
Per allentare l’asse Mosca-Pechino, gli States potrebbero aprire una nuova fase di relazioni economiche.Le caratteristiche comportamentali di Donald Trump non dovrebbero oscurare la comprensione della macrostrategia che Washington sta perseguendo per ripristinare la centralità degli Stati Uniti nel mondo, cioè la Pax Americana dove il termine latino Pax va tradotto correttamente come assenza della guerra perché c’è un potere che possiede il monopolio della violenza derivato da una capacità di deterrenza superiore. Il tema del ripristino della potenza globale statunitense (tralasciando qui la storia relativa ai molti atti per rendere sostenibile il costo dell’impero dai primi anni 70 in poi) è un oggetto di studio nei think tank americani sia repubblicani sia democratici dal 2012, quando in Cina emerse la leadership di Xi Jinping caratterizzata da un progetto imperiale sostitutivo della centralità mondiale statunitense con tratti neo-maoisti. Nel 2013 ciò spinse Barack Obama, su pressione della burocrazia imperiale statunitense, a rompere la convergenza con Pechino in sede G20, in realtà G2, e a lanciare il progetto di due aree di mercato americocentriche, una verso l’Atlantico (Ttip) e l’altra verso il Pacifico (Tpp), che escludevano Russia e Cina. Pechino reagì con un programma di potenza espansiva simmetrica di raggio globale, la Via della seta, con penetranti corteggiamenti agli europei. Mosca nel 2014 invase per reazione la Crimea e lanciò messaggi di deterrenza agli europei stessi, Germania in particolare. Nel 2017 Trump ritirò l’America dal Tpp e mise nel cassetto il Ttip perché trattati considerati insufficienti per l’equilibrio commerciale tra America e mondo nonché sabotati da Francia e Germania, al tempo. E influenzò il Congresso per dichiarare la Cina, dove Xi aveva assunto poteri dittatoriali, un nemico con esito di ampio consenso bipartisan. La successiva amministrazione di Joe Biden non riuscì a contrastare a sufficienza l’emergere della potenza cinese e costrinse la Russia a convergere per necessità con la Cina. Ora Trump ha ripreso la strategia limitativa del potere cinese che implica sia il distacco di Mosca da Pechino sia una proiezione di influenza sostitutiva di quella cinese nel Sud globale. Implica anche il ripristino della deterrenza statunitense ispirata a quella dell’Impero romano: produrre paura nel nemico per evitare azioni belliche e relativi costi (priorità politica interna americana per il consenso della parte isolazionista). Il punto: diversamente da analisi francamente zoppicanti che enfatizzano una configurazione multipolare del mondo, America e Cina si stanno giocando in formato bipolare il ruolo di comando sul mondo stesso. Pechino stimola o comunque favorisce in modo nascosto una molteplicità di conflitti per sovraccaricare e mettere in crisi il potere residuo dell’America, con la priorità di evitare una concentrazione di deterrenza statunitense nel Pacifico. Per esempio, l’attacco di Hamas ordinato dalle milizie iraniane forse su stimolo segreto cinese contro Israele per provocarne una reazione utile a sabotare il consenso arabo per la Via del cotone tra Indo-pacifico e Mediterraneo, considerata da Pechino una barriera all’espansione. Xi, pur avendo variato molti aspetti della grande strategia cinese avviata da Deng Xiaoping nel 1978, mantiene l’obiettivo di dominare l’Asia-Pacifico perché regione economica più grande del pianeta e da questa posizione aumentare l’influenza globale. Washington a conduzione Trump reagisce usando una postura di deterrenza imperiale invece di azioni belliche o troppi dollari per chiudere i conflitti sia stimolati da Pechino sia che possono avere ricadute sull’America. Poiché Washington è superpotenza, ma non più così grande per avere da sola un’influenza globale, ha bisogno di staccare Mosca da Pechino per depotenziare la seconda. Quindi cercherà di congelare il conflitto in Ucraina dando in cambio alla Russia vie di uscita dalla crisi economica che sta indebolendo il regime di Vladimir Putin, bilanciandole con garanzie all’Ucraina. La Cina sta già reagendo sia dando regali a Mosca sia facendo finta di non aiutarla troppo nello sforzo bellico, ma i dati mostrano che la forza russa è ormai totalmente dipendente da Pechino, pur le élite russe non volendolo. Forse un congelamento è possibile, ma con la necessaria convergenza degli europei per creare convenienze a Kiev. Riflettendo su questo punto e altri casi correlabili con i miei ricercatori, anche statunitensi, è emerso che l’America ha bisogno di alleati per riuscire a realizzare la sua macrostrategia. Trump se ne è accorto nel caso della Palestina. Un mio dottorando ha evocato come il generale romano Ezio, nel 5° secolo, riuscì a respingere l’orda di Attila con il solo potere cognitivo e organizzativo perché l’impero era ormai debolissimo: riuscì a compattare le tribù barbariche e a farle combattere con efficacia per Roma. Forse l’esempio non è del tutto calzante, ma è utile per il caso dell’Ucraina: Trump ha bisogno - pur avendo deterrente, ma con il rischio di una risposta nucleare - della convergenza con gli europei per bilanciare i sacrifici ucraini con vantaggi per favorire un compromesso, intanto di congelamento del conflitto cinetico. E qui lo auspico. Ma aggiungo un possibile vantaggio per gli europei: Washington si sta accorgendo che ha più bisogno di alleati di quanto inizialmente pensato e tale fabbisogno potrà facilitare una revisione dei dazi pesanti per gli europei stessi. In tale prospettiva va annotato che la politica estera italiana, attenta a non rompere la convergenza atlantica, è perfettamente adeguata al momento. In conclusione, il ripristino della Pax Americana non potrà avvenire senza una ricompattazione del G7 e sua estensione. Per poi nel lungo termine diventare Nova Pax.www.carlopelanda.com
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La Corte valuta di deferire Roma per il rimpatrio. Minacce poco credibili, come mostra Budapest che, dopo Netanyahu, ospiterà Putin.