda, noi siamo pronti a raccogliere le loro domande e a sentire le risposte dell’ex ministro. Sempre che Speranza la smetta di scappare e di fare la vittima. Perché le vittime in questo caso sono altre.
In vista delle elezioni europee, l'ex ministro ha riscoperto la sua vena di scrittore, aggiornando il libro che aveva scritto durante la pandemia per celebrare la sconfitta contro il virus, ma che era stato costretto a ritirare dalle librerie a causa di una nuova ondata di Covid.
Non c’è stata nessuna aggressione all’ex ministro Roberto Speranza. Lo dico perché è cominciato il tam tam che conosciamo bene: prima un editoriale sul Foglio («L’aggressione a Speranza è uno schifo»), poi il podcast di Annalisa Cuzzocrea («L’aggressione a Speranza è ignobile»), poi ci saranno le trasmissioni tv a reti unificate, il piagnisteo organizzato, le ospitate di solidarietà (così intanto si promuove anche un po’ il libro che non pare venda molto), il tono grave e compito, gli interventi a gamba tesa per impedire altre contestazioni. Bene: mentre vi sorbite tutto questo sappiate che non c’è stata nessuna aggressione. Né l’altro giorno a Ostia né prima a Firenze né a San Benedetto del Tronto né a Potenza né in nessuno degli altri posti in cui l’ex ministro va presentando il suo libro in cui, con una faccia di bronzo davvero esemplare, si autoincensa per la gestione del Covid («Abbiamo compiuto un’impresa davvero straordinaria»). L’unica cosa che c’è stata, dappertutto, è il grido di dolore di persone che per via di quella impresa così straordinaria ora si contorcono di dolore ogni notte e sono costrette a vivere su una carrozzina. Persone che qualcuno, Speranza in testa, da sempre vorrebbe far tacere.
Purtroppo per loro, però, quelle persone non tacciono. Purtroppo per loro quelle persone esistono. E hanno ancora la forza di urlare la loro sofferenza e di chiedere un aiuto che finora non hanno avuto. Per altro, nota a margine: quelle persone non sono per nulla no vax come si continua a scrivere con abbondanza di cialtronaggine. Se fossero no vax infatti non si sarebbero vaccinate e dunque non sarebbero in carrozzina e non si contorcerebbero ogni notte per il male. Se fossero no vax avrebbero ancora la loro bella vita, il loro lavoro, Giuseppe starebbe nel cantiere navale, Andrea giocherebbe a pallone, Rita potrebbe fare una passeggiata quando ne ha voglia. Invece no: Giuseppe, Andrea e Rita sono su una carrozzina proprio perché non sono no vax e si sono vaccinati. Si sono fidati delle istituzioni e della scienza. Ma dalle istituzioni e dalla scienza non hanno mai ricevuto una risposta. Mai. Dico: mai. E adesso urlano perché sono disperati perché non sanno come curarsi. Perché non hanno i soldi per vivere. E si trovano davanti solo porte sbattute in faccia. E Speranza che fa la vittima protetto dalla scorta armata di polizia e giornalisti compiacenti.
Di fronte a tutto ciò l’unico vero «schifo», per usare le stesse parole che ci sono state gettate addosso, è quello di chi pensa sempre e soltanto a difendere e proteggere i politici, quelli dal telefono facile e dalla lagna perenne. L’unica cosa «ignobile» sono i giornalisti pronti a stendersi a stuoino di fronte ai potenti e incapaci di ascoltare la voce dei malati. Incapaci di ascoltare Giuseppe, Andrea, Rita e quelli come loro, persone che stanno male da mesi in silenzio e che ora, siccome osano lamentarsi, vengono bollati come «dementi, buzzurri e violenti». Buzzurri? Dementi? Violenti? Certo, dopo due anni in carrozzina forse non si è freschi e profumati come il ministro Speranza quando esce dal barbiere di fiducia, ma i «buzzurri» sono altri. E l’unica cosa davvero demente di questa storia è l’infierire del bel mondo sulle persone che stanno male. E l’unica violenza è quella che è stata perpetrata nei confronti di queste persone che sono state tradite da tutti, che non sono mai state ricevute al ministero quando c’era Speranza e non vengono ricevute neppure oggi che c’è Schillaci, che sono state ingannate da informazioni farlocche e poi abbandonate a loro stesse, senza un sostegno economico e senza qualcuno che si prenda cura di loro.
