2025-10-19
La Cpi schiaffeggiata da Orbán torna a frignare su Almasri
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)
La Corte valuta di deferire Roma per il rimpatrio. Minacce poco credibili, come mostra Budapest che, dopo Netanyahu, ospiterà Putin.La Corte penale internazionale ha formalizzato ieri una contestazione contro l’Italia per il rimpatrio del generale libico Mahmoud Almasri, trasferito a Tripoli con un volo di Stato nel giugno scorso nonostante fosse destinatario di un mandato di arresto dell’Aia. Nel documento inviato a Roma, la Camera preliminare della Cpi accusa il governo italiano di aver «omesso di adempiere gli obblighi di cooperazione» previsti dallo Statuto di Roma, «impedendo l’esecuzione del mandato di arresto» emesso contro Almasri per gravi violazioni del diritto internazionale. La Corte ha quindi chiesto all’Italia di fornire spiegazioni entro il 31 ottobre e di chiarire quali misure intende adottare per «rimediare» alla violazione contestata. Secondo la ricostruzione contenuta negli atti dell’Aia, le autorità italiane avrebbero «facilitato il trasferimento del ricercato in Libia», anziché procedere alla sua consegna alla Corte, come previsto dall’articolo 89 dello Statuto. Un passaggio del documento, peraltro, sottolinea che la mancata esecuzione del mandato sarebbe avvenuta «nonostante le ripetute richieste formali inoltrate» all’Italia dall’Ufficio del procuratore. La Cpi ha altresì affermato che si riserva la facoltà di deferire la vicenda all’Assemblea degli Stati parte (cioè gli Stati che hanno aderito allo Statuto di Roma), oppure al Consiglio di sicurezza dell’Onu, in caso di «persistente mancata cooperazione» da parte dell’Italia. Ma si tratta, nella prassi, di un’eventualità più teorica che concreta.Il caso Almasri, del resto, sembra più che altro la classica tempesta in un bicchier d’acqua, utile soprattutto alla sinistra per attaccare il governo di Giorgia Meloni. Una settimana fa, comunque, la Camera dei deputati ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, nonché del sottosegretario Alfredo Mantovano, che il Tribunale dei ministri aveva indicato come responsabili del trasferimento del generale libico. Come ha rivendicato la maggioranza, si è trattato di una decisione adottata nell’interesse nazionale e nell’ambito delle competenze governative in materia di sicurezza. Con il pronunciamento della Cpi, però, la vicenda si sposta ora sul piano dei rapporti fra Roma e l’Aia, e più in generale sul terreno della politica estera.Il contesto internazionale, tuttavia, mostra che quello dell’Italia non è un caso isolato. Esistono precedenti che ridimensionano, di fatto, il ruolo effettivo della Corte, soprattutto quando sono in gioco interessi strategici fondamentali. Basti pensare a Benjamin Netanyahu, destinatario di un mandato di arresto della Cpi per «crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza». Nonostante il mandato, però, lo scorso aprile il leader israeliano è stato ospitato senza problemi in Ungheria da Viktor Orbán, che ha bellamente ignorato la richiesta di arresto proveniente dall’Aia. In quel frangente, Budapest rivendicò questa scelta come un atto di esercizio della propria sovranità nazionale. Naturalmente, nessuna conseguenza concreta è seguita a quel «gesto di sfida».Un caso ancora più rilevante sul piano geopolitico, in ogni caso, è quello che riguarda Vladimir Putin. Sul presidente russo, com’è noto, pende dal marzo 2023 un mandato di arresto della Corte dell’Aia. Eppure, nonostante quel provvedimento, lo zar è atteso nelle prossime settimane a Budapest per un nuovo vertice con Donald Trump, dopo quello tenutosi ad agosto in Alaska. Il viaggio del leader del Cremlino pone un’ovvia questione: come potrà sorvolare lo spazio aereo europeo, ufficialmente chiuso ai voli governativi russi dopo le sanzioni del 2022? La risposta è arrivata direttamente dalla Commissione europea, un cui portavoce ha ammesso ieri che Bruxelles «non ha imposto a Putin alcun divieto di viaggio» e che gli Stati membri possono concedere deroghe caso per caso. In sostanza, la presenza di un mandato di arresto internazionale non impedirà al presidente russo di mettere piede in un Paese dell’Unione europea che ha ratificato lo Statuto di Roma e che, tecnicamente, avrebbe l’obbligo di arrestarlo.Detto in parole povere: quando sono in ballo questioni geopolitiche cruciali, la Cpi si trasforma nella proverbiale «tigre di carta» di cui parlava Mao. Nel caso di Putin, per esempio, è in gioco la fine della guerra in Ucraina. E a sottolinearlo con forza, ieri, è stato proprio Orbán: «L’Ungheria è oggi il Paese in Europa dove ci sono buone probabilità che i negoziati tra Stati Uniti e Russia portino alla pace. E dove, forse, anche l’agenda europea potrà essere perseguita», ha dichiarato il primo ministro ungherese. Che poi ha aggiunto: «Anche se Bruxelles si è isolata, noi continueremo a negoziare». Se a queste semplici nozioni di realpolitik aggiungiamo che lo stesso Statuto di Roma - ossia il fondamento della Cpi - non è stato firmato o ratificato da grandi potenze come Stati Uniti, Russia, Cina, India e Israele, si capisce sin troppo bene quanto le proteste dell’Aia siano in grado di incidere sullo scacchiere internazionale: poco o nulla.