Andrea, per dire, con la sua carrozzina va a curarsi in Germania dove, a differenza che in Italia, hanno creato centri appositi per la cura degli effetti avversi. Lo sovvenzionano alcuni benefattori perché lui non ha più come mantenersi. Ha scritto a chiunque, nessuno gli ha mai dato risposta.
Quando ha incontrato l’ex ministro Speranza a Potenza, si è sentito dire, con una certa arroganza, «prima del vaccino tu hai firmato la liberatoria».
Come a dire: cavoli tuoi. L’ex ministro, e non è il solo, fa spesso riferimento alla legge sugli indennizzi. Ma si tratta di una legge del 1992, che per altro si rifà a tabelle stilate nel 1981 per le pensioni militari, tanto è vero che la richiesta di indennizzo viene valutata dal comitato medico militare. È ovvio che si tratta di una norma inadeguata: chi può ricevere l’indennizzo per i danni causati da un vaccino sperimentale del 2024 sulla base di tabelle studiate per le pensioni militari del 1981? Nessuno si pone il problema però. Nessuno ne parla. Perché se qualcuno prova a parlarne è un «mestatore pseudogiornalistico», come sentenziano dall’alta cattedra del Foglio. Dove, purtroppo, la voglia di leccare i piedi al potente di turno spesso supera la voglia di conoscere i fatti e le persone.
Se conoscessero Andrea, Rita, Giuseppe e gli altri si accorgerebbero che sono esasperati, stanchi, disperati, ma non sono affatto buzzurri né dementi e tanto meno violenti. Sono persone che stanno male. Quando Andrea è arrivato a tu per tu con Speranza gli ha pure chiesto scusa, umilmente, perché aveva fatto una domanda durante la presentazione del libro («Ho disturbato, ma sono stanco di non essere ascoltato»). Speranza gli ha risposto dandogli dell’assassino. Nel suo libro l’ex ministro liquida il drammatico fenomeno degli effetti avversi in poche righe: «In alcuni si fa strada il timore di imprecisati effetti avversi», scrive. Come se Andrea, Rita, Giuseppe, Camilla (morta), Stefano (morto) e gli altri fossero un «timore imprecisato» e non precisissime persone umane. Poi, nel libro, Speranza si appella al dialogo («Un timore da affrontare con il dialogo»). Ma quale dialogo? Quale dialogo se lui non l’ha mai voluto? Quale dialogo se quando va in giro blinda le presentazioni dei libri come se fossero Fort Knox? Quale dialogo se i suoi scherani sono pronti a chiedere la «coesione nazionale» (niente meno) e a mobilitare l’Internazionale del Giornalismo Prono per contrastare pochi malati che urlano di dolore e disperazione?
Nel suo libro Speranza dice che quando va in giro viene «spesso avvicinato da sconosciuti sorridenti che esprimono apprezzamento e gratitudine per il lavoro svolto». Benissimo, sono le soddisfazioni del politico. Capita però che ci sia anche qualcuno che è un po’ meno contento del lavoro svolto, magari perché, in seguito a quel lavoro, si trova in carrozzina. E a quelli dovremmo vietare di esprimersi e contestare? Ma che democrazia è quella che permette ai violenti anarchici di andare in piazza a spaccare le vetrine (libertà di manifestazione, ovvio), alle femministe incattivite di incendiare la sede di Pro Vita (libertà di manifestazione, ovvio) ma vuol impedire ai malati di dire (senza alzare un dito) che stanno male? Ed è forse vietato dire che si sta male in faccia a un ex ministro che si vanta di aver guarito l’Italia intera con un’«impresa straordinaria»? Ma perché? Credetemi: se davvero Speranza fosse il politico «perbene e coraggioso» che dicono i giornali proni, sarebbe il primo ad accettare le contestazioni delle persone che stanno male e chiedere un confronto con loro. Se lo fosse. E purtroppo non lo è.